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“Un patto tra le generazioni per salvare il paese”, di Carla Cantone*

Non voglio scomodare papa Francesco, mi sembrerebbe esagerato. Ma forse in pochi hanno avuto modo in questi giorni di riflettere sulle parole da lui spese alla vigilia del suo viaggio in Brasile. Il Papa, con la concretezza che manca a molti, ha detto che aiutare i giovani significa farli uscire dall’isolamento in cui si trovano perché il rischio reale è che questo modello di società li lasci senza lavoro e quindi senza futuro. Questo è davvero insopportabile perché sono i giovani che con la loro identità, cultura e fede costituiscono il futuro di un popolo. Ma papa Francesco non si è limitato a questo ed ha aggiunto un pensiero preciso che condivido da tanto tempo e che quindi sottoscrivo in pieno: «Il futuro è anche degli anziani, perché sono loro i depositari della saggezza di vita». È un messaggio importante che dovrebbe contagiare la classe politica e che suona come musica per noi dello Spi, che siamo un sindacato di lotta e di memoria. Un Paese che si dice civile, moderno e democratico dovrebbe essere tanto per i giovani quanto per gli anziani. Il nostro però ad oggi non è in grado di dare risposte né agli uni né agli altri. Verrebbe da dire che l’Italia non è un Paese per nessuno ma in realtà non è nemmeno così. C’è qualcuno che con questo modello di società ha visto accrescere i propri guadagni e ha rafforzato la propria posizione di potere e di privilegio. Penso ai grandi manager che in tempi di crisi hanno continuato ad arricchirsi, anche se le aziende che dirigono hanno perso quote importanti di mercato e magari i loro operai sono finiti in cassa integrazione se non licenziati. Tutti abbiamo letto la classifica dei loro compensi, in pochi ci siamo scandalizzati. Scandalizzarsi non vuol dire avercela con i ricchi in quanto tali. Non è di invidia sociale che sto parlando ma del bisogno di una giustizia e di un’equità che tarda sempre di più ad arrivare. A fare da contro-altare ci sono infatti i dati sulla povertà, che cresce senza che nessuno dica o faccia niente. C’è il problema dei giovani che non hanno un’occupazione, che studiano per anni senza avere la certezza che i propri sforzi saranno ripagati e che porteranno a qualcosa. E c’è il problema di milioni di anziani che con la misera pensione che hanno si ritrovano a dover rinunciare alle cure sanitarie e all’acquisto di beni di primissima necessità, magari finendo nei mercati a raccogliere gli scarti di frutti e verdura. Fa rabbia la solerzia con cui nel nostro Paese si corre sempre in soccorso di chi sta meglio mentre con leggerezza o fingendo compassione si colpisce chi sta male, chi è in difficoltà, chi avrebbe bisogno di essere sostenuto. Penso a quanto successo con il «decreto del fare» e alla vergognosa cancellazione del tetto allo stipendio dei manager pubblici. Ma penso anche a quella sentenza della Corte costituzionale che ha eliminato il contributo di solidarietà per le pensioni d’oro. Su questo in tanti si sono sperticati a spiegarci che i termini della sentenza sono giusti e legittimi, che non è costituzionale colpire una sola categoria di persone, che non ce la possiamo prendere con la Corte. Proprio alla luce di queste obiezioni viene da domandarsi se invece fosse costituzionale bloccare la rivalutazione delle pensioni a sei milioni di persone che hanno lavorato per 40 anni e che oggi si ritrovano con un assegno mensile da 1.200 euro netti. Sono cose che gridano vendetta non solo perché profondamente ingiuste ma anche perché reiterate nel tempo. Permettetemi quindi di pensare che non si tratti di errori o di sviste ma di un preciso disegno che punta a non scomodare i privilegi dei ricchi e dei potenti con buona pace del popolo servitore. Per creare lavoro per i giovani mancano sempre le risorse, così come per migliorare la condizione degli anziani. A nessuno è ancora venuto in mente di andarle a prendere laddove ci sono, scomodando qualche ricco e chiedendogli di farsi carico della situazione in cui ci troviamo. Di fronte a tutte queste ingiustizie serve allora un profondo cambio di passo. Non siamo tutti sulla stessa barca. Nel mare agitato del nostro Paese c’è chi naviga su un panfilo e chi invece rema a fatica su una zattera. È arrivato il momento che si cominci a restituire qualcosa a chi ci sta tenendo in piedi il Paese in questa drammatica crisi come i lavoratori e i pensionati e che si offra una prospettiva di vita dignitosa a chi è più giovane. Ed è proprio su questo che abbiamo combattuto Berlusconi e Monti, e quindi è sempre su questo che pretendiamo risposte da chi è ora al governo. Si è costruita una maggioranza anomala: metà di destra e l’altra metà di centro-sinistra, qualcuno dice molto utile. Si dimostri questa utilità con atti precisi per consegnare al Paese un po’ di giustizia sociale e forse potremo dire che l’Italia è anche un Paese per giovani e per anziani.

L’Unità 25.07.13

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