Alla Camera Svolgimento di interpellanze urgenti.
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per sapere – premesso che:
tutti i comparti che prevedono scatti automatici di anzianità sono stati oggetto del blocco degli scatti per un triennio, ai sensi del decreto-legge 31 maggio 2010, 78, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 n. 122; luglio 2010, n.
anche per il personale della scuola, con il sopra citato decreto-legge, sono state attuate misure che vanno dal blocco dei contratti e degli scatti di anzianità al congelamento degli stipendi, con l’obiettivo, realizzato, di un taglio della spesa superiore al miliardo di euro nel triennio 2011-2013;
solo per il personale della scuola, a causa delle riduzioni di spesa che nello stesso periodo hanno caratterizzato il settore, si è prevista una specifica modalità di pagamento degli scatti maturati nel triennio 2010-2011-2012, in forza di quanto stabilito dall’articolo 8, comma 14, 78 del 2010; del medesimo decreto-legge n.
il mancato rispetto di tale normativa ha comportato che gli stipendi del personale della scuola (già ampiamente sotto la media europea, a fronte di un costo della vita superiore, invece, alla media dei Paesi dell’Unione europea) siano rimasti sostanzialmente fermi ai livelli del 2009 e lo saranno fino a tutto il 2013;
questo nonostante il fatto che il riconoscimento dell’anzianità di servizio nella scuola con un aumento di stipendio abbia rappresentato, finora, l’unica modalità di avanzamento di carriera possibile per i personale: un avanzamento legato a una maggiore esperienza lavorativa maturata sul campo;
per tali ragioni, e conseguentemente all’impegno assunto dal Ministro interpellato all’inizio del suo mandato, il personale della scuola attende da oltre un anno una risposta chiara sul pagamento degli scatti di anzianità;
a giugno 2012, il Ministro interpellato aveva annunciato una contrattazione in sede Aran per individuare le risorse finanziarie necessarie per poter liquidare quanto dovuto –: in materia agli insegnanti e a tutto il personale della scuola
quali misure il Ministro interpellato intenda assumere per consentire, in tempi rapidi, il pagamento degli scatti di anzianità a tutti i lavoratori della scuola che li hanno maturati nel corso degli anni 2011 e 2012.
(2-01743)
«Coscia, Ghizzoni, Bachelet, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Tocci, Ventura».
(20 novembre 2012)
PRESIDENTE. L’onorevole De Pasquale ha dunque facoltà di illustrare l’interpellanza Coscia n. 2-001743 concernente misure volte a garantire il pagamento degli scatti di anzianità al personale della scuola (vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti), di cui è cofirmataria.
ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questa interpellanza chiediamo per l’ennesima volta e qui domando anzi la possibilità al Presidente di depositare gli atti con i quali diversi deputati del Partito Democratico solo negli ultimi due anni – quelli degli anni precedenti li tralascio vista la mole – hanno chiesto al Governo di tener fede agli impegni assunti per il pagamento al personale della scuola degli scatti di anzianità maturati nel triennio 2010-2011-2012.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,20)
ROSA DE PASQUALE. Infatti, come anche precisiamo nella presente interpellanza: “tutti i comparti che prevedono scatti automatici di anzianità sono stati oggetto del blocco degli scatti per un triennio, ai sensi del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010. Detta misura nel comparto scuola unitamente al blocco dei contratti realizzava un taglio di spesa superiore al miliardo di euro nel triennio 2011-2013, taglio che si andava a sommare a quelli già operati dal decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008. Anche per quest’ultimo motivo, cioè il cumulo spropositato dei tagli al settore dell’istruzione, siamo riusciti a far in modo che gli articoli 8 e 9 del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010 prevedessero solo per il personale della scuola una specifica modalità di pagamento degli scatti maturati nel triennio 2010-2012.
Ora, le motivazioni che ci hanno spinto e che ci spingono ad insistere sulla strada della richiesta al Governo di dare esecuzione ad un dettato normativo non sono solamente quelle legalitarie secondo cui le norme vanno osservate, ma anche il principio pacta sunt serranda, visto che il Ministro Profumo, interpellato all’inizio del suo mandato, si era espresso nel senso di voler onorare l’impegno di un celere e completo pagamento degli scatti di anzianità al personale della scuola, che, comunque, non vede crescere il proprio stipendio a causa del blocco contrattuale sopramenzionato.
A questo proposito voglio qui ricordare che se, da un lato, gli stipendi del personale scolastico risultano essere nel nostro Paese sotto la media europea, dall’altro, il costo della vita, sempre nel nostro Paese, non risulta essere inferiore rispetto agli altri Paesi dell’Europa stessa.
Inoltre, è essenziale a questo punto evidenziare che lo stato giuridico dei docenti non prevede una modalità di avanzamento di carriera né automatica né volontaria e, di conseguenza, l’unico modo per vedere via via aumentare negli anni lo stipendio del personale della scuola, indipendentemente dagli aumenti contrattuali uguali per tutti ed in ogni caso finché il contratto rimane bloccato, è quello di uno sviluppo stipendiale legato ad una maggiore esperienza lavorativa maturata sul campo.
Un notevole peggioramento già il detto sviluppo lo aveva subito negli anni precedenti, quando dagli scatti biennali si era passati agli scatti ogni sei anni. Ma ora il blocco degli stessi, con la conseguente immobilizzazione della progressione di carriera del personale scolastico, sembra davvero troppo.
Certo, siamo ben consapevoli che non basta restituire le somme relative agli scatti di anzianità per dare vita ad una ampia prospettiva di crescita professionale del personale scolastico, ma che occorre porre in essere riforme costruttive e lungimiranti nei confronti dello stesso: ad esempio (lo dico solo per fare un esempio), prevedere una reale e approfondita formazione in servizio per i docenti, rimodulare il reclutamento e la formazione iniziale degli stessi, potenziare la funzione docente con riforme che, mutuate dall’esperienza europea, collochino il nostro Paese a pieno titolo nell’Unione europea stessa, anche nel campo del sapere e della formazione.
È indispensabile, in cinque parole, rimettere al centro l’istruzione. Ed è per questo che non servono tanti altri discorsi. Già ne abbiamo dovuti, in questi anni e in quest’Aula, pronunciare troppi a difesa e per rilanciare la scuola. Ora occorrono fatti ed è per tale motivo che chiediamo al Ministro interpellato quali misure intenda assumere per consentire in tempi rapidi il pagamento degli scatti di anzianità a tutti i lavoratori della scuola che li hanno maturati nel corso degli anni 2011-2012.
Solo un’ultima raccomandazione, signor Ministro, o meglio un ultimo auspicio: che, da qualsiasi parte il Governo intenda reperire le risorse per il pagamento di quanto dovuto al personale scolastico, non ricorra per l’ennesima volta a decurtare risorse già previste per la scuola. Non solo non sarebbe giusto, visti i tagli sin qui operati, ma anche e soprattutto provocherebbe il definitivo collasso della scuola pubblica autonoma in questo Paese. D’altra parte, già la norma che all’inizio del mio intervento ho rammentato indica con chiarezza dove le risorse dovevano essere reperite. Infatti, il pagamento degli scatti maturati nel triennio deve essere garantito ai sensi degli articoli 9, comma 23, e 8, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, con il fondo costituito nello stesso bilancio dalle risorse derivanti da quel 30 per cento dei tagli destinato al merito, secondo quanto stabilito dall’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.
