Latest Posts

“In attesa della Cassazione Letta cerca di dare senso a una difficile estate”, di Stefano Folli

Il presidente del Consiglio Enrico Letta è molto attivo in questi giorni afosi che precedono la pausa estiva. Forse perché quest’anno le vacanze non presentano quel carattere ineluttabile che la tradizione suggerisce. Non c’è niente di veramente certo nell’Italia politica di oggi e si capisce che il premier abbia voglia di scuotere la maggioranza, anche per impedire che si produca uno “scollamento” rispetto all’attività dell’esecutivo. Si fa presto a ricadere nella sottospecie del “governo amico”, vale a dire una compagine che cammina per la sua strada senza essere sostenuta in modo convinto dai partiti dell’alleanza.

Questo non è ancora il caso del governo Letta. Ma il presidente del Consiglio è consapevole che il rischio esiste e che le prospettive delle larghe intese poggiano in buona misura sulla sua personale leadership, sulla sua capacità di prendere iniziative e di trasmettere messaggi convincenti all’opinione pubblica. La sonnolenza estiva della maggioranza e la perdita di coesione sono pericoli dietro l’angolo e solo il premier può esorcizzarli. Ma è una fatica quotidiana di non poco conto, anche perché i limiti delle forze politiche sono sotto gli occhi di tutti: le priorità di Pd e Pdl sono altre e hanno a che vedere con i problemi interni dei due partiti. A maggior ragione, Letta fa bene a tenere sotto pressione i suoi partner e a battere qualche pugno sul tavolo: anche sfidando l’ostruzionismo dei Cinque Stelle. Forse nel prossimo futuro dovrà farlo di più. Così come dovrà trovare il coraggio per qualche colpo d’ala che vada oltre la politica del mero buon senso.

Ad esempio ieri il premier ha parlato a lungo contro l’evasione fiscale: un cavallo di battaglia di molti governi, benché poi l’esito finale di queste battaglie sia sempre in chiaroscuro. Forse avrebbe dovuto rendere più esplicito qualche strumento innovativo nella lotta all’evasione, non solo in chiave repressiva: magari quel “contrasto di interessi” che trasforma i cittadini nei primi alleati dello Stato perché vi trovano la loro convenienza economica. Sul finanziamento pubblico ai partiti Letta è riuscito a essere coraggioso. Dovrebbe esserlo anche in altri campi perché non sempre il richiamo di tipo morale al senso civico dei cittadini basta per ottenere un risultato.

Detto questo, è chiaro che il dibattito pubblico è frenato dall’attesa per la sentenza della Corte di cassazione. Fino a quando non si conoscerà la parola definitiva sul destino di Berlusconi si resta in una sorta di limbo. Poi si vedrà. Il presidente della Repubblica ha ribadito con chiarezza al “Corriere” che non intende sciogliere le Camere o cambiare maggioranza (peraltro non ce n’è un’altra a disposizione) visto che l’iter esporrebbe il paese a rischi troppo gravi. E il presidente del Senato ha ripreso un punto che sta a cuore al Quirinale: la necessità di non destabilizzare la vita politica a causa di una vicenda giudiziaria. Messaggio rivolto a Berlusconi, ovviamente, ma che riguarda anche i suoi avversari politici.

Sotto questo aspetto la Cassazione segnerà una discriminante. Ci sarà un prima e un dopo. In molti avranno la tentazione di usare la sentenza, quale essa sia, per gettare un grosso macigno nello stagno governativo. E dunque Letta fa bene a darsi da fare sfidando la calura. Marciare di buon passo è l’unico antidoto contro i fattori corrosivi che certo non mancano nella coalizione.

Il Sole 24 Ore 25.07.13

“Un patto chiaro o sarà il collasso”, di Claudio Sardo

La ferita profonda, inferta alla nostra dignità nazionale dal caso di Alma Shalabayeva, ha indebolito il governo. Ma ad essere sinceri non è il solo motivo di affano per Enrico Letta, stretto da un lato da una crisi sociale drammatica e dall’altro da una maggio- ranza senza alcuna solidarietà politica. Il bisogno di governo, che, oltre la coltre di sfiducia e di rabbia, il Paese esprime in ogni suo punto di sofferenza, non è di per sè sufficiente a garantire stabilità ed efficacia.

