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“Ispiratori e mandanti, la caccia infinita”, di Gigi Marcucci

Un filo nero che collega stagioni diverse della strategia della tensione. Un bandolo afferrato tra i primi da Mario Amato, il magistrato assassinato dai neofascisti dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, un mese e pochi giorni prima che la stazione di Bologna esplodesse. Intuito da Tina Anselmi, infaticabile presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. E forse anche da Giovanni Falco- ne, che quando decise di lasciare la magistratura aveva da poco messo a fuoco il centro Scorpione, emanazione trapanese di Gladio.
Forse si griderà al complottismo, alla riesumazione della teoria del “Grande Vecchio”, dopo le parole che la presidente della Camera Laura Boldrini e Paolo Bolognesi, deputato e presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto, hanno dedicato ai mandanti del più gra- ve attentato del dopoguerra. Ma punti di contatto o semplici coincidenze, collegamenti e veri e propri intrecci, continuità e contiguità emergono prepotentemente da milioni di pagine digitalizzate allegate alle memorie che l’Associazione 2 agosto ha depositato in Procura a Bologna. Atti dei processi per mafia o per fatti eversivi che, se esami- nati unitariamente, offrono una lettura diversa degli ultimi quarant’anni di storia repubblicana. E da Bologna si chiede alla magistratura se sia possibile arrivare a quelli che per sintesi vengono chiamati «mandanti». Sembra incredibile che dopo tanti anni manchino ancora ispiratori e strateghi, dice Laura Boldrini. Mentre Paolo Bolognesi spiega che la verità raggiunta finora – tre neofascisti condannati per strage; Licio Gelli, capo della P2, Francesco Pazienza e due ufficiali dei Servizi per calunnia finalizzata al depistaggio delle indagini – è importante ma solo parziale. E che la magistratura deve affrettarsi a dipanare quel gomitolo insanguinato, prima che scompaiano tutti i protagonisti e testimoni di un’epoca feroce. Lungo è l’elenco delle persone che non sarà più possibile sentire.on può più parlare Amos Spiazzi, sempre presente ne- gli angoli più misteriosi della Repubblica, dal cosiddetto Golpe Borghese (per cui fu assolto) alla strage di Bologna (per la quale non è stato indagato, ma sentito come testimone), morto nel 2012 all’età di 79 anni. Nella sua agenda dell’80, allegata agli atti sulla strage di Brescia (28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti) alla data 2 agosto ‘80, compare l’appunto «Pacco ritirato in posto B». Impossibile, a questo punto, chiedergli di che pacco di si trattasse. Il Pm, dice Paolo Bolognesi, non potrà più interrogare Giulio Andreotti, che sempre negli atti bresciani viene indicato come referente della struttura più segreta dei Servizi segreti, il cosiddetto Anello, che tra le altre cose sarebbe stato il principale canale di comunicazione tra apparati dello Stato e Cosa Nostra. È anche per questo che Bolognesi bacchetta la Procura di Bologna, invitandola a non correre dietro gli «acchiappafantasmi» che propongono piste come quella “palestinese”, peraltro già ideata, seppure in versione diversa, dai Servizi che intendevano depistare l’inchiesta sulla strage. Secondo l’Associazione ci sono invece gli elementi per chiedere conto a Licio Gelli di un appunto intestato “Bologna”, che subito prima e subito dopo la strage registra- va ingenti passaggi di denaro in direzione di Mario Tedeschi e di un certo Zafferano. Nomignolo che celerebbe l’identità di Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale, successivamente mandato a dirigere la struttura europea da cui dipendevano le cosiddette strutture di controinsorgenza della Nato. Gladio, in Italia. D’Amato e Tedeschi, esponente missino e fondatore del Borghese, erano legati al colonnello Rocca, capo dell’Ufficio R del Sid, il vecchio Servizio segreto militare, a cui era affidata proprio la direzione di Gladio. In un altro appunto di Gelli si parla di finanziamenti diretto a “Pollaio-Alloia”, nome che richiama alla mente quello del generale Giuseppe Aloja (“Alloia”), già capo di Stato Maggiore della Difesa, ideatore del convegno dell’Istituto Pollio (“Pollaio”) che nel ‘65 gettò le basi della strategia della tensione. Queste carte, sequestrate a Licio Gelli a Ginevra, al momento del suo arresto, finirono agli atti del processo per la Bancarotta dell’Ambrosiano. E non furono mai trasmesse a Bologna.

