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"Ricercatori italiani come panda. In dieci anni «scomparsi» 9 su 10", di Claudia Voltattorni – Corriere della Sera.it 05.12.14

«Sono stanca di fare il panda, basta con le pacche sulle spalle: noi vogliamo un impegno serio, siamo persone con anni di ricerca e studio alle spalle, abbiamo competenze acquisite qui in Italia, vogliamo spenderle qui, non all’estero». Perciò Valentina Bazzarin, 34 anni, bolognese, ricercatrice di Scienze Politiche è arrivata a Roma insieme con altri suoi colleghi ricercatori di tutta Italia. Per un flashmob contro il jobs act, ma soprattutto per dire che «l’università italiana si sta impoverendo e questo è un problema di tutto il Paese, non solo nostro». E forse non ha tutti i torti a ben vedere i dati dello studio «Ricercarsi» commissionato dalla Flc Cgil e presentato giovedì mattina al Senato.

Esodo

Negli ultimi 10 anni, spiega Francesco Vitucci, uno degli autori della ricerca ed ex ricercatore precario, «negli atenei italiani c’è stato un vero e proprio esodo: su 100 ricercatori precari, l’università ne ha espulsi più di 93». Che significa persone formate e poi lasciate andare via, all’estero magari, ma anche a fare tutt’altro rispetto a quello per cui hanno studiato per anni. Uno spreco di competenze. Non solo. A causa del blocco del turn over, nel 2014 l’università italiana ha perso tra docenti e ricercatori 2183 unità: a fronte di 2324 pensionamenti infatti sono stati attivati solo 141 ricercatori di tipo b, cioè quelli che poi, dopo 3 anni possono essere stabilizzati.

Il comma 29

A tutto ciò, spiegano gli autori dello studio e i ricercatori arrivati a raccontarsi, si deve aggiungere l’aumento di contratti precari, dai 6mila nel 2004 agli oltre 14mila del 2014. «E sarà sempre più così», spiega Francesca Coin, altra ricercatrice. Perché nella legge di stabilità appena approvata al Senato c’è un comma, il 29 all’articolo 28, che elimina l’obbligo (previsto dalla legge Gelmini) di attivare contratti di tipo b per i ricercatori quando un docente va in pensione, «contratti che almeno in futuro garantivano un’assunzione a tempo indeterminato: quel comma – spiega ancora Vitucci – invece è la pietra tombale sul reclutamento universitario». I 20mila ricercatori della università d’Italia sono inoltre destinati a ridursi notevolmente dal primo gennaio 2015, quando, per effetto della legge Gelmini, scadranno definitivamente gli assegni di ricerca della durata massima di 4 anni non rinnovabili. Lo stesso accadrà il prossimo anno con gli altri contratti di ricercatore a tempo determinato, al massimo 5 anni.

«Università italiana in crisi»

Che fine faranno tutti questi lavoratori? La bestia non è stata affamata, è stata proprio strangolata», interviene Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc Cgil che accusa governo e Miur «acefalo» di «essere totalmente disinteressati all’università». Ed elenca: «Cala il numero dei docenti, cala il numero dei ricercatori, calano le immatricolazioni: c’è stata una ristrutturazione anarchica dell’università, c’è una parte dell’establishment economico (ma anche politico) che combatte l’idea di una funzione sociale dell’università, invece oggi c’è bisogno di un progetto urgente, ma che sia legato a tutto il sistema Paese». Conclude la deputata pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione cultura alla Camera: «L’Italia è il Paese in Europa che ha il numero più basso di ricercatori, 151mila contro i 520mila della Germania e i 429mila del Regno Unito: il nostro Paese ha fame di ricerca e se non mettiamo i nostri ricercatori in condizione di lavorare con certezza e serenità non costringendoli a sopravvivere nel limbo della precarietà, condanniamo il nostro Paese a non progredire».