E tanto meno lo è in ragione dei vincoli che impongono ancora politiche restrittive nel 2013, e aprono (forse) qualche spiraglio solo nel prossimo anno. Per tornare a respirare abbiamo assoluta necessità e urgenza di un cambio delle politiche. Abbiamo bisogno di un’Europa che pensi e agisca diversamente da come ha fatto finora. E dobbiamo fare con coraggio la nostra parte, costruendo una nuova, vera alleanza per il lavoro, che sappia incidere sugli interessi e i poteri reali, riducendo i vantaggi delle rendite finanziarie e di quelle corporative. Non torneranno gli equilibri di prima della crisi. Per difendere il modello sociale europeo dobbiamo anche saperlo cambiare, rendendolo più competitivo e più egualitario.

Si dirà: ma questo è il programma di un governo politico, espressione di una maggioranza coesa. Come si può anche solo immaginare che un esecutivo di «necessità» svolga una simile missione? Eppure la «necessità» è questa. Ogni rinvio rischia di bruciare opportunità per il futuro. Se le elezioni fossero una via praticabile, dovrebbero essere prese in seria considerazione. Ma non lo sono. E non soltanto perché il ricorso troppo frequente al voto anticipato ormai pesa come una zavorra sulla credibilità dell’Italia, e persino sulla stabilità dell’ordinamento (questione assai rilevante per gli investitori). Il problema è che il nostro sistema politico-istituzionale è al collasso. La legge elettorale è indegna, incostituzionale, e per di più non garantisce governabilità. Ma bisogna essere sinceri: la stessa riforma elettorale, pur necessaria, da sola non garantisce nulla. Se non si modifica il bicameralismo paritario, se non si rafforza il governo con istituti come la sfiducia costruttiva, se non restitusce al Parlamento e ai partiti quei valori costituzionali sottratti dalla seconda Repubblica, qualunque vincitore delle elezioni verrà travolto dal trasformismo, dalla frammentazione politica, dal notabilato locale.
Questo è il passaggio infernale per l’Italia. Sembra un’impresa impossibile, essendo Pd e Pdl nella stessa maggioranza e i Cinque stelle «indisponibili a tutto». Sembra impossibile anche perché si fatica a pronunciare parole di verità. Il problema di oggi non è l’«inciucio» che Grillo denuncia e che in tutta evidenza non esiste. Il problema non è neppure cercare, come qualcuno favoleggia a destra, una «pacificazione» che non avrebbe altro senso se non legittimare una fuoriscita dall’orizzonte costituzionale. Il problema è che il governo poggia su una maggioranza priva di uno straccio di intesa. Per questo Letta è continuamente esposto agli sgambetti, ai ricatti, alle minacce dei falchi della destra (e di Berlusconi che li usa).
Questo governo è nato per affrontare l’emergenza sociale e democratica, per mettere il lavoro in cima all’agenda italiana ed europea, per riformare le istituzioni (e la legge elettorale) in modo da restituire ai cittadini il diritto di scegliere. Questo governo è nato per arrivare alla fine del 2014 e far celebrare il referendum sulle modifiche costituzionali al termine della presidenza italiana dell’Ue. Ma siamo al bivio decisivo. O la maggioranza fissa alcuni punti di intesa – pubblicamente e solennemente – lasciando alla libertà del Parlamento tutto ciò che non rientra nel protocollo di accordo, oppure condanna il governo ad una rapida asfissia. La separazione tra politica e giustizia è ovviamente una premessa: qualunque sia l’esito dei processi di Berlusconi, le sentenze saranno rispettate da governo e maggioranza. Se qualcuno nel Pdl la pensa come Brunetta, lo dica subito: una scelta eversiva dopo un’eventuale condanna del capo, segnerebbe automaticamente la fine del governo.
Ma, qualora il principio della separazione dei poteri fosse rispettato, bisognerebbe comunque definire cinque-dieci punti programmatici di compromesso. Uno di questi deve riguardare le riforme istituzionali: meglio sarebbe approvare subito una legge di salvaguardia che archivi il Porcellum prima della pronuncia della Consulta, tuttavia va chiarito al più presto che la via semi-presidenziale è sbarrata. La sola riforma realistica è il rafforzamento del governo parlamentare. Si lavori a questo con ritmi incalzanti e si recuperi all’opera di manutenzione (e di difesa dei principi costituzionali) quanti ora sono alla finestra, nel timore di un esito presidenzialista e plebiscitario. Si fissino le priorità sul lavoro, chiamando imprese, sindacati, Terzo settore, cooperative e i tanti corpi intermedi che vogliono dare una mano all’Italia. E si finisca con il tormentone dell’Imu: le giuste esenzioni per i ceti più poveri e per le classi medie non possono esonerare i più ricchi da un equo contributo per la ripresa del Paese. Non è facile accettare una così strana maggioranza: ma senza parole di verità e di chiarezza, non costruiremo domani un bipolarismo competitivo. E la «necessità» dell’Italia verrà ancora tradita.

