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"L’imbarazzo lumbard sul federalismo fiscale", di Marco Alfieri

Imposta municipale unica (Imu). Doveva essere la parolina magica del Carroccio, la quintessenza del federalismo fiscale capace di restituire ai comuni padani vessati da «Roma ladrona» soldi freschi da spendere «per la nostra gente». «Pazientate…», si sbracciava Roberto Calderoli che ne è l’inventore, per calmare i bollori dei sindaci leghisti (gli stessi che oggi sparano addosso a Monti) contro i tagli lineari dell’amico Giulio (Tremonti). «Quando ci sarà l’Imu avrete finalmente leva fiscale e risorse per servizi e investimenti».

Poi il governo Berlusconi è caduto e oggi l’Imu da agognato miraggio si è trasformato nel grande nemico da abbattere, riecheggiando i falò anti tasse minacciati dal Carroccio nei mitici anni 90. Peggio. L’ipotesi di non pagare l’Imu lanciata dal sindaco di Vittorio Veneto e subito strumentalizzata ai piani alti della Lega, rischia di certificare il divorzio tra gli ex amici di Lega e Pdl. Maroni contro Berlusconi (e Alfano).

Nella versione originale l’Imu era nella disposizione degli enti locali, anche se posticipata al 2014. Ora con la reintroduzione dell’Ici viene anticipata al 2012 ma la sua natura cambia. Sulla prima casa rimane interamente ai comuni, sugli altri immobili (18 miliardi sui 21,5) è invece divisa a metà tra lo stato e i comuni. La quota statale viene però calcolata applicando alla base imponibile complessiva l’aliquota del 7,6 per mille, al lordo di qualsiasi detrazione o sconto. Di conseguenza, spiegano gli esperti del Sole 24 Ore, «i comuni che abbassano l’aliquota sugli immobili diversi dalla prima casa dovranno girare a Roma fino all’80% dell’Imu del territorio». Con le entrate statali che cresceranno di 11-12 miliardi!

«L’aumento della pressione fiscale è deciso per esigenze di bilancio statale», riassume Angelo Rughetti, direttore generale di Anci. «In questo caso le scelte che i sindaci possono compiere non nascono per aumentare i servizi ma un’altra volta per pareggiare i conti e stare nel patto di stabilità». In effetti. «E’ paradossale che un governo così nordista, con il mio conterraneo Monti e Passera, rimetta l’Ici per spostarlo a Roma…», ironizzava l’altra sera da Treviso, Roberto Maroni.

In realtà nemmeno il Carroccio sull’Aventino ha titoli per smarcarsi. Il senso del federalismo fiscale consiste nella trasformazione delle risorse trasferite dallo Stato agli enti locali in una compartecipazione ai tributi e in autonomia impositiva. Peccato che i tagli dell’ultimo biennio (regolarmente votati dalla Lega) a valere sul 2011-2014, pari al 40% delle risorse 2010, abbiano di fatto prosciugato il «tesoretto» dei trasferimenti fiscalizzabili, tradendo al di là degli slogan l’essenza del federalismo: lasciare sul territorio una parte delle risorse, superando il monopolio della finanza derivata.

Secondoi calcoli dell’Anci, nell’ultimo decennio la spesa dello Stato è addirittura aumentata di 300 miliardi mentre se ne sono spostati 100 dai territori verso Roma. E’ su questa ri-centralizzazione (avallata dalla Lega) che si abbatte la manovra Monti. Il vero federalismo, purtroppo, era già un miraggio. E i primi a saperlo sono proprio i comuni.

La Stampa 20.12.11