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“Buona scuola, gli universitari: “No a una laurea solo per insegnare”, di Cinzia Gubbini – LaRepubblica.it 04.05.15

E’ una delle misure ipotizzate per sconfiggere la piaga del precariato: l’obiettivo è creare lauree magistrali specifiche. “Rischiamo di trovarci con nulla in mano”, è l’obiezione. E la pd Ghizzoni pernsa a una soluzione alla francese

Come si formeranno gli insegnanti del futuro? Anche questo è uno dei capitoli “spinosi” del disegno di legge della Buona Scuola, che mentre continua il suo iter parlamentare domani verrà contestato nelle piazze con uno sciopero convocato da tutte le sigle sindacali.

La via crucis degli insegnanti. Abilitazione e reclutamento sono i due punti cardine che fino a oggi hanno segnato la vita degli aspiranti docenti. Teoricamente, prima bisogna abilitarsi all’insegnamento e poi bisogna vincere un concorso. In realtà in questi anni le regole sono cambiate molte volte. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è uno dei motori della protesta: precari che non hanno mai ottenuto il posto di lavoro, idonei che non hanno vinto il concorso, persone che insegnano solo in virtù della laurea sempre a rischio di essere “cancellati”. Senza contare il fiorire di neologismi come Tfa, Pas, Ssis che segnano altrettanti tentativi di formare con corsi specifici in modo adeguato chi deve insegnare.

Gli universitari: no alla laurea “professionalizzante”. Nel ddl Buona Scuola l’abilitazione e il reclutamento sono contenuti nell’articolo 21, ovvero nella deleghe al governo. Si danno quindi solo degli indirizzi. L’obiettivo è quello di creare delle lauree magistrali dedicate proprio a chi vorrebbe fare l’insegnante. L’impostazione del governo non piace, però, alle organizzazioni degli universitari che proprio oggi hanno convocato una conferenza stampa a Roma per presentare le loro posizioni. La preoccupazione è che una laurea “professionalizzante” da un lato divida la figura dell’insegnante da quella del ricercatore universitario “svilendo anche le competenze dell’insegnante e la didattica stessa”; dall’altro si teme che il futuro laureato con relativa abilitazione all’insegnamento si ritrovi con un pugno di mosche in mano qualora non riuscisse a superare un concorso.

Il “jolly” del reclutamento “alla francese”. Il dibattito va avanti da mesi, ma proprio in queste ore di “aggiustamenti” intorno al ddl Scuola sembra spuntare l’asso dalla manica. Il “jolly” potrebbe essere l’emendamento firmato da Manuela Ghizzoni del Pd, vicepresidente della Commissione Cultura. “Il nostro è un emendamento che cambia completamente lo schema previsto dal governo – dice Ghizzoni – non vogliamo più sentire parlare di abilitazione e di reclutamento: le due cose devono viaggiare insieme, o avremo sempre sacche di precariato”. La soluzione immaginata da Ghizzoni è un reclutamento “alla francese”, ovvero un “concorso-corso”. Funzionerebbe così: ai concorsi per la scuola possono presentarsi persone in possesso della laurea magistrale che abbiano al proprio attivo almeno 36 crediti in discipline pedagogiche. Chi vince il concorso ottiene un contratto di apprendistato che lo inserisce direttamente nell’organico scolastico con un contratto di apprendistato di tre anni. In quei tre anni il vincitore è un “quasi insegnante” in formazione, che gradualmente si avvicina all’insegnamento. “Il cambio di mentalità è evidente – dice Ghizzoni – non è più il futuro insegnante che con i suoi soldi deve investire nella formazione per ottenere l’abilitazione, ma è lo Stato che dice: io investo su di te, e stanzia i soldi per la sua formazione”. La proposta, che per ora è solo un emendamento, trova orecchie attente tra gli universitari: “L’emendamento – osserva Alberto Campailla di Link Coordinamento universitario – va nella direzione del superamento della separazione netta tra abilitazione e reclutamento. Restano però alcuni dubbi da affrontare al più presto: il futuro di chi ha ottenuto una abilitazione con i Tfa universitari, e come verrà assunto stabilmente il futuro “apprendista”, ci sarà una valutazione? Rimane necessario un confronto ampio e profondo, che fin’ora è stato negato”.

I dubbi delle opposizioni. Ma quante possibilità ci sono che l’emendamento venga discusso? Il dibattito sul ddl Buona Scuola va avanti con i tempi contingentati come hanno sottolineato gli esponenti del Movimento 5 Stelle, che per protesta hanno deciso di non partecipare più ai lavori della Commissione: “Trattare qualche emendamento nei corridoi non è serio – ha detto Gianluca Vacca del M5S – senza contare che innanzitutto bisogna discutere che cosa ne sarà dei precari di oggi, che qualcuno sta pensando di buttare a mare”. Anche Sinistra Ecologia e Libertà contesta: “Il tempo irrisorio dedicato al dibattito parlamentare. Per noi questi temi andrebbero stralciati perché richiedono un dibattito disteso”, dice Annalisa Pannerale. Tra l’altro Sel non si fida dei cambiamenti promessi sul ddl: “Non vorremmo che fossero solo un modo per svilire la protesta della piazza contro un testo che ha molti punti critici”.

Puglisi: “Sì all’emendamento, possibile soppressione della delega”. Intanto però anche Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del Pd, dice: “L’emendamento Ghizzoni è interessante e affronta un nodo che il Pd ha sempre sostenuto: bisogna superare la divisione tra abilitazione e reclutamento. Non c’è dubbio che l’emendamento sarà discusso in aula”. Anzi, secondo Puglisi c’è addirittura la possibilità che la questione della formazione degli insegnanti esca dalle deleghe al governo: “Se verificheremo una significativa convergenza su questo tema, si potrebbe pensare di sopprimere la delega e inserire il modello proposto da Ghizzoni direttamente nel ddl”. Una disponibilità dettata anche da un aspetto di “convenienza”: l’emendamento prevede che dal secondo anno gli insegnanti in apprendistato possano coprire le supplenze, una delle “croci” nella programmazione del reclutamento degli insegnanti.

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