L’Unità 25.07.13

“Segnali di crescita ma lo sviluppo va sostenuto” di Alberto Quadrio Curzio

Le buone notizie congiunturali-previsive sull’inversione di tendenza della decrescita europea vanno prese con soddisfazione ma anche con cautela e vanno sempre collocate nelle prospettive e nelle valutazioni strutturali di medio-lungo termine. Anche perché, come vedremo, spesso non ci troviamo di fronte ad un passaggio alla crescita ma solo ad un rallentamento della decrescita. Per questo, per noi, è tuttora difficile pensare che la grande crisi che la Uem sta vivendo dal 2008, anche a causa di politiche economiche sbagliate, si stia risolvendo da sola. Non vorremmo che qualcuno tragga dai sintomi la conclusione che le politiche del rigore fiscale, non controbilanciate da investimenti europei in partenariato pubblico-privato (su cui ci sono progetti importanti elaborati dalla Commissione europea), siano state e siano la ricetta giusta. A meno che ci si accontenti di una crescita di lungo periodo del Pil sotto l’1% annuo e con una disoccupazione al 10%, associata ad un crollo nel tasso di attività che andrebbe ad incidere pesantemente sui bilanci pubblici.

Consideriamo tuttavia le odierne, buone, notizie sull’economia reale e sul credito. Un binomio inscindibile per una ripresa durevole.

L’economia reale. Gli indici di Markit con le previsioni Flash Pmi (Purchasing Managers Index) sull’Eurozona sono affidabili in quanto costruiti con metodologie serie su un campione di 5mila aziende della Uem. Quelli odierni danno notizie in prevalenza di miglioramento circa la produzione (indice composito della manifattura e del terziario) e su un’altro indice composito (più ampio) per il solo manifatturiero. L’indice composito della produzione, che è una media tra quello della manifattura e quello del terziario, è arrivato ai suoi massimi da 18 mesi superando la soglia di 50 che rappresenta il passaggio dalla contrazione all’espansione. Quello composito più ampio per il solo manifatturiero, che è molto importante combinando vari indicatori parziali (ordini, produzione, occupazione, tempi di consegna dei fornitori, giacenze), è passato dal 48,8 di giugno al 50,1 di luglio che è un massimo da 24 mesi. Anche l’indice degli ordinativi del manifatturiero è cresciuto per la prima volta dal maggio del 2011 trainato però dal mercato estero. È noto, infatti, (e non c’è bisogno di indicatori) che il mercato interno rimane molto debole.

Il terziario non ha invece superato il livello 50. L’indice degli ordinativi ha proseguito la discesa ma ad un ritmo molto rallentato rispetto ai mesi precedenti. Tuttavia anche per questo settore le aspettative sui prossimi mesi sono migliorate raggiungendo il livello più alto dall’aprile 2012.

Guardando ai due più grandi Paesi della Uem si rileva che in Germania gli indicatori sono tutti in miglioramento con entità più o meno marcate. In Francia il calo della produzione ha rallentato con il manifatturiero in crescita e il terziario in calo ma a tassi più deboli. I Paesi periferici della Uem hanno continuato nei cali ma a velocità rallentata. Quanto all’Italia avremo i dati la settimana ventura.
Nel complesso si tratta di una situazione congiunturale con delle tenui luci previsionali che a nostro avviso vengono ulteriormente ombreggiate dal dato sull’occupazione. Perchè la discesa continua, né basta osservare che il calo dell’indice è stato il meno accentuato dal giugno del 2012 per i servizi e dall’inizio del 2012 per il manifatturiero.

Il credito
Anche la valutazione della Bce sul credito bancario lascia intravedere, nella maggior parte delle interpretazioni, segnali di miglioramento nel secondo trimestre dell’anno. Nel senso che, malgrado le banche continuino a tenere rigide le condizioni nei confronti delle imprese, va migliorando il credito alle famiglie. Fruitrici per le quali si prevede un ulteriore miglioramento per le prospettive nel mercato delle abitazioni (a nostro avviso molto incerte). Tuttavia il fatto che la domanda di credito per investimenti fissi delle imprese rimanga debole e che molte banche siano in situazioni difficili per fidi deteriorati e per carenze di capitale, non depone per una valutazione complessivamente rassicurante. Anche perché i previsti controlli della Bce e dell’Eba indurranno le banche ad essere molto caute fino almeno alla primavera del 2014.