Questo per concludere naturalmente, a meno che il Governo non sia finalmente in grado di reperire risorse in spazi diversi dal bilancio dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
PRESIDENTE. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Francesco Profumo, ha facoltà di rispondere.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Signor Presidente, con l’atto parlamentare in discussione viene richiesta l’adozione di iniziative finalizzate al pagamento degli scatti di anzianità maturati dal personale della scuola negli anni 2011 e 2012.
Com’è noto agli onorevoli interpellanti, il decreto-legge n. 78 del 2010 ha previsto che negli anni scolastici 2010, 2011 e 2012 il personale scolastico non maturi anzianità ai fini economici. Tuttavia, lo stesso decreto-legge, all’articolo 8, comma 14, ha previsto che le risorse di cui all’articolo 64, comma 9, della legge n. 133 del 2008, sono comunque destinate al settore scolastico con le modalità indicate con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Sulla base di tale normativa e del decreto interministeriale attuativo, sono state recuperate le utilità (cioè gli scatti) 2010, riducendo permanentemente di 320 milioni di euro le risorse derivanti dal fondo costituito dalle economie generatesi a seguito dell’applicazione degli interventi di razionalizzazione del sistema scolastico di cui all’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.
Relativamente all’anno 2011, sono state conseguite economie di spesa inferiori rispetto agli obiettivi prefissati in ragione di una riduzione dell’organico della scuola più contenuta del previsto e, soprattutto, di un incremento dei posti di sostegno determinato dalla ben nota sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2010. Pertanto, per il recupero degli scatti di anzianità del personale della scuola nel 2011, la quota del 30 per cento delle economie certificate, pari a euro 55 milioni di euro, non è sufficiente.
Così, a seguito di un confronto con i sindacati del comparto scuola aperto al Ministero nel giugno 2012 e conclusosi con un tavolo a Palazzo Chigi, svoltosi questa mattina, e tenuto conto che il citato articolo 8 del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede la possibilità di destinare a tali finalità anche risorse individuate a seguito di un’apposita sessione negoziale, il Ministero, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e il Dipartimento della funzione pubblica, ha predisposto una bozza di atto di indirizzo per l’ARAN per il reperimento delle risorse da destinare a detta finalità. Tale schema di atto di indirizzo prevede che, per il recupero delle utilità 2011, sono necessarie, per il 2011, risorse pari a 93 milioni di euro, che sono state così coperte: 31 milioni di euro derivanti dalla certificazione delle economie per l’anno scolastico 2009/2010; 55 milioni di euro derivanti dalla certificazione delle economie per l’anno scolastico 2010/2011; i restanti 7 milioni di euro derivanti dalla mancata distribuzione di economie FIS per l’anno scolastico 2011/2012.
Per gli anni successivi, a decorrere dal 2012, l’importo necessario per coprire gli scatti è ben più alto ed è pari a 384 milioni di euro. Pertanto, al fine di reperire le risorse necessarie ulteriori, l’apposita sessione negoziale presso l’ARAN consentirà alle organizzazioni sindacali di attingere risorse dal MOF, che è il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, su cui si effettua la contrattazione integrativa di istituto. La sessione negoziale presso 1’ARAN consentirà appunto la verifica puntuale della sostenibilità della capienza finanziaria del fondo stesso rispetto agli istituti contrattuali del trattamento accessorio del personale ritenuti incomprimibili.
A seguito dell’accordo raggiunto nella giornata di oggi, quattro dei cinque sindacati del comparto scuola si sono dichiarati soddisfatti e hanno revocato lo sciopero previsto per sabato 24 novembre. Ovviamente, mi auguro che tutte le forze sindacali del comparto possano e vogliano fornire il loro apporto costruttivo nel futuro confronto sul tema di un nuovo modello di scuola del futuro.
PRESIDENTE. L’onorevole Coscia ha facoltà di replicare.
MARIA COSCIA. Signor Presidente, ringrazio il Ministro, anche per il tempo breve che ha avuto per la risposta e anch’io con lei, Ministro, mi auguro che si recuperi un percorso unitario delle organizzazioni sindacali su un tema così importante e rilevante. In questo tema, non c’è dubbio che occorre una maggiore chiarezza rispetto alle risorse che si mettono in campo per dare finalmente una risposta alle attese dei lavoratori.
Ora, Ministro, noi abbiamo chiesto – e speriamo che questo avvenga, perché è già un po’ di tempo che lo abbiamo fatto – di audire il MEF per fare chiarezza definitivamente per quanto riguarda i 900 milioni di euro – tanti dovrebbero essere – di risparmi che si sono ottenuti con i tagli del precedente Governo (il famoso 30 per cento), rispetto ai quali francamente continuiamo a non capire per quale motivo siano stati certificati poco più di 400 milioni, e non i 900. Infatti, è ovvio che, se da questo punto di vista si facesse finalmente chiarezza, ci sarebbero le risorse e la capienza necessarie per dare una risposta anche per quanto riguarda le disponibilità per il 2012 e per gli anni a seguire.
Quindi, mi sembra di capire che nella direttiva che viene data all’ARAN per avviare la trattativa in sede negoziale, si parla – lo colgo come un possibile punto di ragionamento con tutte le organizzazioni sindacali – di verificare la compatibilità con le finalità cui è destinato il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, che, come lei sa, è assolutamente fondamentale per il miglioramento della qualità dell’offerta, ma anche per il funzionamento ordinario delle scuole. Da quel fondo, infatti, si attingono risorse per le funzioni obiettivo, per dare la possibilità di coprire le supplenze e per una serie di attività che le scuole spesso svolgono per migliorare l’offerta, ma anche per il proprio funzionamento quotidiano. Quindi, rimane assolutamente fondamentale e prioritaria la finalità di questo fondo.
Dunque, quando si dice, nella risposta che lei ha dato, di verificare la sostenibilità, la prendiamo come una verifica puntuale da fare nell’intento di lavorare soprattutto per fare chiarezza sul fondo del 30 per cento e, se è necessario, noi sosteniamo la necessità di reperire finalmente fondi per la scuola, anche aggiuntivi, perché la scuola sta soffrendo da troppi anni e ormai non ce la fa più.
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“Diverso da chi”, di Massimo Gramellini
Ogni volta che la cronaca ci sbatte in faccia bande di nazistelli che picchiano ebrei o gruppi di ragazzi che sbertucciano un compagno troppo sensibile fino a indurlo al suicidio, mi domando in quale anno, in quale secolo siamo. Davvero nel 2012, con tutti i problemi seri che abbiamo, ci sono persone che passano ancora il loro tempo a sfottere e minacciare chi è diverso da loro? Posso ancora perdonare una battuta stupida e conformista, pronunciata in un momento di debolezza e in ossequio a un cliché. Ma qui parliamo di giovani che trascorrono giornate intere a scrivere su un computer sconcezze astruse, a organizzare raid punitivi contro degli estranei, a godere della sofferenza inferta a un coetaneo che ha l’unica colpa di vestirsi in modo eccentrico. Quanti pregiudizi nasconde questo gigantesco spreco di energie, questo patetico proiettarsi nelle presunte miserie altrui per non essere costretti a fare i conti con le proprie paure e provare, finalmente, a crescere?
