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"Anni per avere un bimbo. Quanto è difficile adottare", di Gioia Salvatori

Un percorso burocratico ad ostacoli per le coppie che decidono di adottare un bambino. Colloqui, analisi, carte, incontri con gli psicologi, con i carabinieri e il giudice. Il racconto di Sonia e Gianluca che ora hanno un piccolo cinese: «Da una parte è doveroso sottoporsi a quanto richiesto dalla legge perché si tratta di un figlio. Dall’altra è un iter che logora anche i più volenterosi». E adottare in Italia è ancora più difficile.Sonia e Gianluca hanno 42 e 43 anni, vivono a Legnano e loro figlio è un bimbo nato in Cina che mentre parliamo gioca col cane di casa Camillo e chiama la mamma. Attira l’attenzione in perfetto italiano, è sereno, va all’asilo e ha colmato in fretta una distanza che pareva siderale. Il piccolo di casa viene dalla città di Zhengzhou, a sud di Pechino, provincia dell’Henan. Sonia e Gianluca volevano una bambina cinese, l’hanno cercata, nell’iter dell’adozione, pensando alle bimbe che in quella parte di mondo vengono uccise solo perché femmine.

Tempi lunghi
Sono stati fortunati: dopo tre anni di domande, certificati, colloqui al vaglio di assistenti sociali e giudici, davanti a loro si è materializzata una creatura cinquenne sorridente e ben predisposta, che aveva torturato tra le mani per giorni l’album fotografico dei futuri genitori, che li aspettava, li ha riconosciuti subito e subito si è fatta coccolare. Non femmina ma maschio, come il caso e la disponibilità del momento hanno voluto, tuttavia affettuosissimo, abituato ai baci e alle carezze dalla famiglia affidataria.

Ma iniziamo da capo, perché la gioia di avere un figlio adottivo non è mai gratis: si paga con complicazioni burocratiche e psicologiche, paure, ansie, soldi. L’adozione è una corsa a ostacoli: vince chi è più solido per tutto il tempo necessario a prepararsi all’arrivo del figlio, mai meno di due anni e mezzo, anche cinque, per un’adozione internazionale. Sonia, che ha atteso dal 2009 al 2012, lo definisce un tempo lungo ma «Un tempo necessario per abituarsi all’idea di essere genitori adottivi». Lei e Gianluca sono arrivati saldi di fronte alle difficoltà che l’iter per l’adozione presenta. Sonia, impiegata, aveva superato il lutto per il figlio che non arriva, le lacrime e quel sottile senso di scoramento davanti a una donna incinta. Gianluca, che tre anni fa era disoccupato, ha dovuto dimostrare che si dava da fare per trovare lavoro, che sapeva reagire davanti ai problemi. «I colloqui con gli assistenti sociali sono stati come un’analisi», raccontano, «hanno sviscerato tutto della coppia, risalendo fino alla nostra conoscenza».

Lavoro doveroso perché «prima di tutto c’è il futuro del bambino» ma per i due adulti è una prova pesante tra senso di invasività e timore di non essere compresi, scartati. Dopo gli assistenti sociali arriva il giudice onorario che vaglia la relazione. Sonia e Gianluca sono forti, ma davanti a quel giudice che decide se potrai essere genitore, tremano le gambe: «In 45 minuti ti giochi un anno passato tra uffici, corsi e colloqui con gli assistenti sociali, se ti bocciano puoi ricorrere ma i tempi si allungano alla grande».

Finito il colloquio tremano ancora per un mese e mezzo, un periodo vissuto in un limbo di ansia finché con arriva il responso: il certificato di idoneità che ti diploma genitore adottivo, via libera all’adozione internazionale. Per Sonia e Gianluca è arrivano nel 2010, a un anno dalla presentazione della domanda al tribunale dei minori di Milano. Duplice istanza, la loro, per adottare in Italia e all’estero.

Come i più, per il territorio nazionale non sono mai stati chiamati «nonostante ci siano ragazzi che restano in orfanotrofio fino a 18 anni, in Italia…», denunciano. Sono idonei ad adottare un bimbo straniero, però. Il peggio pare passato: «I cinque colloqui con gli assistenti sociali, con la paura delle incomprensioni, il senso di intrusività che ti danno, sono stati il periodo più stressante di tutto l’iter», racconta Sonia. Peggio di quando fai la prima domanda e devi presentare mille carte, compresi esami diagnostici, peggio di quando vai a colloquio coi carabinieri e ci vogliono sei mesi prima che la loro nota arrivi al tribunale minorile, «peggio di quando ti hanno già detto che c’è un bimbo per te ma ci vogliono nove mesi perché nel fascicolo cinese venga allegato il certificato di lavoro di tuo marito».

Il peggio pare passato e invece sono solo all’inizio. Ora c’è la fase due, in cui una delle scelte più difficili è quella dell’associazione a cui affidarsi: deve essere autorizzata e cooperare nel Paese a cui aspiri. «Abbiamo visitato sei enti: i tre più grandi che lavorano con la Cina e tre minori. A settembre del 2010 siamo tornati da uno dei tre maggiori, il C.i.f.a. e abbiamo conferito il mandato» racconta Sonia.

Si paga in questo momento la prima parte di una cifra che si aggira sui 20mila euro, compreso viaggio e tre settimane di permanenza in Cina. Dopo il mandato arrivano i mesi dell’attesa della chiamata «quelli in cui non devi pensare al tempo che passa», quelli in cui ti prepari ancora con corsi, incontri, confronti. Per Sonia e Gianluca c’era l’associazione il Filo di Arianna di Milano che avevano frequentato fin da prima di fare domanda al tribunale.

Si occupa anche di assistere i genitori adottivi nella fase del post-adozione, quella per cui nessuno, se non l’associazionismo, prevede servizi ad hoc. La presidente Nicoletta Belfanti racconta di ricevere e-mail da tutta Italia da parte di genitori adottivi che hanno problemi coi figli adolescenti e che non sanno a chi rivolgersi. Passa altro tempo e si fa giugno 2011, quando a casa squilla il telefono e all’altro capo ti dicono che c’è un bimbo adottabile che risponde alle tue disponibilità «Quando ci hanno convocato mi sono tremate le gambe, pensavamo di avercela fatta, finalmente».

Ma anche stavolta non si può dire l’ultima parola: bisogna comunicare alla Cina che Gianluca ha trovato lavoro e ci vogliono quasi nove mesi per avere il certificato, tradurlo, spedirlo e validarlo dall’altro capo del mondo. Gianluca e Sonia volano in Cina solo a febbraio del 2012, dopo tre anni dalla presentazione della domanda. Quel bimbo che gli avevano “abbinato” ha quasi un anno in più e lo ha passato con la famiglia affidataria.

Solo nei giorni appena precedenti l’arrivo dei nuovi genitori viene portato in un orfanotrofio dove Sonia e Gianluca lo incontrano con le lacrime agli occhi. Non una femmina ma comunque un figlio del popolo che avevano deciso di aiutare. Ora gioca, va all’asilo e ha fatto di una coppia una nuova famiglia. Sonia e Gianluca, ora, attendono solo che cresca.

L’Unità 26.09.12