l’Unità 03.08.13

“In fuga dal mare bollente lo strano caso dei pesci spiaggiati sull’Adriatico delle vacanze”, di Jenner Meletti

Piccoli pescatori sono contenti: il mare sembra la vasca di un grande allevamento. Milioni di piccoli cefali, di paganelli e di altri pesci nuotano nell’acqua alta appena due spanne e i bambini li inseguono con i loro retini. Sembra una festa ma invece è un’agonia. I pesci sono a riva perché cercano l’ossigeno. E se non lo trovano rischiano di morire, come è successo a milioni di altri pesci, su questo litorale piatto che parte dal delta del Po e arriva fino alle dighe del porto di Ravenna. Li hanno portati via con i camion, i pesci morti per asfissia. Milioni di cannolicchi, granchi e anche anguille. La strage è cominciata lunedì, quando si è alzato il vento di libeccio, dalla terra verso il mare. E potrà ripetersi perché il caldo — una delle cause della morìa — crescerà ancora per almeno una settimana.
Fa impressione, il mare che uccide i suoi pesci. «I banchi si spingono fin quasi a toccare la spiaggia — dice Attilio Rinaldi, biologo del Centro ricerche marine di Cesenatico — perché il fondale basso permette un contatto migliore dell’acqua con l’atmosfera e quindi l’ossigenazione. Ma la situazione è a rischio. Il libeccio è come la catena di un nastro trasportatore. Spinge al largo le acque superficiali e porta a riva quelle del fondale, che adesso sono anossiche — senza ossigeno — e costringono i pesci a boccheggiare a riva». Altre volte tratti di battigia sono stati coperti da pesci morti. Ma all’inizio della settimana la morìa ha investito 50 chilometri di spiaggia e nessuno ricorda una strage simile.
«C’era un odore terribile, non si riusciva nemmeno a prendere il sole», dice Stefano Malservisi, titolare del bagno Serena di Pomposa. «Frequento questo mare da 40 anni, una cosa così non l’avevo mai vista. All’inizio qualcuno ne ha approfittato. C’erano le anguille ancora vive che si spingevano sulla sabbia e tante sono finite nelle grigliate. Già martedì e mercoledì sono arrivati i camion e hanno portato via i pesci morti. Ma basta guardare il mare per capire che il pericolo non è finito. Ci sono quei milioni di pesci vicino alla riva che meriterebbero una medaglia, perché cercano di adattarsi e di sopravvivere. I bagnanti sono arrabbiati, non con noi ferraresi che siamo attenti all’ambiente ma con chi nella Valpadana continua a buttare di tutto nel Po».
Sono belle, le spiagge dei lidi ferraresi. Dove non sono state costruite migliaia di villette e di condomini, le campagne con patate, barbabietole e mais arrivano quasi alle spiagge. «Il Po — raccontano Attilio Rinaldi e Carla Rita Ferrari, che dirige la struttura oceanografica
Dafne dell’Arpa Emilia Romagna — è la nostra ricchezza e il nostro problema. Quest’anno “butta” troppa acqua, 1.000 metri cubi al secondo contro i 400-500 degli altri anni in questo periodo.
L’acqua dolce è più leggera di quella salata e diventa un “coperchio” che impedisce il contatto tra l’acqua del mare e l’atmosfera. Il grande fiume porta poi azoto e fosforo che provocano la fioritura di micro alghe e così l’acqua diventa verde, marrone o rossa, dipende dal tipo di alghe. Non è un fenomeno che interessa solo la riva: l’acqua è “colorata” per almeno due chilometri davanti a tutta la costa ferrarese. Dopo la fioritura, le micro alghe scendono sul fondo, vanno in decomposizione e sottraggono ossigeno».
Fra Porto Garibaldi e la punta dell’Istria la profondità massima è di 40 metri. E allora il mare può gelare, come è successo nel febbraio 2010, facendo morire le alaccie, arrivate pochi anni prima dal Mediterraneo del Sud. O può diventare una pentola calda, come nel 1989, quando migliaia di chilometri quadrati di Adriatico furono coperti dalla mucillaggine. Anche adesso c’è un sole che spacca: la temperatura del mare, davanti a Porto Garibaldi, è arrivata a 30 gradi. Caldo, fioritura di alghe ed eccesso di acque dolci provocano danni anche in altri pezzi d’Italia: migliaia di pesci sono morti nello stagno di Santa Giusta, nel cagliaritano.
Chi è in ferie sui lidi, cerca di fare finta di nulla. Il turismo qui è popolare ed era già in crisi prima della morìa. Sono migliaia i cartelli che annunciano “Affittasi” proprio per agosto, quando “vent’anni fa bisognava prenotare un anno prima. Chi ha già pagato per 7 o 14 giorni, non ha certo i soldi per andare su altre spiagge. Verso sera, un comunicato annuncia che il mare che uccide i pesci può fare male anche agli umani. Troppi “enterococchi intestinali”, nei lidi Scacchi e Porto Garibaldi, proprio dove c’erano «molti cannolicchi morti». Per 48 ore, “Divieto di balneazione”. I bagnini fanno uscire i villeggianti dall’acqua. Possono soltanto restare sulla riva, a guardare i pesci che cercano di sopravvivere.