In conclusione
Dal punto di vista della dinamica di medio-lungo termine non bisogna mai dimenticare il 2013 sarà il terzo anno con decrescita nella Uem dal 2008 mentre negli altri tre anni la crescita non ha mai superato il 2%. A sua volta la disoccupazione è passata dal 7,6% del 2008 al 12,2% attuale. Siamo troppo distanti da una crescita vicina al 3% e da una disoccupazione intorno all’8% com’era stati nel 2006 e nel 2007. Le previsioni macroeconomiche dicono che dopo il calo dello 0,7% del Pil di quest’anno, la Uem crescerà dello 0,8% nel 2014 e dell’1,3% nel 2015. Meglio che calare, ma poco in confronto ad Usa e Giappone che potrebbero andare ad una crescita del Pil vicina al 3% con una disoccupazione sotto il 7% (per gli Usa) e vicina al 4% (per il Giappone). Strano, visto che non pochi giudicano sbagliate (basandosi prevalentemente sul rapporto tra il debito pubblico e il Pil) le loro politiche. L’uscita dalla recessione della Uem, che forse è vicina, non significherebbe quindi ripresa di una vera crescita per la quale sono necessarie politiche espansive a livello della Uem nel suo insieme.

Il Sole 24 Ore 25.07.13

“Un patto tra le generazioni per salvare il paese”, di Carla Cantone*

Non voglio scomodare papa Francesco, mi sembrerebbe esagerato. Ma forse in pochi hanno avuto modo in questi giorni di riflettere sulle parole da lui spese alla vigilia del suo viaggio in Brasile. Il Papa, con la concretezza che manca a molti, ha detto che aiutare i giovani significa farli uscire dall’isolamento in cui si trovano perché il rischio reale è che questo modello di società li lasci senza lavoro e quindi senza futuro. Questo è davvero insopportabile perché sono i giovani che con la loro identità, cultura e fede costituiscono il futuro di un popolo. Ma papa Francesco non si è limitato a questo ed ha aggiunto un pensiero preciso che condivido da tanto tempo e che quindi sottoscrivo in pieno: «Il futuro è anche degli anziani, perché sono loro i depositari della saggezza di vita». È un messaggio importante che dovrebbe contagiare la classe politica e che suona come musica per noi dello Spi, che siamo un sindacato di lotta e di memoria. Un Paese che si dice civile, moderno e democratico dovrebbe essere tanto per i giovani quanto per gli anziani. Il nostro però ad oggi non è in grado di dare risposte né agli uni né agli altri. Verrebbe da dire che l’Italia non è un Paese per nessuno ma in realtà non è nemmeno così. C’è qualcuno che con questo modello di società ha visto accrescere i propri guadagni e ha rafforzato la propria posizione di potere e di privilegio. Penso ai grandi manager che in tempi di crisi hanno continuato ad arricchirsi, anche se le aziende che dirigono hanno perso quote importanti di mercato e magari i loro operai sono finiti in cassa integrazione se non licenziati. Tutti abbiamo letto la classifica dei loro compensi, in pochi ci siamo scandalizzati. Scandalizzarsi non vuol dire avercela con i ricchi in quanto tali. Non è di invidia sociale che sto parlando ma del bisogno di una giustizia e di un’equità che tarda sempre di più ad arrivare. A fare da contro-altare ci sono infatti i dati sulla povertà, che cresce senza che nessuno dica o faccia niente. C’è il problema dei giovani che non hanno un’occupazione, che studiano per anni senza avere la certezza che i propri sforzi saranno ripagati e che porteranno a qualcosa. E c’è il problema di milioni di anziani che con la misera pensione che hanno si ritrovano a dover rinunciare alle cure sanitarie e all’acquisto di beni di primissima necessità, magari finendo nei mercati a raccogliere gli scarti di frutti e verdura. Fa rabbia la solerzia con cui nel nostro Paese si corre sempre in soccorso di chi sta meglio mentre con leggerezza o fingendo compassione si colpisce chi sta male, chi è in difficoltà, chi avrebbe bisogno di essere sostenuto. Penso a quanto successo con il «decreto del fare» e alla vergognosa cancellazione del tetto allo stipendio dei manager pubblici. Ma penso anche a quella sentenza della Corte costituzionale che ha eliminato il contributo di solidarietà per le pensioni d’oro. Su questo in tanti si sono sperticati a spiegarci che i termini della sentenza sono giusti e legittimi, che non è costituzionale colpire una sola categoria di persone, che non ce la possiamo prendere con la Corte. Proprio alla luce di queste obiezioni viene da domandarsi se invece fosse costituzionale bloccare la rivalutazione delle pensioni a sei milioni di persone che hanno lavorato per 40 anni e che oggi si ritrovano con un assegno mensile da 1.200 euro netti. Sono cose che gridano vendetta non solo perché profondamente ingiuste ma anche perché reiterate nel tempo. Permettetemi quindi di pensare che non si tratti di errori o di sviste ma di un preciso disegno che punta a non scomodare i privilegi dei ricchi e dei potenti con buona pace del popolo servitore. Per creare lavoro per i giovani mancano sempre le risorse, così come per migliorare la condizione degli anziani. A nessuno è ancora venuto in mente di andarle a prendere laddove ci sono, scomodando qualche ricco e chiedendogli di farsi carico della situazione in cui ci troviamo. Di fronte a tutte queste ingiustizie serve allora un profondo cambio di passo. Non siamo tutti sulla stessa barca. Nel mare agitato del nostro Paese c’è chi naviga su un panfilo e chi invece rema a fatica su una zattera. È arrivato il momento che si cominci a restituire qualcosa a chi ci sta tenendo in piedi il Paese in questa drammatica crisi come i lavoratori e i pensionati e che si offra una prospettiva di vita dignitosa a chi è più giovane. Ed è proprio su questo che abbiamo combattuto Berlusconi e Monti, e quindi è sempre su questo che pretendiamo risposte da chi è ora al governo. Si è costruita una maggioranza anomala: metà di destra e l’altra metà di centro-sinistra, qualcuno dice molto utile. Si dimostri questa utilità con atti precisi per consegnare al Paese un po’ di giustizia sociale e forse potremo dire che l’Italia è anche un Paese per giovani e per anziani.