Se chiudo gli occhi, mi sembra di vederli sfilare al passo dell’oca: bulli, nazistelli, fanatici di ogni risma e colore. Avvinghiati alle loro patetiche certezze di cartapesta, al loro ridicolo senso del rispetto e dell’orgoglio tribale. Tanti Io deboli raggrumati in un Noi insulso. Li guardo e non mi fanno paura. Solo tanta pena. Spero che un giorno la vita li sorprenda davanti a uno specchio, costringendoli a vedere che siamo tutti sul medesimo albero. Anzi, che siamo l’albero, e chi dà fuoco a un ramo diverso dal proprio sta solo incendiando se stesso.
La Stampa 24.11.12
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“La lezione di un padre con il figlio transgender”, di ALDO BUSI
CARO DIRETTORE, che bello quando i genitori non si travestono da mamma e da papà col righello della norma in pugno! Oggi ho voglia di parlare di educazione infantile perché, avendo cercato di farmi venire in mente il nome di un eccellente traduttore inglese che non sento da tanti anni, mi sono ricordato di quella volta che mi raccontò dei suoi due figli maschi che ormai andavano alle elementari. Io ero stato una volta a cena a casa sua, avevo conosciuto la moglie e visto i due bambini che stavano per essere messi a fare le nanne, tra il primo e il secondo ci sarà stata una differenza di due anni, non ricordo altro, a parte un certo che di serenamente volitivo, di guerresco in entrambi.
A distanza di un lustro, chiesi al traduttore come stavano i suoi figli e mi disse le testuali parole, “Benissimo, il più piccolo è un transgender pieno di risorse e di fantasia, l’altro è il suo scudiero, lo difende in tutto e per tutto anche se non ne ha proprio bisogno, si sa difendere benissimo da solo”.
Avendo temuto di non aver capito bene o forse facendo finta di non aver capito affatto, gli chiesi, “Transgender? E che significa? Non fa la terza?”, “Che un giorno vuole andare a scuola vestito da uomo e un giorno vestito da donna”, “E voi?”, sottintendendo ‘e voi genitori? ’, “Niente, abbiamo dovuto fargli due guardaroba, così come dopo avere voluto i tamburi da mio padre ha voluto l’arpa da sua nonna materna e va a lezione sia di percussioni che di arpa e adesso ha una passione sfrenata per i venti, al mare si pavoneggia nel suo giubbetto con le borchie e fa il capobanda skinhead di un branco di piccoli delinquenti dei giostrai e in spiaggia si mette il bikini, che fra l’altro c’ha un pisellone per la sua età che farebbe comodo a me con la mia…”, e io, “Ma è straordinario! Anch’io vorrei un figlio così, anzi, li vorrei entrambi così, anzi: li vorrei tutti e tre così, visto che due in uno è sempre meglio che la metà di niente. Anzi, avrei voluto dei genitori come te e tua moglie, visto che vi sarebbe toccata addirittura la disgrazia… questo dal punto di vista dei miei, che poi i libri me li bruciavano… di avere un figlio che a sette anni si travestiva da scrittore appendendosi sulle spalle i pochi libri rimediati in giro… da noi libri in casa non esistevano… o legandoseli con la cintura attorno alla vita… a parte quando se ne metteva uno in testa per camminare senza farlo cadere…”. E sapete che cosa mi rispose lui? “Grazie, a dirti la verità non sei neanche il primo a farmi i complimenti. Non ci vuole poi molto a essere dei bravi pedagoghi: invece di strappare i suoni che vuoi tu, col rischio di avere in risposta le urla sincopate di una bestiola in gabbia, resti in ascolto dell’umanità per come è ed è fatta.
E ti dirò di più: un giorno è vestito da bambina con la gonna scozzese e vuole giocare a calcio e è un capocannoniere da paura, quando è vestito da maschio magari pettina la bambola o le amichette e sembra il più consumato dei parrucchieri di via Montenapoleone, da maschio è maschio al massimo grado e da femmina è squisitamente femminile, in modo naturale, non è un bambino effeminato e non presenta il minimo sintomo di dissociazione, si cambia d’abito indifferentemente come parla inglese, italiano o ebraico, per via dei nonni e della madre, è una bambina dai modi soavi e naturali consapevole di essere anche un bambino rude e manesco, e viceversa, nemmeno si prende sul serio, è il primo a ridere di sé ma se qualcun altro lo deride è meglio toglierglielo dalle mani e, a parte lo smalto per le unghie, mica si trucca, non che ce l’abbia mai chiesto, intendo dire rossetto e mascara e cose così, e non ha neppure i capelli lunghi da bambina, è sempre con la sua rasatura da marine con un po’ di cresta in entrambe le mises, a parte due orecchini come ormai hanno tutti i bambini comuni, ma la cosa gli seccava alquanto, tanto che ha smesso di metterseli, dice che è una cosa troppo da maschio quando lui decide di sentirsi femmina; è come avere in casa un Arturo Brachetti in erba innestato su Conan il Barbaro, uno spettacolo di umano mai visto, ed è educatissimo, gentile, spiritoso, affettuosissimo, in sé e per sé non ha alcuna aggressività innata, un portento anche a scuola”, “Un privilegio”, “Lo sappiamo”, “E in che cosa consiste questa sua passione sfrenata per i venti?”, “Che sa i nomi e le direzioni di tutti i venti della terra, correnti marine comprese, tu gli dici un mese e un oceano e lui ti dice che cosa scorre sotto e cosa scorre sopra in quel periodo lì, alisei, monsoni, maestrale, scirocco… gli uragani sono il suo forte. Dimmi te che ne fa dei venti all’Arco della Pace in pieno centro di Milano, e il fatto che non se ne faccia niente rende i suoi interessi ancora più meravigliosi. Da grande vuole scoprire un nuovo continente, dice che non è possibile che non gliene abbiano lasciato uno inedito, e tutti i suoi marinai dovranno suonare l’arpa a turni, e che mai deve mancare una musica d’arpa durante tutta la navigazione fino a che non la pianterà nella rena non appena toccato la terra che si ripromette di scoprire, e al ballo mascherato dei bambini si è presentato con una parrucca fluente color verde vestito da polena, suo fratello a reggergli la coda, voglio
dire”.
Io sono troppo pudico per fare certe domande e neppure mi passò per la mente di fargli allora quella domanda che non gli farei neppure adesso, con la differenza che adesso ho bene in mente quella che quasi chiunque vorrebbe fargli: “Visto che va per i nove, dimostra certe tendenze sessuali quando è vestito in un modo o nell’altro?”, e sono sicuro che il padre, e anche la madre, mi avrebbe risposto con ogni possibile disinvoltura.