La Repubblica 03.08.13

Quella “piccola evasione” che ha fruttato a Silvio 360 milioni di fondi neri, di Piero Colaprico

«Con quello che pago di tasse, è ridicola l’accusa di aver evaso così poco», andava ripetendo Silvio Berlusconi, poco prima della batosta in Cassazione. È vero, l’ex presidente del consiglio è rimasto impigliato per un «pezzettino » di tasse non pagate: ma la realtà racconta una storia totalmente diversa. La contabilità gonfiata sulla compra-vendita dei diritti tv ha permesso la creazione almeno di 360 milioni di dollari di fondi neri: e se si è potuto procedere solo per i circa 6 milioni di euro sottratti al fisco nel 2002 e 2003, «vi è la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi – questo si legge in sentenza definitiva – abbia direttamente gestito la fase iniziale dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore». Pochi fatti, nudi e crudi, bastano.
I PREZZI GONFIATI
«Picchia giù con i prezzi» si sentiva dire un’impiegata dell’ufficio contratti dal suo superiore. Per comprendere il senso della frase bisogna sapere che c’era un pugno di manager di provata fede berlusconiana. E questi adottavano per la compravendita dei diritti tv un doppio binario. C’era «un contratto originario, definito master», apparentemente a posto, e una serie di «cosiddetti subcontratti», carte fasulle. Il master veniva stilato a Milano, i sub contratti – è tutto documentato – in Svizzera. Era su questi sub contratti, destinati a girare estero su estero, che comparivano cifre irreali. Come? Uno dei fedelissimi ordinava alle impiegate: «“Questo mese, questo trimestre dobbiamo arrivare in termine di costo a cinque milioni di dollari, 20 milioni di dollari, eccetera”. Però il costo dei diritti era di meno, sensibilmente di meno», testimonia una «gonfiatrice dei prezzi».
IL GIOCO DELLE TRE NOCI
Teste incredibile? Affatto, perché trova un riscontro assoluto nella mail di un contabile della casa cinematografica Fox. Scrive – siamo nel dicembre 1994 – una frase lapidaria al suo superiore: «L’impero di Berlusconi funziona come un elaborato “shell game”». E cioè? «È un gioco – dice l’americano – che consiste nel prendere tre gusci di noci vuoti e nascondere sotto uno di essi il nocciolo di una ciliegia. Chi gioca deve indovinare dov’è il nocciolo nascosto con la finalità di evadere le tasse italiane».
LA “DUE DILIGENCE”.
Anche a lasciar perdere le tante società false, senza contabili, senza uffici, che «lavorano» nelle compravendite-truffa con Mediaset, un piccolo ma formidabile dettaglio che risale ai momenti della quotazione in Borsa di Mediaset e dimostra per tabulas
la situazione reale. Nel mondo della finanza si usa (termine inglese: «due diligence») fare indagini e analisi sul valore di un’azienda prima di un investimento. E il
pubblico ministero Fabio De Pasquale ha trovato proprio un memorandum «Gruppo Mediaset: due diligence legale». È a cura della Grimaldi & Clifford Chance per «la riunione del 20 marzo 1996» sulla «Library di Mediaset», e cioè sul magazzino di film e telefilm. E qui l’indagine diventa difficilissima: «…né, per il momento, e nonostante le nostre insistenti richieste, Mediaset ha mostrato di voler fornire la documentazione necessaria (…)», si lamenta il detective- finanziario. Anzi, «per quanto riguarda il problema del valore, nei contratti di cessione finale che ci sono stati messi a disposizione (40 su 80 richiesti) puntualizza ancora – abbiamo notato che spesso i prezzi praticati a Reteitalia o a Mediaset dopo i vari passaggi tra le società estere del gruppo Finivest erano talora sensibilmente aumentati rispetto all’originale prezzo di acquisto dei diritti». Più chiaro di così?
IMMENSI CAPITALI NERI
Esiste un altro dato che va recuperato dal processo a carico dell’avvocato inglese David Mills. Dagli anni ’70-80 Mills è stato incaricato da Fininvest – parole sue – di «costituire un gruppo società offshore » utili a far sparire «milioni e milioni che non avrebbero dovuto figurare nel bilancio consolidato del gruppo». Sono quei soldi off shore che Berlusconi ha usato negli anni senza il minimo controllo di legalità. Sono i soldi off shore che ritroviamo nei molti processi con Berlusconi imputato.
Per esempio, quello sulle mazzette pagate da Cesare Previti ai giudici corrotti della sentenza Mondadori. O quello sui soldi che All Iberian – società della galassia off shore di Berlusconi – versa nel conto estero di Bettino Craxi. Vent’anni dopo, in fondo, si torna ancora a All Iberian, ai fantasmi del passato.

