attualità, politica italiana

"La lingua del disincanto", di Massimo Giannini

In questo gelido inverno del nostro scontento, è quasi inutile chiedere a Mario Monti conforto e calore. Il suo governo “di scopo” non è nato per questo. La sua forza, che è anche la sua debolezza, deriva dal vuoto pneumatico della politica che si autosospende momentaneamente per manifesta incapacità. Il suo compito è dire l´amara verità a un Paese che per tre anni e mezzo è vissuto nel Truman Show berlusconiano, convinto che la crisi non ci avrebbe colpito, o che l´avremmo superata senza traumi, prima e meglio degli altri.

La sua missione principale è risanare un bilancio pubblico martoriato da una mistura di diffuso lassismo finanziario e di ottuso rigorismo da tagli lineari. Tutto il resto verrà dopo. Le riforme e la crescita, l´equità e le grandi opere.
Nella sua prima conferenza stampa di fine d´anno, il presidente del Consiglio parla il linguaggio ruvido del disincanto. Il decreto Salva-Italia ha raggiunto l´obiettivo. «Eravamo sull´orlo del burrone, ma non ci siamo caduti». «Ora non siamo più vicini alla Grecia». «L´alternativa non era tra una manovra recessiva e una manovra espansiva, ma tra fare questa manovra e non fare nulla, cosa che avrebbe avuto un effetto esplosivo». Sono tante le frasi che restano impresse, e che danno la misura del baratro per adesso evitato. Ma al di là degli sforzi che il premier ha fatto per tenere le porte del 2012 aperte alla speranza, resta la sensazione che la cura da oltre 20 miliardi appena somministrata al Paese siamo solo il primo stadio di una terapia ancora lunga e dolorosa. «Spero non servano altre manovre», si affretta a precisare Monti. Ma restano parole. Come furono parole quelle che Berlusconi pronunciò il 23 dicembre di un anno fa, e che il suo successore ha voluto ricordare: «Non servirà una manovra correttiva», disse allora il Cavaliere. «Nel frattempo ne sono servite altre cinque», ha chiosato il Professore.
Comincia un anno terribile. Il ciclo economico mondiale evidenzia un arretramento della crescita ovunque (comprese le aree finora più emergenti dei Bric) e un azzeramento della dinamica del Pil in Italia. Il ciclo politico europeo registra un´ulteriore cessione di sovranità nazionale alle istituzioni comunitarie. Se ha avuto un effetto, il vertice europeo dell´8-9 dicembre scorso è servito a ridurre ancora di più l´autonomia delle politiche fiscali teritoriali. Con una scelta tanto incomprensibile quanto velleitaria, Tremonti ha inchiodato l´Italia a una promessa impossibile con Bruxelles: il pareggio di bilancio entro il 2013. Monti lo sottolinea con una vena lievemente polemica, nella sua conferenza stampa: «Signori, quell´impegno non l´ha sottoscritto il mio governo». Semmai l´ha ereditato. Ma l´impegno c´è, e ora va onorato. Pena la definitiva sfiducia nei confronti di un Paese già fortemente screditato. Per questo, con ogni probabilità, verranno altre manovre, e verranno altri sacrifici.
Si può insistere finché si vuole, sull´ormai famosa triade che deve concretizzarsi in un´ipotetica unità di spazio e di tempo: rigore, crescita, equità. Si può ripetere fino alla noia che: «Non esistono una fase uno e una fase due». Ma i fatti contano più delle parole. E i fatti dicono che oggi paghiamo per raggiungere il risanamento finanziario, mentre nessuno può sapere se e quando incasseremo i dividendi dello sviluppo economico e della giustizia sociale. Forse non c´è alternativa, a questa road-map che ci impone in appena due anni di abbattere il deficit di 3 punti e il debito di 10 punti di Pil. Forse non possiamo far altro, per placare l´ira funesta dello spread, quel dio mercatista e pagano che pure non va «demonizzato», ma semmai va capito, anche se in questo momento ci penalizza più di quanto non meritino i nostri «fondamentali». «Non ci è dato lavorare con calma», come sostiene il premier. L´Unione ci aspetta, il 23 gennaio con l´Eurogruppo e il 30 con il Consiglio Europeo. Ma mentre sappiamo tutto dell´«atto dovuto», cioè la manovra di tasse e di tagli, sappiamo ancora poco o niente degli «atti voluti», cioè la strategia della crescita e dell´equità. Su questo fronte il governo Monti non ha altro da offrire, se non un operoso ma ancora fumoso «cantiere».
Le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali «sono in lavorazione». Sul «contratto unico» il ministro Fornero «sta ragionando». Sullo snellimento dei tempi e delle procedure per aprire nuove imprese: «È allo studio un provvedimento». Sul gigantesco problema dei crediti vantati dalle piccole imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione «ci stiamo lavorando». Sull´accordo con la Svizzera per tassare i capitali esportati, secondo il modello già adottato da Germania e Regno Unito, «è allo studio un´ipotesi di accordo». Sulla lotta all´evasione fiscale «abbiamo piantato i primi semi». Sarebbe assurdo pretendere che il governo Monti facesse in tre mesi quello che il governo Berlusconi non ha neanche provato a fare in tre anni.

