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"Solo la cultura ci potrà salvare", di Gilberto Corbellini – Il Sole 24 Ore 07.12.14

Alla fine gliel’abbiamo fatto, a essere primi in Europa per qualcosa: facciamo registrare il più elevato tasso di corruzione secondo gli ultimi rilievi di Transparency International. Un tragico primato d’immoralità civile che, insieme alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale, è destinato a vanificare qualunque tentativo di far ripartire economicamente e socialmente il Paese. Parlando a Milano, il 7 novembre scorso, sui danni causati dall’economia criminale, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco invocava più efficaci strumenti normativi per contrastare e prevenire la corruzione, che disincentiva gli investimenti di capitali stranieri, senza i quali mai e poi mai ci si risolleverà dal declino economico e sociale. Si può combattere e limitare la corruzione solo con interventi legislativi? Probabilmente no. Il Governatore Visco, che ha studiato l’economia del capitalismo cognitivo, sa che esiste una ricca ed empiricamente validata letteratura, la quale dimostra che le persone rispettano le regole scritte e condivise se e solo se hanno maturato, in età pre-adulta e attraverso specifiche esperienze socio-culturali e processi educativi, una capacità individuale, sul piano psicologico-morale, di apprezzare il valore e l’utilità di procedimenti istituzionali trasparenti, affidabili e competitivi.
In uno studio che è già un “classico”, Daniel Treisman (The causes of corruption: a cross-national study, Journal of Political Economics 76; 2000; pagg. 399-457) confermava un dato noto da tempo: le nazioni con tradizioni protestanti e quelle con economie più sviluppate hanno governi di qualità superiore, ed entrambi questi fattori sono significativamente e robustamente associati con una più bassa percezione di corruzione. Inoltre, i Paesi con una storia di legislazioni penali e civili britanniche sono regolarmente classificati come meno corrotti. Chi leggeva per primo questo fenomeno, lo spiegava in termini di superiorità del sistema di common law. Treisman lo attribuisce all’esistenza in Gran Bretagna e nei Paesi che sono stati colonie britanniche di una cultura giuridica che apprezza il sistema della giustizia procedurale – incentrato su neutralità, fiducia e riconoscimento del proprio status; un sistema nel quale le norme sanciscono e garantiscono dell’irrilevanza delle opinioni e sensibilità valoriali soggettive, inevitabilmente discordi. Ormai persino i sassi, ma non gli intellettuali e politici italiani, sanno che confondendo opinioni e fatti, o peggio privilegiando le opinioni si commettono solo errori e ingiustizie.
Dall’ampia raccolta di dati e approfondita analisi sugli indicatori correlati alla corruzione, Treisman ricavava che gli stati federali sono più corrotti di quelli unitari, a causa delle competizioni tra livelli autonomi di governo per un sovra-sfruttamento delle risorse, e che è importante l’efficienza delle istituzioni democratiche nel tenere bassa la percezione della corruzione. Anche la durata dell’esposizione della popolazione alla democrazia e a un’economia di libero scambio correla con una ridotta la corruzione, ma non è chiara la direzione del rapporto causale.
Dato che siamo fuori tempo massimo per fare una riforma protestante e una rivoluzione liberale, forse bisogna prendere un’altra strada per tentare di uscire dal tunnel. Per esempio provare a capire perché esiste la corruzione e se c’è qualche intervento che sia praticabile in tempi ragionevoli. Nella discussione sulle cause della corruzione, negli ultimi anni sono entrati in campo utili studi sulla storia evolutiva del comportamento sociale umano. Da questi risulta che corrompere e farsi corrompere non era svantaggioso, e al limite poteva essere adattativo nelle società con gerarchie di dominanza e con economie a somma zero.