Vediamo le possibilità di quella risposta: 1) quando è vestito da uomo dimostra interesse sessuale verso i maschi, 2) quando è vestito da uomo dimostra interesse sessuale verso le femmine, 3) quando è vestito da uomo dimostra interesse sessuale sia verso i maschi che verso le femmine, 4) quando è vestito da donna dimostra interesse sessuale verso le femmine, 5) quando è vestito da donna dimostra interesse sessuale verso i maschi, 6) quando è vestito da donna dimostra interesse sessuale sia verso le femmine che verso i maschi, 7) sia che sia vestito da maschio che da femmina dimostra interesse sessuale esclusivamente verso i maschi, 8) quando è vestito sia da maschio che da femmina dimostra interesse sessuale esclusivamente verso le femmine, 9) sia vestito da maschio che da femmina non dimostra alcun interesse sessuale né per i maschi né per le femmine.
“E”, avrebbero aggiunto i genitori all’unisono o ognuno per conto suo, “non c’è una sola tendenza sessuale e nemmeno la più totale assenza di qualsivoglia tendenza sessuale che sia preferibile a un’altra, se è la sua per ora o per sempre è anche quella che è migliore per noi, mica è la nostra vita, è la sua, e è giusto che ai suoi parametri emotivi ci arrivi da sé. E ovviamente siamo disposti a sbranare chiunque osasse interferire nella sua crescita e nelle sue scoperte personali”.
Penso alla fortuna di quel bambino, e a quella di suo fratello che ne difende la libertà di espressione chissà contro quali sberleffi (e chissà se a prezzo di quanti pugni dati e presi), e mi dico che la sua infanzia sarà stupenda per tantissimi motivi: a) gioca con la mente estetica del suo corpo e ha il coraggio di seguire il proprio istinto camaleontico a dispetto della società di bambini bacati dal machismo con cui entrerà in contatto, b) godrà di una miriade di sinapsi poetiche, civili e politiche come raramente accade a un bambino, che pur di per sé ne ha a miliardi, c) l’avventura può esaurirsi o decidersi nella pubertà per un verso o per l’altro (ci si può vestire da uomo essendo un uomo e tuttavia travestirsi comunque, da troia di regime, per esempio) senza conseguenze visto che in questo caso una sicura infelicità o tragedia permanente è stata azzerata sul nascere, perché non ha dei genitori pazzi scatenati che lo portano da uno psicologo più pazzo di loro che lo imbottirebbe di farmaci o che, addirittura, dietro silente richiesta dei genitori pazzi, lentamente lo eliminerebbe dalla faccia della terra in quanto “vergogna genetica”, d) non deve essere per forza un genio né deve riscattarsi da niente, sarà però una persona forte, già temprata agli assalti sociali più imprevisti e più previsti, e di per sé non votata comunque alla mediocrità, e) sarà quel che sarà o che avrà voluto essere senza castrazioni genitoriali e senza covare quella suicidale sete di vendetta contro il mondo che ti fa sciupare la vita. E una profonda riverenza anche a suo fratello.
La Repubblica 24.11.12
“Ciechi e sordi a Bruxelles”, di Gianni Riotta
Sarebbe bello convincere il Museo di Capodimonte, a Napoli, a prestare per qualche tempo la tela di Bruegel, «La parabola dei ciechi», 1568, a una galleria di Bruxelles, così che i leader europei possano ammirarne la tragica dinamica, gli sfortunati in fila a reggersi a vicenda, tutti prossimi a precipitare in un crepaccio secondo i versetti del Vangelo di Matteo (XV, 14) «Se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa». Dopo l’esito infelice del summit europeo sul bilancio dell’Unione, la confederazione dei paesi del Nord guidati dalla cancelliera Merkel con Olanda, Finlandia e Londra in panchina, potrà sostenere che il cieco capofila siano i paesi latini, Spagna, Francia e Italia.
Il presidente francese Hollande potrebbe – davanti ai poveri ciechi fiamminghi che insieme vagolano senza direzione – accusare invece i «rigoristi» di non saper trovare la strada giusta: alla fine poco importa.
Quel che davvero conta è che l’Europa, con la disoccupazione giovanile crescente e una generazione intera ormai «senza-lavoro», con l’innovazione che langue, la crisi del debito contenuta dalla Bce di Draghi ma latente e le sfide del mondo ribollente, dalla nuova Cina al vecchio Medio Oriente, rinvia le scelte, tira a campare, guadagna tempo.
Ha ragione il presidente del Consiglio italiano Mario Monti, che ha tenuto duro contro la rigidità fiscale tedesca spacciata per «rigore» ma in realtà solo blandizie agli elettori teutonici, a dire «Non aver raggiunto un accordo non pregiudica nulla… Il risultato non c’è stato, non è la prima volta e non sarà l’ultima. È successo altre volte che l’accordo sul bilancio settennale non sia stato chiuso al primo tentativo, non bisogna stupirsi» perché «Si tratta di un lavoro fondamentale, di grande complessità e dovremmo essere in grado di colmare le distanze esistenti».
Non è una catastrofe, il bilancio dei sette anni si raggiungerà, Nord e Sud troveranno l’intesa. Noi speriamo prevalgano le ragioni di Monti e Hollande, e se qualcuno sospetta che in questo auspicio ci sia campanilismo da Europa meridionale, farebbe bene a rileggere l’editoriale del New York Times, foglio poco «latino» si direbbe: «Da almeno un anno la cancelliera tedesca Merkel spinge in modo distruttivo i partner a una politica che prolunga la recessione, perché i tetti rigidi ai deficit negano ai paesi quella flessibilità fiscale che, in certe fasi, è necessaria a rilanciare la crescita». Semplice teorema di politica economica che il giornale liberal di New York, il socialista Hollande e il liberale Monti possono condividere, perché corroborato dalla realtà.
L’accordo verrà, certo: ma il giudizio deprimente sul naufragio a Bruxelles è nello scarto tra leader europei ed emergenza dell’Unione, hic et nunc. Le piazze si incendiano a Madrid, Roma ed Atene, l’opinione populista sobbolle nei siti e nei talk show da Helsinki a Palermo, le menti migliori dell’ultima generazione ponderano se emigrare e lo Stato Maggiore dice compunto, Buon Natale cittadini, ci rivediamo a Carnevale. Gli estremisti accumulano rancore, i populisti cinismo, e come obiettare? La distanza tra le due fazioni era di 30 miliardi di euro, forte ma davvero impossibile da superare? Il bonario van Rompuy non si emoziona «Non c’è da drammatizzare», ed è vero se pensate che il problema sia il bilancio dei 7 anni. E’ sbagliatissimo se i problemi sono, come sono, i disoccupati, i cinquantenni rimandati a casa, il debito, la crescita disomogenea e flebile.