L’Unità 25.07.13

“M5S come la peggior partitocrazia, così salta tutto”, di Andrea Carugati

«Un comportamento irresponsabile del movimento 5 Stelle, un ostruzionismo degno della peggiore partitocrazia». Roberto Speranza, capogruppo Pd alla Camera, è furioso con i grillini che «hanno costretto il governo a mettere la fiducia sul decreto del fare e che rischiano di bloccare il Parlamento e di far slittare provvedimenti importanti come l’omofobia e lo stop ai fondi per i partiti».

È stata una giornata parlamentare caotica. Cerchiamo di riannodare alcuni fili…
«Il decreto del fare contiene provvedimenti importanti, come il Fondo di garanzia per credito e imprese, il wi-fi libero, mediazione e semplificazione per le opere pubbliche. Abbiamo aperto alle proposte delle opposizioni fin dai lavori in commissione e saremmo stati disposti a farlo anche in Aula. Ma ci siamo trovati di fronte a 800 emendamenti, 500 dei quali solo del M5S. Era necessario ridurre quel numero ma abbiamo trovato un muro. Sembra quasi che i grillini volessero il voto di fiducia».

Loro sostengono che avevano ridotto a 8 i loro emendamenti.
«La questione l’hanno messa così: se la maggioranza avesse approvato tutti i loro 8 emendamenti principali loro avrebbero ritirato gli altri. Altrimenti li avrebbero mantenuti tutti. Si tratta di una logica da mercato delle
vacche, irricevibile. Poi abbiamo proposto di votare la fiducia prima di 24 ore, e comunque di lasciar lavorare alcune commissioni anche durante lo stop, per far partire le votazioni sul finanziamento i partiti. Ma anche qui i 5 Stelle hanno fatto muro. E basta un solo gruppo contrario per impedire i lavori delle commissioni. Un ostruzionismo fine a se stesso che serve solo a bloccare l’azione di Parlamento e governo».

Anche le norme sull’omofobia rischiano di non essere votate il 26 luglio? «Bisogna completare l’iter del decreto del fare, poi votare il decreto sugli ecobonus. Queste 24 ore di stop rischiano di complicare tutto. E sugli ordini del giorno del decreto del fare è attesa per oggi un’altra ondata di ostruzionismo dei 5 stelle in Aula. Per questo omofobia e fondi ai partiti rischiano di slittare».
E tuttavia i 5 Stelle sono un movimento anti-sistema. Non è fisiologico che si muovano in questo modo barricadero?

«Dalle opposizioni mi aspetto contributi per migliorare i provvedimenti. Costringere il governo a mettere la fiducia è la strada peggiore, perché impoverisce la discussione. Io vorrei una opposizione critica che aiuti a fare meglio, invece qui si urla molto ma non si produce nessun passo avanti. E pensare che in commissione avevamo approvato 14 emendamenti dei grilli- ni. Alcune settimane fa sul decreto emergenze si sono comportati nello stesso modo: hanno evitato la trattativa e si sono rifugiati nell’ostruzionismo. È una strategia di pura rottura.

