attualità, memoria

“Ispiratori e mandanti, la caccia infinita”, di Gigi Marcucci

Un filo nero che collega stagioni diverse della strategia della tensione. Un bandolo afferrato tra i primi da Mario Amato, il magistrato assassinato dai neofascisti dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, un mese e pochi giorni prima che la stazione di Bologna esplodesse. Intuito da Tina Anselmi, infaticabile presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. E forse anche da Giovanni Falco- ne, che quando decise di lasciare la magistratura aveva da poco messo a fuoco il centro Scorpione, emanazione trapanese di Gladio.
Forse si griderà al complottismo, alla riesumazione della teoria del “Grande Vecchio”, dopo le parole che la presidente della Camera Laura Boldrini e Paolo Bolognesi, deputato e presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto, hanno dedicato ai mandanti del più gra- ve attentato del dopoguerra. Ma punti di contatto o semplici coincidenze, collegamenti e veri e propri intrecci, continuità e contiguità emergono prepotentemente da milioni di pagine digitalizzate allegate alle memorie che l’Associazione 2 agosto ha depositato in Procura a Bologna. Atti dei processi per mafia o per fatti eversivi che, se esami- nati unitariamente, offrono una lettura diversa degli ultimi quarant’anni di storia repubblicana. E da Bologna si chiede alla magistratura se sia possibile arrivare a quelli che per sintesi vengono chiamati «mandanti». Sembra incredibile che dopo tanti anni manchino ancora ispiratori e strateghi, dice Laura Boldrini. Mentre Paolo Bolognesi spiega che la verità raggiunta finora – tre neofascisti condannati per strage; Licio Gelli, capo della P2, Francesco Pazienza e due ufficiali dei Servizi per calunnia finalizzata al depistaggio delle indagini – è importante ma solo parziale. E che la magistratura deve affrettarsi a dipanare quel gomitolo insanguinato, prima che scompaiano tutti i protagonisti e testimoni di un’epoca feroce. Lungo è l’elenco delle persone che non sarà più possibile sentire.on può più parlare Amos Spiazzi, sempre presente ne- gli angoli più misteriosi della Repubblica, dal cosiddetto Golpe Borghese (per cui fu assolto) alla strage di Bologna (per la quale non è stato indagato, ma sentito come testimone), morto nel 2012 all’età di 79 anni. Nella sua agenda dell’80, allegata agli atti sulla strage di Brescia (28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti) alla data 2 agosto ‘80, compare l’appunto «Pacco ritirato in posto B». Impossibile, a questo punto, chiedergli di che pacco di si trattasse. Il Pm, dice Paolo Bolognesi, non potrà più interrogare Giulio Andreotti, che sempre negli atti bresciani viene indicato come referente della struttura più segreta dei Servizi segreti, il cosiddetto Anello, che tra le altre cose sarebbe stato il principale canale di comunicazione tra apparati dello Stato e Cosa Nostra. È anche per questo che Bolognesi bacchetta la Procura di Bologna, invitandola a non correre dietro gli «acchiappafantasmi» che propongono piste come quella “palestinese”, peraltro già ideata, seppure in versione diversa, dai Servizi che intendevano depistare l’inchiesta sulla strage. Secondo l’Associazione ci sono invece gli elementi per chiedere conto a Licio Gelli di un appunto intestato “Bologna”, che subito prima e subito dopo la strage registra- va ingenti passaggi di denaro in direzione di Mario Tedeschi e di un certo Zafferano. Nomignolo che celerebbe l’identità di Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale, successivamente mandato a dirigere la struttura europea da cui dipendevano le cosiddette strutture di controinsorgenza della Nato. Gladio, in Italia. D’Amato e Tedeschi, esponente missino e fondatore del Borghese, erano legati al colonnello Rocca, capo dell’Ufficio R del Sid, il vecchio Servizio segreto militare, a cui era affidata proprio la direzione di Gladio. In un altro appunto di Gelli si parla di finanziamenti diretto a “Pollaio-Alloia”, nome che richiama alla mente quello del generale Giuseppe Aloja (“Alloia”), già capo di Stato Maggiore della Difesa, ideatore del convegno dell’Istituto Pollio (“Pollaio”) che nel ‘65 gettò le basi della strategia della tensione. Queste carte, sequestrate a Licio Gelli a Ginevra, al momento del suo arresto, finirono agli atti del processo per la Bancarotta dell’Ambrosiano. E non furono mai trasmesse a Bologna.

l’Unità 03.08.13