C’è una flemma da circolo aristocratico incurante della piazza, un distacco da Bella Epoque che stucca. A riguardare le bozze di bilancio che van Rompuy computava con la pazienza del buon ragioniere, cascano le braccia. L’agricoltura, che già oggi assorbe le voci più esorbitanti del bilancio, avrebbe ricevuto 7,7 miliardi di euro in più (con effetti negativi per i contadini dei paesi poveri) e modesti effetti sull’occupazione. Il piano infrastrutture e broadband per internet perdeva 5,5 miliardi di euro, investiamo sul passato anziché sul futuro che moltiplica il lavoro. Hollande e Monti hanno difeso gli 11 miliardi di euro per le zone da promuovere, ma erano già caduti gli otto miliardi per ricerca e piccole e medie imprese, motore di crescita in Europa. Tanto per mandare un messaggio all’Africa, nostra vicina di Mediterraneo, al Medio Oriente, e ai paesi in via di sviluppo sono stati depennati i 5,5 miliardi di aiuti internazionali. L’Europa, fresca di premio Nobel per la pace, dice al mondo: Non ho spicci, ripassa in primavera.
Infine, non c’è bisogno di essere Beppe Grillo, un ragazzo del 5 stelle o un’assatanata antikasta per deprecare che nel testo di van Rompuy non un centesimo fosse tagliato da stipendi e prebende dei funzionari, malgrado il gran parlare che si fa delle cantine colme di pregiato euro-vino. L’amarezza del fallimento del vertice non sta solo nei suoi esiti, un accordo si troverà. Sta nelle premesse, è come se alla maggioranza dei leader sfuggissero l’emergenza, l’urgenza, la drammaticità del tempo. Che richiede sì rigore fiscale e però anche investimenti, che impone di preservare la qualità della vita europea ma senza tagliar fuori i giovani. Nessuno chiede a un summit panacee impossibili: ma si poteva dimostrare a milioni di cittadini che le loro ansie sono, almeno, ascoltate. La sordità totale di Bruxelles, invece, spaventa, sdegna, alimenta rancori.
La Stampa 24.11.12
“La scuola dell’obbligo (digitale)”, di Simonetta Fiori
È una vera svolta culturale, ma rimane nascosta in poche righe del Decreto Crescita. Investe le generazioni future, l’intero corpo degli insegnanti, le famiglie, l’editoria, il modo di concepire la didattica, i processi cognitivi dei ragazzi, però rischia di passare inosservata nel grande calderone dell’agenda digitale. Un cambiamento radicale, predisposto dall’articolo undici del disegno di legge che dovrebbe essere approvato in Parlamento entro dicembre.
Di che parliamo? Già a partire dal prossimo anno scolastico, ossia 2013-2014, la manualistica scolastica dovrebbe presentarsi sotto una veste quasi completamente smaterializzata. Così nelle prime medie e nel primo e terzo anno delle superiori. Non si tratta della commistione tra cartaceo e digitale, già prevista dalla precedente legislazione e già praticata da editori e insegnanti. Si tratta invece d’una separazione netta tra manuale di base e “contenuti digitali integrativi” che i professori potranno adottare anche in “modo disgiunto” rispetto al testo di base. Non più “libro misto”, che mescola carta ed elettronica. Ma testo scritto da una parte e contenuti digitali dall’altra. Con un ridimensionamento del primo a vantaggio dei secondi. O per dirla con il ministro Profumo, intervenuto ad i-School nell’ottobre scorso: «Dal 2013 avvieremo un processo in cui inizialmente avremo un piccolissimo libretto e poi tanti supporti digitali, dove il libro nasce ogni giorno. Sulla base di uno scritto iniziale ci sarà la possibilità di fare collegamenti con video, risolutori, fotografie, altri testi e quindi costruire un libro
personalizzato». In altre parole, presto la carta scomparirà.
Al momento è stato già calcolato che i manuali perderanno un terzo delle pagine. Il nuovo tetto di spesa fissato per le famiglie dovrà includere anche i “contenuti digitali integrativi” e i supporti tecnologici per fruirne. Per i libri quindi si ridurrà il budget. E ai genitori spetterà versare “un’addizionale tecnologica” al momento dell’iscrizione dei figli a scuola.
Uno sconvolgimento dell’editoria scolastica che il Decreto Crescita prevede in tempi rapidissimi. «Noi non siamo certo contrari alla rivoluzione digitale, ma ci si chiede di ripensare radicalmente la filosofia editoriale in soli tre mesi», dice Alessandro Laterza, amministratore delegato dello storico marchio e responsabile della divisione scolastica. «La promozione dei libri di testo per il 2013-2014 si farà tra gennaio ed aprile del prossimo anno, e la rivoluzione di Profumo viene lanciata solo ora. Con l’aggravante che non è stato ancora presentato il regolamento né conosciamo il nuovo tetto di spesa per i libri». Ora a favore dello slittamento del progetto all’anno scolastico 2014-2015 s’è espressa la Commissione Istruzione del Senato, ma l’iter della legge è ancora lungo. E il ministro Profumo non sembra disposto a cedere, tutt’altro. «Il ministro appare mosso più da un’ambizione che da un interesse reale che il cambiamento funzioni», interviene Roberto Gulli, amministratore delegato di Pearson Italia (Bruno Mondadori e Paravia), il gruppo leader mondiale nel campo dell’education. «Noi editori siamo costretti a una corsa affannata, e si può immaginare con quali esiti. Poi però mancano gli strumenti per usare questi contenuti elettronici».
Il maremoto digitale chiama in causa non solo le case editrici, ma anche professori e studenti, dal momento che cambia radicalmente anche il paradigma didattico, il modo di insegnare e di apprendere. «E non sappiamo per certo se sia garantita una migliore qualità», dice Laterza. Nelle redazioni editoriali incalzano le domande. Che cosa è essenziale (libro di base) e cosa è destinato all’integrativo digitale? Il sistema solare lo studieremo su carta o navigando in rete? E il motore a quattro tempi? E come si stabilisce cosa mettere nel “libretto” se poi gli autori non controllano i “contenuti integrativi”, che possono essere adottati separatamente? Dove va a finire la coesione tra gli uni e gli altri? «Nessuno di noi avversa la rivoluzione elettronica», interviene Giuseppe Ferrari, direttore editoriale della Zanichelli, il marchio più diffuso in Italia. «Siamo stati i primi a fare i libri digitali nel 1997, traducendo in Cd lo storico manuale di Amaldi. E quest’anno abbiamo realizzato i primi libri multimediali su tablet. Ma quella invocata da Profumo è una vera palingenesi che non tiene conto delle condizioni reale del paese. Quello della digitalizzazione della scuola è un processo lungo, fondato sul confronto costante tra docenti ed editori, su esperimenti successivi, su errori e conquiste. Cambiare dall’oggi all’indomani il paradigma dell’insegnamento non è una cosa facile». Non si ordina, in sostanza, con un colpo di bacchetta magica.
Per dare seguito alla legge, tutte le scuole italiane – e tutte le famiglie – dovrebbero disporre di un’adeguata connessione wi-fi per l’uso didattico della rete. «Ma dov’è questa Italia delle meraviglie che il ministro immagina?», interviene Giorgio Palumbo, presidente dell’Associazione degli editori scolastici. «Non è scontato che gli studenti siano connessi con la banda larga. Sarebbe più assennato dare il tempo allo Sta-
to di fare i suoi investimenti, e dare il tempo a noi editori di fare delle proposte didattiche ragionate ». Solo tra il 10 e il 20 per cento delle classi italiane sono provviste delle Lim, le lavagne interattive multimediali. E, tra gli insegnanti, solo il 10 per cento ha seguito corsi di formazione sull’uso di questi dispositivi. Anche i dati forniti da Zanichelli sono piuttosto interessanti: i loro libri multimediali hanno un alto contenuto di video, animazioni, audio a cui si accede attivando una chiave. Per i libri in adozione nel settembre di quest’anno sono state create quasi tre milioni e trecento mila chiavi. A oggi ne sono state attivate 18.000, ossia il 5 per mille.