La Repubblica 03.08.13

«Vogliono rompere? Il Pd è pronto a tutto», di Simone Collini

Un’eventuale richiesta di grazia? «Il Presidente della Repubblica sia tenuto fuori da queste vicende e si evitino pressioni inaccettabili e istituzionalmente scorrette». Il Pdl che ragiona sulla strada migliore per andare a nuove elezioni? «Si sta assumendo una responsabilità pesante verso i cittadini». E la richiesta del centrodestra per una riforma della giustizia? «Il programma è quello esposto da Letta in Parlamento. Quello per noi è l’ambito delle scelte possibili. Il resto non esiste». È sera e Guglielmo Epifani si sposta da una Festa del Pd all’altra, tra Modena e Reggio Emilia. Da Roma arrivano indiscrezioni sull’incontro tra Berlusconi e i parlamentari del Pdl. Tutte di segno negativo. E il segretario del Pd non esita un attimo a dire: «Noi siamo pronti a tutto».
Ma prima un passo indietro. A Bologna, di mattina. Altro clima, altri discorsi. «Qui si tocca con mano che c’è un’altra Italia, seria, laboriosa, determinata, attaccata alle istituzioni anche, e che chiede giustizia e verità». Epifani è alla commemorazione della strage di 33 anni fa alla stazione centra- le. Gli viene da fare il raffronto con le questioni di cui si discute da ventiquatt’ore. Poi torna a pensare alla «forza di questa comunità», qui sotto le Due Torri. «La stessa compostezza l’ho avvertita ai funerali delle vittime del bus, a Pozzuoli, città piegata dal dolore ma molto composta. Quello che lega i due fatti è la presenza di due comunità vere. E questo mi fa dire che il Paese potrebbe davvero essere una grande comunità se solo riuscisse a superare il grande nodo tra politica e giustizia che ci trasciniamo dietro da troppi anni. Abbiamo bisogno di un’altra aria, sarebbe importante per riannodare i fili tra la politica e i cittadini».
La sentenza della Cassazione sul processo Mediaset può consentire di voltare pagina, onorevole Epifani?
«Si chiude un ciclo, è probabile che si apra una fase nuova. La condanna definitiva di Silvio Berlusconi è sicuramente una vicenda di grande rilevanza, uno spartiacque. Lo è per lui, per il suo partito, ma soprattutto per il Paese. Le conseguenze non sono tutte prevedibili. Una parte riguarderà le scelte che verranno compiute nel campo del centrodestra, la sua riorganizzazione. Una parte riguarderà invece i riflessi che ci saranno nell’equilibrio e nell’azione di governo».
Il Pdl è intenzionato a chiedere la grazia a Napolitano per Berlusconi.
«Bisogna tenere fuori il Presidente della Repubblica da queste vicende. Simili pressioni non sono accettabili. E sono istituzionalmente scorrette».
E se fosse un modo per ottenere una riforma della giustizia? Il Pd è pronto a lavorare in questo senso?
«La riforma della giustizia non è prevista nelle riforme istituzionali, e non a caso. Per quanto riguarda il programma di governo, l’impegno è ad attener- si alle cose dette da Letta in Parlamento. Quello per noi è l’ambito delle scelte possibili. Il resto non esiste». Incontrando i parlamentari Berlusconi ha parlato della necessità di trovare la strada migliore per arrivare a elezioni: cosa vorrebbe dire?
«Qualora avesse detto questo, vuol dire che romperebbe quel patto contratto con gli italiani al momento di creare un governo di servizio. Berlusconi non è uno che si rassegna ma si rende conto della difficoltà del passaggio. È necessario tenere distinti i due piani non perché non ci sia una relazione, perché è evidente a tutti il peso politico di Berlusconi. Però non possiamo immaginare una vita politica contrassegnata, dipendente da vicende giudiziarie. Finiremmo altrimenti per non riconoscere alcuna autonomia alla sfera della politica e della rappresentanza».
Ma rimanendo al caso specifico: cosa può succedere se il Pdl dovesse cercare lo scontro?