Con quale obiettivo, alla fine?

«È una scelta che nasce a mio parere anche da una immaturità, da una incapacità di immaginare il ruolo dell’opposizione in senso costruttivo. Faccio un esempio: che senso ha avuto impedire alle commissioni di riunirsi? Cosa porta di positivo ai cittadini?». Sull’omofobia, al di là dei ritardi, parte del Pdl vuole mettersi di traverso… «Nel Pdl c’è stato un dibattito complicato su questo tema, ma io sono convinto che alla fine prevarrà la parte più ragionevole che capisce che si tratta di un passo avanti per l’Italia sul tema dei diritti e della civiltà. Del resto il voto in Commissione è stato positivo da parte del Pdl».

E tuttavia Brunetta continua a dire che quel tema non è una priorità…
«Quello sull’omofobia è un provvedimento così semplice da rendere debole e indifendibile qualsiasi posizione di contrarietà strumentale. Per questo sono convinto che porteremo a casa il risultato».

Il ddl sui fondi ai partiti ormai quasi certamente slitterà.
«C’è stata una lunga discussione, e noi non chiederemo alcun rinvio. Anzi, faremo il possibile per votare nei tempi previsti. Se non ci sarà un sì della Camera prima della pausa estiva non sarà certo per responsabilità del Pd».

E tuttavia sui finanziamenti alla politica non mancano i problemi tra Pd e Pdl e anche dentro i due partiti. Non può essere solo colpa dei 5 stelle se il ddl non sarà approvato…

«Dentro il Pd c’è stato un lavoro importante, moltissime riunioni che hanno prodotto un avanzamento. Per questo penso che il nostro gruppo sarà unito su una posizione nel solco della proposta del governo, che vuole superare il vecchio finanziamento e nel contempo non lasciare la politica solo ai ricchi. Le distanze che c’erano anche tra noi sono state in larga parte colmate»

Dunque che tipo di sostegno avranno i partiti dallo Stato?
«Si passerà da un finanziamento diretto a uno indiretto, fatto in gran parte da contributi volontari dei cittadini». Eppure si stanno ancora levando voci autorevoli del Pd per chiedere che i partiti vengano ancora finanziati.

«Mi pare complicato immaginare che rimangano forme di sostegno diretto».
Non si rischia di passare dall’estremo dei soldi a pioggia all’altro, a partiti ostaggio delle lobbies? L’Italia diventerebbe l’unico grande paese europeo senza una qualche forma di sostegno alla politica….

«La gestione che è stata fatta in questi anni ha scatenato un senso di condanna nell’opinione pubblica. Non tutti i partiti si sono comportati allo stesso modo, il Pd da tempo fa certificare i propri bilanci da una società esterna. E tuttavia ci sono stati troppi scandali, e per questo il finanziamento come l’abbiamo conosciuto non è più sostenibile».

l’Unità 24.07.13

“Presto un altro strumento per favorire la parità di genere”, di Valeria Fedeli

Nello scenario disegnato dalla crisi, con sfide inedite da affrontare e nuovi percorsi di crescita da realizzare, il ruolo delle donne può essere decisimo. Per orientare le politiche pubbliche alla ripresa economica e produttiva, alla riduzione delle diseguaglianze, alla coesione sociale e all’equità, non si può prescindere oggi dall’analisi e dalla verifica dell’impatto di genere, sulla scia dell’impostazione mainstreaming assunta in sede europea sin dal 2006.
Oggi in Italia le donne continuano a dover affrontare condizioni di vita più dure e discriminatorie. È una questione di modelli culturali, di stereotipi, di debolezze di sistema, di inefficacia delle politiche pubbliche.
Oggi in Italia lavora il 47,1% di donne, rispetto ad una media Ue del 58,6%. Chi lavora poi fatica a trovare posizioni qualificate, viene pagata meno degli uomini, non riesce a fare carriera. Ancor più con la crisi: tra il 2008 e il 2012, secondo i dati Istat, si sono persi 376.000 posti di lavoro qualificati occupati da donne, mentre le posizioni non qualificate sono 242.000 in più. Inoltre le donne continuano a essere pagate meno degli uomini: il gender pay gap italiano indica che, a parità di altre condizioni, in media la retribuzione oraria delle donne è dell’11,5% inferiore a quella degli uomini.
Pochi dati, ma già sufficienti a definire il sistema di disuguaglianze e disinvestimento economico in cui ci troviamo. Il fatto che poche donne lavorino e che siano relegate a ruoli meno qualificati determina uno spreco di un potenziale, quello femminile, che potrebbe essere il vero volano della crescita. Le donne hanno energie e intelligenze capaci di produrre qualità, etica, ugua- glianza, sviluppo. Ma in Italia vengono sprecate, quando non disprezzate.