Qui interviene un altro problema, ignorato da questa accelerazione informatica. Se per i ragazzi si può parlare di “nativi digitali”, la stessa definizione non vale per il corpo docente, secondo una recente indagine il più vetusto d’Europa. Ottocentomila insegnanti che si sono formati sulla carta, oggi sottoposti indirettamente a una doppia pressione. Quella dei produttori di hardware, che intravedono grandi guadagni. E quella del governo, persuaso che il digitale faccia risparmiare le famiglie. «Il problema è che i docenti vengono abbandonati completamente a se stessi», interviene Roberto Gulli. «Il ministero non si preoccupa di promuovere corsi di formazione adeguati, cosa che invece facciamo noi editori. E ora c’è il rischio che gli insegnanti vengano accusati di non saper gestire i processi di modernizzazione». Gulli cita un recente rapporto sulle eccellenze scolastiche nel mondo. Tra i primi posti figurano due paesi sideralmente distanti come Finlandia e Sud Corea, e il digitale c’entra poco. «Sa qual è il punto di forza? Il ruolo sociale del professore, che viene giudicato dalle rispettive comunità come una figura importante». Certo non si può dire lo stesso da noi. E come si fa ad ignorare che la quasi totalità dei docenti continua ad avere come riferimento il libro di testo? Nel rispondere alle dieci domande di Alessandro Laterza (www.laterza.it) il ministro Profumo sembra liquidare la faccenda. «Non sono un obbligo per l’insegnante », pone come premessa, «tanto che in alcune scuole non vengono adottati». Le cifre dell’Associazione degli editori (2012) mostrano che tutte le scuole di ogni ordine e grado adottano i libri di testo (32.523 su 32.535). Può capitare che qualche sezione ne faccia a meno. «Una stima potrebbe essere tra l’1 e il 3 per cento», dice Gino Guatteschi, direttore commerciale della Zanichelli. «In trent’anni di esperienza avrò incontrato dieci docenti che avevano scelto di non adottare libri. Ma nessuno vi rinuncia completamente».
C’è poi un fantasma che agita le case editrici, e riguarda i giganti dell’online mondiale. Chi può escludere che i produttori di tablet facciano alle scuole offerte promozionali includendo nel conto anche i “contenuti digitali integrativi”? Amazon al posto di Zanichelli, o Apple al posto di Laterza? «Sarebbe concorrenza sleale, ma certo è possibile», dice Giuseppe Ferrari. C’è anche chi agita il rischio della scarsa trasparenza nel campo della produzione multimediale: inquieta non poco il caso delle “pillole del sapere” acquistate dal Miur per settecentomila euro, una vicenda denunciata da Report su cui indagano la Guardia di Finanza e lo stesso ministro, che ha istituito di una commissione interna.
La rivoluzione digitale, in sostanza, sembra a tutti una necessità, ma da attuare in tempi e modi che corrispondano alle reali condizioni del paese. Gli editori hanno chiesto alcune modifiche (lo slittamento al 2014-2015 e l’esclusione dei tablet dal tetto di spesa per le famiglie), ma Profumo tiene molto all’immediata realizzazione del progetto. Al Senato l’ultima parola.
La Repubblica 24.11.12
“In aumento la violenza sulle donne. Per l’85% il colpevole è il partner. Severino: Quest’anno 120 femminicidi”, da la stampa.it
Sono in aumento le violenze contro le donne all’interno di rapporti sentimentali. Secondo le anticipazioni dei dati 2012 di Telefono Rosa, diffusi alla vigilia della Giornata contro la violenza alle donne di domenica 25 novembre, questo tipo di abusi ha raggiunto l’85% di tutte le violenze, il 3% in più del 2011. Questo dato – commenta l’associazione – «dimostra l’urgenza di ripartire dalle relazione donna-uomo, proprio gli uomini inizino davvero a farsi carico di questa vera e propria tragedia». Gli strumenti per combattere il fenomeno della violenza sulle donne ci sono nel nostro ordinamento, ma «se molti passi in avanti sono stati fatti, bisogna andare oltre, con la ratifica della Convenzione di Istanbul, prevista in Senato nei prossimi giorni, e che spero abbia un percorso accelerato, entro la fine della legislatura». A parlare è il guardasigilli, Paola Severino, intervenuta a Uno Mattina in vista della celebrazione, domenica prossima, della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. I `femminicidi´, dall’inizio di quest’anno, in Italia, sono già 120. «Il problema – aggiunge il ministro – riguarda la cultura degli uomini, radicata nel senso del possesso e le donne spesso non reagiscono per vergogna e perché credono che l’amore prevalga. Invece bisogna creare una cultura dell’antiviolenza».
Di fronte allo stalking, «la perseguilità d’ufficio, in alcuni casi, può essere una soluzione». Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino ospite di Uno Mattina in una puntata dedicata alla Giornata Internazionale sulla violenza contro le donne indetta dalle Nazioni Unite per domenica 25. Il ministro ha spiegano che «il ragionamento che si faceva un tempo e che ha condotto alla perseguibilità a querela è che deve essere la donna a poter decidere se sottoporre al giudice la violenza, per evitare quelle ulteriori violenze post violenza fisica che derivano comunque da un’indagine giudiziaria». Inoltre «il nostro legislatore è già intervenuto prevedendo delle querele irretrattabili. Certo la perseguibilità d’ufficio in alcuni casi servirebbe a consentire che il vicino di casa che vede, constatata le violenze, possa intervenire con una propria denuncia».
Non facile, sottolinea, è mettere a punto strumenti di prevenzione: «dobbiamo suggerire alle donne di restare sempre in contatto con i centri antiviolenza e le forze di polizia. Stiamo lavorando a banche dati, ne parlo spesso con il ministro Cancellieri e anche il ministro Fornero è attivata su questo fronte. Dobbiamo insegnare alle donne a costruire la prova della violenza subita, perché spesso ciò che accade non è visibile, perché si tratta di minacce». L’inasprimento delle pene, aggiunge il guardasigilli, «può essere un segnale importante, ma fondamentale è l’applicazione della pena. Le nostre leggi prevedono già aggravanti. Le norme le abbiamo, stiamo meglio di quanto si pensi». In particolare, Severino ricorda l’intervento del legislatore nel prevedere «querele che non possono essere ritrattate»; inoltre, rileva come in alcuni casi «la perseguibilità d’ufficio possa essere una soluzione: servirebbe a far sì – conclude il ministro – che anche un vicino di casa possa intervenire con una denuncia a sostegno della donna vittima di violenza».