«C’è da capire se ha deciso di cambiare atteggiamento rispetto a quello avuto finora. Torna il Pdl che vuole sfasciare tutto? Oppure la sua è una forma di pressione? In ogni caso il Pdl si sta assumendo una responsabilità pesante verso i cittadini. Per quel che ci riguarda noi siamo pronti a tutto. Siamo pronti a sostenere il governo di servizio e potremmo essere pronti ad altro, perché non possiamo non vedere che le fibrillazioni rendono più incidentato il percorso e l’azione di governo e anche il rapporto tra Pd e Pdl. Noi abbiamo la coscienza a posto e non temiamo nulla se non la crisi del Paese e le sue conseguenze».
Un governo che deve andare avanti, un pezzo di maggioranza che minaccia: co- me se ne esce?
«Da un lato dobbiamo tenere fermo l’impegno assunto con il Paese, dall’altro capire che c’è un quadro che cambia. Per questo chiederò un soprassalto di incisività nell’azione di governo. Letta dovrà tirare i fili della funzione di governo in una fase difficile per la vita del Paese».
Quindi il governo deve accelerare sulle misure economiche e le riforme? «Intanto, mi viene da dire, per fortuna abbiamo accelerato noi l’iter della riforma elettorale, perché dobbiamo mettere in ogni caso in sicurezza il sistema. E da settembre questo sarà un fronte importante della nostra iniziativa. Dopo di ché, avendo di fronte a noi scadenze importanti, il patto di stabilità, gli impegni europei, un autunno in cui rischia di aumentare la disoccupazione e ag- gravarsi la crisi industriale, avremo bi- sogno di dare più risposte, di essere più concreti nell’azione di governo. A questo punto è necessario trovare un sovrappiù di capacità di risposta di fronte a problemi del Paese. Questa sarà la vera sfida e il vero terreno di prova». Più di un commentatore, guardando ache al vostro dibattito interno, sostiene che la condanna di Berlusconi creerà più problemi al Pd che al Pdl…
«Tesi curiosa e di certo non disinteressata, perché il senso logico dice esatta- mente il contrario. È vero che in qual- che passaggio siamo stati poco intelligenti, abbiamo trasferito su di noi questioni che originavano dall’altra parte. Ma avere ora più difficoltà noi che il Pdl no, non arriveremo a tanto».
Cosa deve fare il Pd quindi adesso, se quello del Pdl dovesse rimanere solo un bluff?
«Gestire comunque con grande intelligenza la fase che si apre. Il che vuol dire innanzitutto rispettare la sentenza e rispettare la magistratura, tanto più quella di terzo grado e l’esame di giudici di particolare spessore professionale».
Rispettare la sentenza è la prima cosa che lei ha detto pochi minuti dopo la lettura del verdetto e da allora Brunetta, Schifani e altri esponenti del Pdl la stanno attaccando: cosa dice ai suoi colleghi di maggioranza?
«Che la loro è una rissa verbale di scarsissima serietà e del tutto infondata. Io, come gli altri segretari del Pd che mi hanno preceduto e gli altri dirigenti del partito, abbiamo sempre detto che le sentenze si rispettano, si eseguono, si applicano. Sarebbe strano se oggi dicessimo il contrario. E ovviamente ci uniformeremo a questa dichiarazione nel voto che ci sarà in Senato».
Quindi voterete la ratifica della decadenza di Berlusconi da senatore?
«Sarebbe singolare che si votasse in difformità di una sentenza della Cassazione, l’organo supremo che mette la parola fine alle sentenze e ai processi».
Il Pdl aveva minacciato tre giorni di stop ai lavori parlamentari soltanto perché la Cassazione aveva fissato al 30 luglio l’udienza e ora già minaccia le dimissioni: cosa farà il Pd?
«Al Pdl, pur comprendendo la profondità del loro travaglio e assicurando che non c’è nulla di non rispettoso in questo, dico che devono abbandonare definitivamente l’atteggiamento mostrato quando la Cassazione ha fissato la data. Quei comportamenti segnano. Per noi sarebbero inammissibili attacchi alle istituzioni, sia alla funzione del- la magistratura che al ruolo del Parlamento. Non tollereremo nessuna evetuale posizione irresponsabile. E questo sarà per noi un criterio di valutazione molto forte per il futuro».

