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"L´ossigeno della Bce", di Eugenio Scalfari

Nell´intervento di ieri, parlando della crisi attuale dinanzi all´Europarlamento, Mario Draghi così ha concluso: «La Bce può fare il prestatore di ultima istanza solo per le banche solventi. È in corso in Europa una stretta del credito che stringe soprattutto le piccole e medie imprese e per questo serve riparare il circuito del credito che ora non circola». Questa è una frase-chiave per capire le prossime mosse della Banca centrale europea. Cerchiamo anzitutto di decifrarne il senso perché il linguaggio del banchiere è alquanto gergale e quindi oscuro per i non iniziati.
La Bce si può muovere solo all´interno dei limiti previsti dal suo statuto. Tra questi limiti c´è il divieto di finanziare direttamente i governi. Gli interventi che fa fin dallo scorso agosto sul mercato secondario acquistando titoli pubblici sono limitati nelle dimensioni e nella durata. Difficilmente servono a mantenere liquido il mercato. In realtà servono a contenere il rendimento dei titoli affinché non superi troppo la soglia del 7 per cento che è già alla lunga insostenibile per l´equilibrio dei conti pubblici. Le banche commerciali – dice Draghi – stanno praticando una stretta del credito, di conseguenza il circuito è bloccato a detrimento soprattutto delle imprese, cioè dell´economia reale.

E infine conclude: «La Bce può fare il prestatore di ultima istanza per le banche solventi perché questo è previsto dal suo statuto». Domenica scorsa avevo scritto proprio questo: la Bce si accingeva ad aprire linee di credito alle banche europee con prestiti a due-tre anni per un ammontare complessivo di oltre mille miliardi di euro, se necessario anche stampando moneta. Le parole di Draghi confermano che questa è l´operazione che ha in mente. Nel frattempo le sei maggiori Banche centrali dell´Occidente hanno fortemente diminuito il costo degli “swap” in dollari, cioè hanno creato la possibilità per le banche commerciali di approvvigionarsi in dollari illimitatamente con prestiti a tre mesi.
Considerata in sé, quest´operazione è una bombola d´ossigeno al letto d´un ammalato grave, cioè del sistema bancario occidentale e in particolare di quello europeo. Una bombola d´ossigeno, non più di tanto. Potrà attutire la crisi respiratoria ma non modificare le condizioni dell´ammalato che non è ancora in uno stadio terminale ma rischia di precipitarvi.
Ci vuole molto di più che diminuire il costo degli “swap” in dollari. Ma in realtà quella bombola d´ossigeno serve a realizzare un altro obiettivo: ridare alle banche commerciali fiducia in se stesse. Attualmente non si fidano l´una dell´altra e dei clienti si fidano meno ancora. La Bce offre crediti con scadenze settimanali, le banche ritirano i fondi con la mano destra e con la sinistra li ridepositano presso la stessa Bce: una partita di giro priva di senso.
La riattivazione degli “swap” in dollari mostra ai mercati che le sei Banche centrali d´Occidente sono compattamente schierate per impedire il fallimento dell´euro. L´obiettivo è appunto di tonificare le aspettative dei banchieri.
Adesso Draghi dovrebbe attivare la sua operazione strutturale affinché le banche tornino a prestarsi reciprocamente liquidità e ne dirigano una parte a finanziare le imprese e un´altra parte per acquistare titoli di Stato alle aste, possibilmente con rendimenti più bassi di quelli toccati nelle ultime occasioni.
Questo è quanto ci aspettiamo che avvenga. Draghi e il direttorio della Bce hanno ora una grande responsabilità: non possono e non debbono ulteriormente aspettare, il fattore tempo è ora fondamentale. Monti presenterà i suoi primi decreti di risanamento lunedì prossimo. Entro la stessa data sarebbe molto opportuno che Draghi aprisse il rubinetto per finanziare “le banche solvibili”, ma non sufficientemente liquide. Sta a lui renderle adeguatamente liquide e consolidarne la fiducia, con ripercussioni estremamente importanti sulla crescita economica del sistema.
Monti stringe, Draghi allarga: questo dovrebbe accadere e si prendano ciascuno – governo italiano e Banca centrale europea – le proprie responsabilità.

La Stampa 02.12.11