I n apertura della conferenza organizzata alla Camera dei Deputati su «Violenza sulle donne – verso la ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa» Gabriella Battaini Dragoni, vice Segretaria Generale del Consiglio d’Europa, ha detto che «ci sono terrificanti. Bisogna intervenire prima che la situazione precipiti. In Italia sono mediamente 120 le donne che ogni anno vengono uccise dalla violenza. Una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale nel corso della proprio vita e non lo dimenticherà più». «Lo shock la perseguitera’ per sempre e condizionerà la sua vita di donna, di moglie, di madre e di lavoratrice. Purtroppo la colpa non è solo del criminale ma anche del silenzio della società. Talvolta delle donne stesse che tacciono per paura o per non mandare in prigione il padre dei propri figli», ha aggiunto Battaini Dragoni parlando al seminario presieduto dall’On. Luigi Vitali, presidente della delegazione parlamentare italiana all’Assemblea di Strasburgo.
L’On. Deborah Bergamini, che, assieme all’On. Federica Mogherini, ha organizzato l’iniziativa, ha spiegato che «La violenza sulla donna costa 50 miliardi di euro agli 800 milioni di cittadini dei Paesi che aderiscono al Consiglio d’Europa, cioè una tassa che pesa per 55 euro l’anno a ciascuno di noi. Se la donna fosse libera dalla paura ne beneficerebbe anche l’uomo».
La conferenza è stata inaugurata dal ministro delle Politiche sociali Elsa Fornero, che il 27 settembre scorso a Strasburgo ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa a nome del governo e adesso sollecita il parlamento a ratificare la Convenzione di Istanbul perché le norme contenute, molto importanti per la tutela delle donne, diventino presto legge delle stato. Il ministro ha ribadito che quella sulle donne è la forma di violenza più diffusa, senza confini di ambiente, religione, censo, cultura e nazionalità
www.lastampa.it
“L’ondata antisemita di ultrà e schizofascisti”, di Francesco Merlo
Purtroppo ha ragione la Comunità ebraica: «Roma non è meno pericolosa di Tel Aviv». E ha ragione, non solo con il cuore, anche se sarebbe stato meglio dire che Roma è più vulnerabile di Tel Aviv. E proprio perché «a Roma non piovono razzi», come dice l’inquietante prefetto Pecoraro. Insomma Roma non è una città in guerra e dunque l’ebreo è inerme, non pensa a difendersi e a contrattaccare. I tifosi del Tottenham, per esempio, non si aspettavano certo di essere accoltellati mentre prendevano una birra. Non si guardavano attorno spaventati come fossero, appunto, a Tel Aviv.
E immaginate cosa devono avere pensato quei turisti inglesi che erano lì per divertirsi ingenuamente, sedotti dal mito delle notti di Roma. Cercate di immedesimarvi nel loro stupore quando hanno visto arrivare quella squadraccia di italiani armati di spranghe, coltelli e bastoni, nascosti dai caschi integrali, vigliacchi incappucciati come i mafiosi.
A Tel Aviv i commando di Hamas combattono l’esistenza degli ebrei di Israele, esprimono un odio etnico e religioso che ha i suoi interessi economici e le sue radici nella storia, si muovono dunque nel codice della spietatezza e persino della dignità della guerra. A Roma invece si sono materializzati in uno dei posti più belli, di maggior calore e colore e sotto la statua di Giordano Bruno, mito dell’antifanatismo, una cinquantina di rifiuti umani, sottoprodotti urbani che si nutrono di un tifo ridotto ad immondezzaio criminale. Ultrà romanisti e ultrà laziali, che solitamente sono divisi dalla stupidità diciamo cosi “alta” del calcio, l’altra notte erano invece uniti nella ferocia di un antisemitismo cieco che non capiscono, anzi probabilmente non sanno neppure cos’è, a giudicare dalla povertà umana dei due romanisti che sinora sono stati arrestati.
Ecco perché è davvero bizzarra la reazione del prefetto di Roma che invece di chiedere scusa, a nome della città, alle vittime della più odiosa delle aggressioni antisemite dopo le retate e le leggi fasciste, si mette acidamente a polemizzare con il capo della comunità ebraica Riccardo Pacifici che, giustamente allarmato, rappresenta idealmente quelle vittime. E la frase più arrogante di Pecoraro è la seguente: «Quello che fanno le forze dell’ordine per gli ebrei romani non si fa in nessun altro Paese».
Parla come se fosse in credito, il signor prefetto. Rimprovera una comunità ingrata. Come se proteggere i tifosi di una squadra ebrea anche — persino! — mentre bevono la birra fosse davvero troppo. Dopo tutto quello che facciamo per loro, vogliono pure un sovrappiù, una concessione, un ennesimo atto di generosità costosa.
La verità è che Pecoraro ha dimostrato di non controllare l’ordine pubblico e dunque di essere quanto meno inadeguato, e non tanto perché Campo de’ Fiori — al contrario delle piazze di Tel Aviv — non era presidiata. Ma soprattutto perché le forze dell’ordine, chiamate da testimoni terrorizzati, sono arrivate troppo tardi e in numero insufficiente, forse perché anch’esse impreparate alla sfida, alla novità di questa furia che picchia, accoltella, spacca, mettendo in atto una strategia di guerriglia urbana, come una specie di esercitazione sul campo.
E sembra di vederli mentre attaccano e poi rinculano per attirare i poveri inglesi nell’imboscata. Altri picchiatori feroci stanno acquattati infatti in una delle stradine strette dove «la luna sta per cadere», uno di quei vicoli di Roma che Lucio Dalla
canta nella “Sera dei miracoli”. Anche mercoledì quando picchiano e accoltellano la notte «è così dolce che si potrebbe bere », una notte «da passare in centomila in uno stadio …».
Appunto, lo stadio. È la città di Roma, prima ancora della comunità ebraica, a meritare almeno un tentativo di impossibile risarcimento. E si dovrebbe cominciare con il punire sia la Roma sia la Lazio. Dovrebbe farlo l’Uefa di Platini, ma dovrebbero pretenderlo anche la Lega calcio di Maurizio Beretta e la Federcalcio di Giancarlo Abete.
È chiaro che i presidenti e i dirigenti della Lazio e della Roma sono nani rispetto alla gravità dell’evento. Ma l’autoassoluzione, che in fondo è la vera prova di questo nanismo, non è tollerabile. Il presidente Lotito e il manager Baldini, invece di difendere ciascuno i propri ultrà, dovrebbero mettere un taglia per la cattura di quei barbari.
Sono noti i rapporti di complicità fra le società di calcio e gli ultrà. La curva nord della Lazio è da tempo il covo dei peggiori naziscemi italiani, estremisti nel calcio e nella politica che infatti giovedì sera durante la partita con il Tottenham hanno esibito striscioni antisemiti rivendicando così la paternità ideologica dell’aggressione. Pensate: Lotito e Baldini non sono neppure andati a trovare all’ospedale Ashley Mills, quel ragazzo di 24 anni che, pugnalato all’inguine, è stato in pericolo di vita per due giorni. E non è andato neppure Alemanno, che dei naziscemi romani è stato in tutti questi disastrosi anni di governo un amato/odiato interlocutore.