L’Unità 03.08.13

“Un giorno di bombardamento mediatico ecco come il colpevole diventa vittima”, di Sebastiano Messina

Con la mobilitazione di tutte le truppe delle televisioni, dei quotidiani e dei siti Internet. In testa, naturalmente, c’è l’ammiraglia, il Tg5, l’unico telegiornale italiano che all’ora di pranzo ha trasmesso il video integrale del Cavaliere, il messaggio al Paese del condannato. Anche se era già stato trasmesso la sera prima da tutte le tv. Anche se durava nove minuti, che per un telegiornale è un’eternità. Anche se quasi tutti l’avevamo visto, in tv o su Internet. Neanche il
Tg4, l’ex pulpito di Emilio Fede, s’è spinto fino a tanto, anzi l’ha sintetizzato in 20 secondi, mentre il tg di Italia Uno l’ha diligentemente condensato in due minuti. Ma il tg di Clemente Mimun deve aver sentito il dovere di scendere in campo, partecipando alla sua maniera alla prima incursione dei bombardieri mediatici. «Eccovi il lungo e a tratti drammatico messaggio…».
Poi all’ora di cena ha fatto il bis. Ancora il videomessaggio, asciugato solo di un paio di minuti, seguito dal commento di un osservatore indipendente (Sallusti, direttore del Giornale) e preceduto dalle dichiarazioni di alcuni po-litici, tutti casualmente del Pdl («Siamo fieri di averlo come nostro leader»). Titolo
di apertura, letto da una Buonamici con gli occhi lucidi: «Tra gli applausi Berlusconi annuncia ai suoi parlamentari: siamo pronti anche alle elezioni».
Dalle sue tv e dai suoi giornali, Berlusconi viene trattato come un condottiero ferito, ma solo di striscio, da un colpo a tradimento, e già pronto – vero eroe – a tornare alla carica. «Berlusconi ha mantenuto la sua promessa: resterà in campo» annuncia la conduttrice del
Tg4.
E il cronista sintetizza la giornata come se parlasse di una sconfitta del Milan in campionato: «Chi pensava alla resa di Silvio Berlusconi si è sbagliato. Anzi, lui stesso ha annunciato che si riparte». Nessuno, diciamo la verità, si meraviglia davvero che i telegiornali del Cavaliere difendano così il loro editore e proprietario: dopo 19 anni, ci abbiamo fatto l’abitudine. Ma a leggere bene gli editoriali, ad ascoltare con attenzione i titoli e le cronache dei telegiornali, ci si rende conto che stavolta non è scattata una semplice solidarietà aziendale, attorno a Berlusconi: c’è del metodo, in questa idolatria. Uno schema semplice, in tre mosse facili. Primo, cancellare i fatti. Secondo, trasformare il condannato in una vittima. Terzo, preparare il popolo alla Nuova Rivoluzione.
Si comincia all’alba, dalle edicole. Sul Foglio Giuliano Ferrara argomenta meglio il suo commento giuridico a caldo («Sentenza vile e cazzona»). È lui che si incarica di dichiarare il verdetto definitivo della Cassazione, una condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale, «politicamente e civilmente nullo». Non c’è, nel suo articolo, un solo argomento che faccia riferimento alla legge. La sua tesi è che nessun magistrato avrebbe mai dovuto permettersi di condannare il leader del Pdl, infliggendogli «un divieto di fare politica inteso come divieto legale stabilito da una casta di magistrati tecnicamente irresponsabili». Perché? Perché Berlusconi gli italiani l’hanno votato, e dunque «di fronte a quello che conta, storia e sovranità popolare, una sentenza simile è politicamente e civilmente nulla». Che poi Berlusconi abbia frodato il fisco, come la sentenza ha definitivamente stabilito, è per Ferrara un dettaglio del tutto secondario e anzi insignificante.
A dipingere il condannato come una vittima ci pensa poi
Il Giornale, il quotidiano di famiglia. «Ci hanno messo 18 anni, ma alla fine l’hanno braccato» scrive Sallusti, come se parlasse di Robin Hood. L’hanno preso in trappola «con la malafede e con l’imbroglio», l’eroe di Arcore. E Vittorio Feltri, sotto l’eloquente testatina “L’ingiustizia”, annuncia che «la democrazia è stata per la prima volta decapitata in un tribunale ». Per chi avesse ancora qualche dubbio, il sito del quotidiano riassume così: «Caccia al Cav.».
Libero si incarica invece di annunciare la riscossa: “Risorgerò”, titola a tutta pagina, raffigurando Berlusconi come Cristo che resuscita, con l’aureola e il bastone del comando. Poi, sopra il testo integrale del videomessaggio del profeta, «in tv con la voce rotta», un titolo che rassicura gli aficionados: “Forza Italia, resto in campo”. Spiega il direttore Belpietro: «Il capo del centrodestra potrebbe candidare la figlia primogenita e provare a rivincere le elezioni, oppure affidarsi a Napolitano sperando nella grazia». Se può risorgere, può fare anche i miracoli.
Poi, per tutta la giornata, i telegiornali Mediaset si incaricheranno di colorare le immagini di un condottiero che “detta la linea” ( Studio Aperto) e non si perde d’animo neanche davanti a un ordine di carcerazione, di un Pdl che «fa quadrato attorno al suo leader» e «pensa a una grande manifestazione in suo sostegno» ( Tg4).
All’ora di cena, il Tg5 arriverà a chiamare in ballo Marx, paragonando la tempesta giudiziaria che travolse il pentapartito alla sentenza che ha abbattuto Berlusconi: «Lui diceva che la storia si ripete due volte, la prima volta in tragedia, la seconda in farsa: si sbagliava, anche stavolta è stata una tragedia». E ti pareva che ne avesse azzeccata una, quel comunista.