Il ddl «Disposizioni per la valutazione dell’impatto di genere della regolamentazione e delle statistiche di ge- nere», che abbiamo presentato ieri, con firme di tutti i gruppi parlamentari, vuole essere un grimaldello per sbloccare la situazione, e fare in modo che le scelte che abbiamo di fronte per far tornare la crescita siano orientate da un punto di vista di mainstreaming di genere.

Il ddl prevede un insieme articolato di misure mirate ad evitare che decisioni politiche e atti istituzionali – apparentemente neutri rispetto al genere – possano avere un impatto diverso su donne e uomini, anche non voluto.

È prevista l’istituzione di un Osservatorio consultivo sull’impatto di genere della regolamentazione pubblica. La produzione sistematica di statistiche ufficiali di genere, impegno già assunto dall’Italia con la sottoscrizione della piattaforma della Conferenza dell’Onu di Pechino sulla condizione femminile, nel 1995. Il coordinamento, poi, delle amministrazioni in materia di analisi e verifica dell’impatto di genere delle normative.

La modifica, ancora, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna e della legge di riforma della contabilità pubblica, per includere l’analisi di impatto di genere in termini economici ed occupazionali.

Il ddl mette l’Italia in linea con le indicazioni europee: nella tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 della Commissione si sottolineava che «l’applicazione di metodologie in tema di parità tra donne e uomini, quali la valutazione dell’impatto rispetto al genere e il bilancio di genere, favorirà la parità tra donne e uomini e apporterà maggiori trasparenza e affidabilità».

È l’ambizione di questo ddl. Non un intervento circoscritto, urgente e culturale insieme, come ad esempio le proposte contro il femminicidio, con cui procede in parallelo, ma un modo per cambiare completamente la prospettiva di governo e di produzione normativa.

Il ddl è uno strumento, nell’insieme delle sue misure, di analisi preventiva e poi di verifica degli effetti delle normative e delle politiche pubbliche su cittadini e im- prese. Se approvato, come mi auguro, permetterà all’Italia una concreta azione di equilibrio nelle condizioni di vita di donne e uomini, integrando organica- mente nel nostro sistema la cultura e le misure di mainstreaming di genere.

Sarebbe un bel segnale di cambiamento, un risultato importante per il Parlamento con più donne di sempre. Un incoraggiamento per il futuro, con la consapevolezza, però, che questa non è una battaglia delle donne, ma è la sfida dell’Italia.

L’Unità 24.07.13

«La mia Laura, innamorata della politica», di Giuseppe Vespo

«Morire così… È il modo in cui si muore… per un sogno… perché mia moglie stava realizzando il sogno della sua vita, fare il sindaco per lei era mettere in pratica delle cose, voleva dire fare qualcosa di concreto per la gente… Morire così è assurdo», dice Giuseppe Poliseno, marito di Laura Prati, la sindaca di Cardano al Campo, morta dopo l’aggressione in Comune.

Parla di lei e di quella «passione» che con lei ha condiviso per vent’anni, l’amore e l’amore per la politica, dal matrimonio all’ultimo giorno insieme, fin da quando dovettero rientrare dal viaggio di nozze nel Salento perché a Cardano il Consiglio doveva eleggere il nuovo sindaco e lui, Giuseppe, giovane militante e consigliere prima del Pci poi del Pds non poteva mancare. Era il Novanta. «C’era la possibilità di formare una Giunta insieme ai socialisti, dovevo rientrare, anche se poi la cosa non andò in porto».

Fu in quella occasione che Laura riconobbe la sua vocazione. «Si avvicinò alla sezione. In quel periodo le cose cambiavano in fretta. Il segretario si era dimesso e bisognava eleggerne uno nuovo. Nel partito non sapevano chi scegliere, volevano una donna, ricordo ancora quel momento, ricordo che mi guardò e mi disse di voler provare. E fu eletta».