Davvero non sappiamo quanta ragione abbia la comunità ebraica, ma l’ordine pubblico dovrebbe tenere in gran conto i suoi timori. È infatti sicuramente vero che l’Italia sta pericolosamente diventando uno dei paesi più antisemiti del mondo occidentale, anche se si tratta di un antisemitismo stupido, come del resto fu d’accatto quello fascista. In Italia non ci sono grandi centrali culturali e mediatiche contro gli ebrei ma c’è un’intossicazione plebea che salda una certa sottocultura terzomondista, sia di sinistra e sia di destra, con le pulsioni di un neofascismo che è ormai “schizofascismo”, xenofobia e saluti romani. La Rete è piena di queste immondizie, persino filoiraniane, l’America di nuovo con il k, l’odio verso Israele… E la crisi economica, la rabbia sociale e il populismo grillino rimettono in circolo, non solo contro il governo Monti, il vecchio fantasma del complotto giudaico-massonico.
E poco importa che si picchi, da infiltrati e incappucciati, nelle manifestazioni di piazza o che si dia la caccia al tifoso del Tottenham ebreo o a quello del West Ham il cui dolcissimo inno — «I’m forever blowing bubbles / pretty bubbles in the air, sto sempre a gonfiare bolle, belle bolle nell’aria», nessun inglese in Italia potrà più cantare. Perché — abbia pazienza il signor prefetto — da mercoledì notte la nostra bella Roma non è più la stessa. Gli ebrei la trovano «non meno pericolosa di Tel Aviv» e gli inglesi del Times.
La Repubblica 24.11.12
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“Roma più pericolosa di Tel Aviv” lite tra comunità ebraica e prefetto cori antisemiti, Lazio sotto accusa, di ELSA VINCI
«Roma non è Tel Aviv». È scontro tra il prefetto della capitale, Giuseppe Pecoraro, e la comunità ebraica, dopo il raid in Campo de’ Fiori contro un gruppo di tifosi del Tottenham al seguito della squadra per la gara di Europa League con la Lazio. «Tel Aviv non è meno pericolosa di Roma. Nella comunità c’è rabbia », replica Riccardo Pacifici, presidente degli ebrei dell’Urbe, che aveva lanciato la polemica l’altro ieri durante una maratona oratoria davanti a Montecitorio, quando ha paragonato l’aggressione al pub ai missili che da Gaza colpiscono Israele. «Qui non piovono razzi — dice Pecoraro — qui la comunità ebraica è al sicuro. Non accetto provocazioni. Chiedo rispetto per le forze dell’ordine, da parte di tutti».
Antichi spettri si rincorrono. E Pacifici rilancia: «Chiediamo venga revocata l’autorizzazione al corteo Casapound, i cui militanti si definiscono “fascisti del nuovo ordine”». Ancora una volta il prefetto di Roma rimanda al mittente: «Non abbiamo motivi di ordine pubblico e giudiziario che possano motivare il divieto ». La querelle si ricompone solo a sera con una telefonata tra i due, mentre infuria la polemica sulla sicurezza e su possibili rigurgiti antisemiti. «Spero che tutti i responsabili vengano colpiti come devono», avverte il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. La Digos avrebbe già individuato altri due autori del raid. «Una ferma condanna a gesti di intolleranza religiosa», arriva dal ministro per l’Integrazione, Andrea Riccardi.
Choc, sdegno, vergogna. Il World Jewish Congress chiede con forza che la Lazio venga sospesa dal calcio europeo e misure energiche se cori e insulti dovessero ripetersi allo stadio. «Le multe non bastano», protesta il Wjc. L’Uefa aprirà un’inchiesta su quanto avvenuto all’Olimpico. Per i cori razzisti che si erano già sentiti a Londra nella gara di andata, la Lazio è stata sanzionata con 40 mila euro, stavolta vista la recidiva, l’Uefa potrebbe usare la mano pesante, il regolamento prevede la squalifica del campo o porte chiuse. Intanto il presidente della Figc, Giancarlo Abete, non ha potuto fare a meno di scusarsi con l’omologo britannico, David Bernstein. «Ancora una volta — ha scritto in una lettera — il calcio è stato occasione per un gruppo di delinquenti di dare sfogo alla follia razzista e antisemita».
A Londra i giudizi sono pesantissimi, e Roma finisce nella black list. Il quotidiano
The Times la definisce «la città più pericolosa per gli inglesi», vittime in passato di attacchi violenti. Dopo il Daily Mail che ha bollato la capitale come «la città dei coltelli», il Times appioppa il marchio di «peggiore d’Europa ».
Anche se il sito del Sun ha etichettato il raid come «assalto nazista», per la Digos e per la procura della Repubblica la pista antisemita comincia a perdere consistenza. Prende quota invece l’ipotesi di una rissa tra tifosi: un attacco in cui ultrà della Roma e della Lazio si sono trovati fianco a fianco per colpire la comitiva inglese. Sono al setaccio i tabulati telefonici dei due giallorossi finiti a Regina Coeli, Francesco Ianari, 26 anni, e
Mauro Pinnelli, di 25, gli inquirenti stanno controllando le chiamate e gli sms scambiati poco prima dell’irruzione nel pub. Ma non solo. Sono al vaglio i contatti telefonici di una serie di sospettati, giovani individuati attraverso i video delle telecamere a circuito chiuso. L’idea di chi indaga è che il raid sia stato organizzato con un tam-tam telefonico non appena intercettato il gruppo di inglesi da colpire. Ai due ultrà giallorossi arrestati sono stati contestati i reati di lesioni e danneggiamento, non il tentato omicidio. Rimangono gravi le condizioni di Ashley Edwards Mills, il sostenitore degli Hotspurs è stato operato al San Camillo. I due romanisti potranno fornire la propria versione domani mattina quando compariranno davanti al gip Antonella Capri. Il pm non ha contestato l’aggravante razziale. Gli inquirenti hanno individuato altri due possibili aggressori, sarebbero laziali. Presto nuovi arresti.
La Repubblica 24.11.12
Scuola: Ghizzoni e Coscia (PD), per qualità servono risorse e trasparenza
Chiesta audizione alla Ragioneria dello Stato. “La politica non resterà cieca e sorda di fronte alle richieste che vengono dal mondo della scuola. – lo dichiarano Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, e Maria Coscia, capogruppo del Pd in Commissione – Alle mobilitazioni di questi giorni si deve rispondere con un investimento di risorse e con la trasparenza del loro impiego.
Abbiamo chiesto di audire in Commissione la Ragioneria dello Stato per fare chiarezza sulle risorse del fondo della scuola, costituito dal 30% dei risparmi che si sono ottenuti con i tagli voluti dal precedente Governo e che dovrebbero corrispondere a 900 milioni a regime. La Ragioneria, però, ne ha certificati solo 400.
La nostra attenzione alle esigenze della scuola e, più in generale, della formazione – proseguono le deputate – è stata dimostrata con gli emendamenti abrogativi per l’aumento dell’orario di lezione a 24 ore o con gli interventi a favore del diritto allo studio nell’esame della Legge di Stabilità. Ora – concludono Ghizzoni e Coscia – tutti dovranno fare la loro parte per contribuire, prima della fine della legislatura, a difendere la qualità della scuola pubblica.”