La Repubblica 03.08.13

“In arrivo a Pompei un super manager”, di Francesco Erbani

Un “grande progetto Pompei”. Più fondi per i musei. Il reclutamento di 500 giovani. Tax credit per cinema e musica. Risanamento delle Fondazioni liriche. Per una volta un provvedimento del ministero per i Beni culturali non è accolto da fischi. Dopo predecessori abituati ad annunciare o a camuffare tagli, il ministro Massimo Bray, affiancato dal presidente del Consiglio Enrico Letta, ha illustrato ieri “Valore cultura”, un decreto legge, dunque un provvedimento d’urgenza, per «la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei Beni e delle Attività culturali». Il decreto è ancora in bozza (consta di tre titoli e quattordici articoli), non se ne conosce la versione finale, ma è stato comunque approvato dal Consiglio dei ministri dopo una discussione che alcuni descrivono come animata. Molte, per esempio, le pressioni di qualche collega di Bray perché il provvedimento fosse più aperto all’ingresso dei privati nella gestione dei beni culturali. Alla fine è Letta in persona che pone il sigillo: «La cultura», dice il premier, «è il cuore del nostro Paese e la possibilità di attrarre investimenti è una delle nostre priorità. Vogliamo investire sulla cultura e creare un legame tra giovani e cultura».
POMPEI
Viene istituita la figura di un Direttore generale che avrà competenze sia sugli appalti per i restauri (dalla scrittura dei bandi, fino ai controlli sulla trasparenza delle ditte e sullaregolarità dei lavori) sia per la riqualificazione dell’area al di fuori del sito archeologico (infrastrutture, recupero ambientale, ricezione turistica: il tutto, si raccomanda, «nel rispetto del minor consumo di territorio »). Il Direttore generale avrà il profilo di un manager (circola il nome dell’economista Giampiero Marchesi), non di un archeologo, avrà grandi poteri, ma non sarà un commissario sul tipo di quelli della Protezione civile, assicurano al ministero, che a Pompei non hanno lasciato buoni ricordi e spesso solo inchieste giudiziarie. Avrà alle sue dipendenze venti persone, tutte scelte fra i funzionari statali e cinque esperti (un giurista, un economista, un architetto, un
urbanista, un trasportista). Inoltre potrà ricevere «donazioni ed erogazioni liberali». C’è un punto ancora controverso. Le decisioni prese in una specie di Conferenza dei servizi permanente, così si legge nella bozza, alla quale parteciperanno, oltre al ministero, vari soggetti (Regione Campania, Provincia di Napoli, sindaci e anche privati) saranno «in deroga a ogni disposizione di legge o di regolamento» e sostituiranno «ogni altro adempimento, ogni altro parere, nulla osta o autorizzazione». Insomma, il Direttore generale avrà mano libera. Come la userà, se la norma dovesse entrare in vigore così, è tutto da vedere: di fatto si sancirebbe un permanente stato di emergenza a Pompei. Nel decreto si parla di stretta collaborazione con la Soprintendenza. Si capisce, però, che il Direttore generale risponde direttamente al ministro. A sua volta la Soprintendenza torna all’antico, viene cioè separata la parte vesuviana (Pompei, Ercolano, Stabia) da quella napoletana, esattamente come fino ad alcuni anni fa.