Due biologi evoluzionisti hanno fatto una simulazione dell’efficienza sociale e dei criteri di accettabilità di un sistema di esercizio del potere, come quello dei pubblici ufficiali incaricati di far rispettare la legge, scoprendo che un livello minimo di corruzione, nella forma di privilegi illegali concessi a questi funzionari, rafforza il funzionamento e le prestazioni delle società umane (F. Úbeda, E.A. Duéñez-Guzmán, Power and Corruption, Evolution 2011, 65 (4), pagg. 1127-39). Questa scoperta non significa che la corruzione sia un bene. Ovvero, probabilmente lo è nelle società che si trovano più prossime a condizioni naturali di espressione della psicologia sociale umana, nel senso che può servire a ridurre abusi di potere. Nelle nostre società complesse è tutt’altra faccenda. In ogni caso, quando si applica una logica evoluzionistica all’origine dei comportamenti umani, si può scoprire che quel che tiene insieme le nostre società non è necessariamente quel che giudichiamo astrattamente o a priori come buono e giusto.
Lord Acton aveva ragione a sostenere che il «potere corrompe». Un gruppo di ricercatori ha dimostrato che l’esperienza psicologica del potere è associata alla ricerca del proprio interesse particolare. L’esperimento ha anche mostrato che questo vale soprattutto per chi ha una «debole identità morale», mentre chi ha una forte identità morale vede incrementata la propria consapevolezza etica attraverso l’esperienza psicologica del potere (DeCelles, Katherine A.; DeRue, D. Scott; Margolis, Joshua D.; Ceranic, Tara L., Does power corrupt or enable? When and why power facilitates self-interested behavior, Journal of Applied Psychology, Vol 97(3), May 2012, 681-689). Ma che cosa sarebbe fattibile in tempi più o meno rapidi per migliorare la qualità morale degli italiani?
In occasione della pubblicazione del Manifesto per la Cultura avevo riportato su queste pagine che uno studio condotto da Niklas Potrafke su 125 Paesi (Intelligence and Corruption, Economics Letters 2013; 114: 109-112) aveva rilevato che dove ci sono livelli di prestazioni intellettuali più alti, la corruzione è più bassa. Il rapporto tra livello di intelligenza nazionale, intesa come misura del “capitale cognitivo”, e un più efficace controllo sulla corruzione, oltre che sull’efficienza del governo e dello stato di diritto, è confermato da un recentissimo studio dell’economista sudafricano Isaac Kalonda Kanyama, che nel discutere i dati sottolinea come questo non significhi che ci sono Paesi abitati da persone più intelligenti, che realizzano istituzioni più efficienti, e Paesi abitati da stupidi, che mettono a punto istituzioni più povere. Il concetto che emerge da questo e altri studi sul ruolo del capitale cognitivo nella progettazione e nel governo dei sistemi liberali e capitalisti, è che il livello di comprensione cognitiva delle regole e dei principi, che fanno funzionare le istituzioni liberaldemocratiche, e la stretta cooperazione tra il capitale cognitivo e le istituzioni nazionali, sono importanti per la qualità della vita istituzionale di quel Paese (Quality of institutions: Does intelligence matter?, Intelligence 2014, 42: 44-52.)
La cura e la prevenzione della corruzione, se vuole davvero metterle in atto, richiedono di agire sulla formazione della psicologia cognitiva e morale individuale nelle fasi giovanili di maturazione e stabilizzazione delle capacità decisionali. Non a caso infatti lo stesso Governatore Visco insiste sulla necessità di investire in istruzione e ricerca. Questo significa che è nelle scuole e attraverso dinamiche famigliari di attaccamento salutare che si costruiscono i sentimenti e ragionamenti potenzialmente virtuosi, e allo stesso tempo emotivamente premianti, che riducono la pratica e il contagio della corruzione. Purtroppo anche i rapporti famigliari in Italia tendono a essere patologici, cioè a produrre forme di attaccamento che non promuovono fiducia e cooperazione, ma prevalentemente una condizione di arretratezza sociale che è il “familismo amorale”, storicamente definita proprio in Italia oltre mezzo secolo fa.