Cominciò così una lunga carriera «prima nella segreteria provinciale, poi nell’assemblea nazionale, fino alla presidenza della direzione provinciale del Pd. Venne eletta consigliere provinciale, vice sindaco per due mandati, poi volle provare da sola, rompendo l’equilibrio tra le forze di centro e quelle di sinistra. “Anche a Cardano può esserci un sindaco di sinistra”, diceva. E aveva ragione. Vinse le primarie per un solo voto, provocando qualche mal di pancia nel partito, ma andò avanti. Era una battagliera, e d’altra parte se non lo fosse stata non sarebbe mai arrivata dove è arrivata. Laura voleva realizzare un programma di sinistra e lo stava facendo: è stata la prima, almeno in provincia ad istituire il Registro del Testamento biologico, ha inaugurato la residenza per anziani “Paolo VI” e ne ha dedicato tre sale a tre scrittrici impegnate. Per questo è stata criticata dall’opposizione e anche dal bollettino parrocchiale. Ma lei era così: faceva le cose in cui credeva».

Credeva nei diritti, nelle donne, nella cultura. «Era un vulcano. Era sindaco ma era moglie, madre, studente. Si era iscritta all’Università di Ferrara in Archeologia, perché amava la storia antica. A mio figlio dicevo: “Guarda tua madre, fa mille cose e prende anche trenta. Tu ti sei fermato al ventisette…».

Era moglie. «Ripensandoci, sa com’è in questi momenti, forse avrei potuto farle pesare meno il fatto che era sempre molto impegnata. Ogni tanto glielo dicevo. E lei faceva di tutto per essere presente. Quando è stata eletta ha anticipato la riunione di Giunta alle 18, così alle 20,30 o alle 21 riusciva ad essere in famiglia. Alle ultime elezioni politiche, visto che era stata la prima dei non eletti alle regionali, avrebbe avuto la possibilità di candidarsi alla Camera. Ma ragionava sul fatto che andare a Roma avrebbe significato sacrificare noi: “E poi mia figlia quando la rivedo”», diceva.

Era madre. Di Alessia, dodici anni. «Credo che lei non abbia ancora percepito del tutto. Mi si avvicina, mi coccola, non vuole che pianga, gioca con le cugine, le persone che ci sono vicine. Vedremo come reagirà nei prossimi giorni, quando la casa resterà vuota. Massimo ha 21 anni, sta soffrendo moltissimo ma è un uomo. Era contento di come abbiamo trascorso l’ultima notte con Laura. Le abbiamo parlato tantissimo, mi ha detto: “Papà è stata la notte più bella della mia vita, non ho mai parlato tanto con mia madre”. Le abbiamo anche letto un libro bellissimo che aveva cominciato: “Il buio oltre la siepe”».

«I libri erano un’altra delle sue passioni. Li ha inseriti nel suo programma, portando a Cardano la rassegna internazionale “Libreville, la città dei libri”. È stata la sua ultima iniziativa pubblica, prima che succedesse quello che è successo. Amava anche il teatro, il cinema, la storia. Da poco aveva fatto uno stage presso gli scavi di Mont Saint Michel, in Normandia».

Mille impegni, tanti amori e ma poi tornava sempre al suo lavoro, alla passione più grande. «In casa parlavamo spesso di politica, avevamo anche punti di vista differenti. Io per esempio sul partito ero molto critico, lei che ne faceva parte cercava invece di giustificare alcune scelte.

A volte i ruoli si invertivano, le dicevo di non cercare lo scontro con l’opposizione ma lei era sempre molto decisa, convinta di quello che faceva. Puntava molto sui servizi, e ultimamente le pesava di aver dovuto alzare l’Imu per non tagliarli. Per le famiglie ha creato degli spazi laici gestiti dal Comune, che si occupano dei bambini quando i genitori sono al lavoro e le scuole sono chiuse. A Natale, a Pasqua, in estate».

Anche in questa, la sua ultima, condannata dall’odio di un uomo che di Laura Prati ha fatto il simbolo del suo fallimento e su di lei ha scaricato il rancore provato per quelle accuse, per il coinvolgimento in una truffa ai danni del Comune che gli è costata la sospensione dal posto di lavoro per sei mesi. «La sola colpa di Laura è stata di nominare una commissione che ha deciso di prorogare quella sospensione». Per questo, l’ex vigile urbano Giuseppe Pegoraro è tornato in Comune, ha sparato al sindaco e al suo vice, Costantino Iametti. Adesso è accusato di omicidio volontario.

«Non ho mai pensato a lui, in queste settimane ho pensato solo a mia moglie, a starle vicino, occuparmi di lei. Sembrava che stesse guarendo, c’era ottimismo. Poi tutto è precipitato. Di lui non so cosa dire, non so cosa provare, spero solo che sia fatta giustizia, perché ha distrutto un sogno… Mia moglie stava realizzando il sogno della sua vita».

La camera ardente verrà allestita nei prossimi giorni, forse già venerdì i funerali.

L’Unità 24.07.13