MUSEI
Ai musei torneranno tutti gli introiti ricavati dai biglietti e dal merchandising. Questi introiti la finanziaria del 2008 li aveva destinati al ministero per l’Economia, con l’obbligo, per quest’ultimo, di girare ai Beni culturali il 50 per cento. Un garbuglio. Ma non solo: ai Beni culturali è ritornato appena il 10-15 per cento di quei fondi. Ora gli incassi verranno riassegnati interamente ai Beni culturali e saranno una bella boccata
d’ossigeno per musei senza custodi e costretti a chiudere sale o addirittura a sbarrare completamente gli accessi. Vengono inoltre stanziati 8 milioni per i Nuovi Uffizi a Firenze e 4 milioni per il Museo dell’Ebraismo e della Shoah che sorgerà nell’ex carcere di Ferrara. Altri 2 milioni sono destinati a situazioni di particolare urgenza.
IL RECLUTAMENTO
2 milioni e mezzo finanzieranno l’assunzione per un anno come tirocinanti di 500 giovani laureati sotto i 35 anni. Collaboreranno all’inventario del patrimonio, un progetto curato dall’Istituto centrale per il catalogo. Il progetto, spiegano al ministero, partirà dalle regioni del Sud: Puglia, Campania, Calabria e Sicilia.
CINEMA E MUSICA
Viene ripristinato il tax credit, cioè la detassazione per chi produce o finanzia le opere. Per il cinema fissando un tetto di 90 milioni, così come auspicato da molti esponenti di quel mondo che negli ultimi tempi avevano dato vita a una forte mobilitazione. Per la musica stabilendo un tetto di 5 milioni che serviranno, spiegano al ministero, «a far fronte alla crisi del mercato e per promuovere giovani artisti e compositori emergenti».
FONDAZIONI LIRICHE
Viene istituito un fondo di 75 milioni, gestito da un commissario straordinario, che servirà ad alleviare la crisi di alcune Fondazioni liriche. Queste, però, devono presentare entro 90 giorni un piano di risanamento che comporti anche la riduzione fino al 50 per cento del personale tecnico amministrativo (che, si dice al ministero, sarà assorbito dall’Ales, una società controllata dai Beni culturali) e l’interruzione dei contratti integrativi. Alle Fondazioni si chiede anche l’obbligo di mantenere in pareggio i bilanci.
TAGLI ORIZZONTALI
Enti culturali e teatri stabili non saranno più soggetti ai tagli orizzontali su pubblicità e tournée previste dalla spending review.
DONAZIONI
Le donazioni dei privati a favore della cultura saranno agevolate. Quelle fino a 5 mila euro, per esempio, non avranno più oneri a carico di chi la effettua. E di esse verrà data piena pubblicità.