MASSIMO GIANNINI
In questo gelido inverno del nostro scontento, è quasi inutile chiedere a Mario Monti conforto e calore. Il suo governo “di scopo” non è nato per questo. La sua forza, che è anche la sua debolezza, deriva dal vuoto pneumatico della politica che si autosospende momentaneamente per manifesta incapacità. Il suo compito è dire l´amara verità a un Paese che per tre anni e mezzo è vissuto nel Truman Show berlusconiano, convinto che la crisi non ci avrebbe colpito, o che l´avremmo superata senza traumi, prima e meglio degli altri.
a sua missione principale è risanare un bilancio pubblico martoriato da una mistura di diffuso lassismo finanziario e di ottuso rigorismo da tagli lineari. Tutto il resto verrà dopo. Le riforme e la crescita, l´equità e le grandi opere.
Nella sua prima conferenza stampa di fine d´anno, il presidente del Consiglio parla il linguaggio ruvido del disincanto. Il decreto Salva-Italia ha raggiunto l´obiettivo. «Eravamo sull´orlo del burrone, ma non ci siamo caduti». «Ora non siamo più vicini alla Grecia». «L´alternativa non era tra una manovra recessiva e una manovra espansiva, ma tra fare questa manovra e non fare nulla, cosa che avrebbe avuto un effetto esplosivo». Sono tante le frasi che restano impresse, e che danno la misura del baratro per adesso evitato. Ma al di là degli sforzi che il premier ha fatto per tenere le porte del 2012 aperte alla speranza, resta la sensazione che la cura da oltre 20 miliardi appena somministrata al Paese siamo solo il primo stadio di una terapia ancora lunga e dolorosa. «Spero non servano altre manovre», si affretta a precisare Monti. Ma restano parole. Come furono parole quelle che Berlusconi pronunciò il 23 dicembre di un anno fa, e che il suo successore ha voluto ricordare: «Non servirà una manovra correttiva», disse allora il Cavaliere. «Nel frattempo ne sono servite altre cinque», ha chiosato il Professore.
Comincia un anno terribile. Il ciclo economico mondiale evidenzia un arretramento della crescita ovunque (comprese le aree finora più emergenti dei Bric) e un azzeramento della dinamica del Pil in Italia. Il ciclo politico europeo registra un´ulteriore cessione di sovranità nazionale alle istituzioni comunitarie. Se ha avuto un effetto, il vertice europeo dell´8-9 dicembre scorso è servito a ridurre ancora di più l´autonomia delle politiche fiscali teritoriali. Con una scelta tanto incomprensibile quanto velleitaria, Tremonti ha inchiodato l´Italia a una promessa impossibile con Bruxelles: il pareggio di bilancio entro il 2013. Monti lo sottolinea con una vena lievemente polemica, nella sua conferenza stampa: «Signori, quell´impegno non l´ha sottoscritto il mio governo». Semmai l´ha ereditato. Ma l´impegno c´è, e ora va onorato. Pena la definitiva sfiducia nei confronti di un Paese già fortemente screditato. Per questo, con ogni probabilità, verranno altre manovre, e verranno altri sacrifici.
Si può insistere finché si vuole, sull´ormai famosa triade che deve concretizzarsi in un´ipotetica unità di spazio e di tempo: rigore, crescita, equità. Si può ripetere fino alla noia che: «Non esistono una fase uno e una fase due». Ma i fatti contano più delle parole. E i fatti dicono che oggi paghiamo per raggiungere il risanamento finanziario, mentre nessuno può sapere se e quando incasseremo i dividendi dello sviluppo economico e della giustizia sociale. Forse non c´è alternativa, a questa road-map che ci impone in appena due anni di abbattere il deficit di 3 punti e il debito di 10 punti di Pil. Forse non possiamo far altro, per placare l´ira funesta dello spread, quel dio mercatista e pagano che pure non va «demonizzato», ma semmai va capito, anche se in questo momento ci penalizza più di quanto non meritino i nostri «fondamentali». «Non ci è dato lavorare con calma», come sostiene il premier. L´Unione ci aspetta, il 23 gennaio con l´Eurogruppo e il 30 con il Consiglio Europeo. Ma mentre sappiamo tutto dell´«atto dovuto», cioè la manovra di tasse e di tagli, sappiamo ancora poco o niente degli «atti voluti», cioè la strategia della crescita e dell´equità. Su questo fronte il governo Monti non ha altro da offrire, se non un operoso ma ancora fumoso «cantiere».
Le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali «sono in lavorazione». Sul «contratto unico» il ministro Fornero «sta ragionando». Sullo snellimento dei tempi e delle procedure per aprire nuove imprese: «È allo studio un provvedimento». Sul gigantesco problema dei crediti vantati dalle piccole imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione «ci stiamo lavorando». Sull´accordo con la Svizzera per tassare i capitali esportati, secondo il modello già adottato da Germania e Regno Unito, «è allo studio un´ipotesi di accordo». Sulla lotta all´evasione fiscale «abbiamo piantato i primi semi». Sarebbe assurdo pretendere che il governo Monti facesse in tre mesi quello che il governo Berlusconi non ha neanche provato a fare in tre anni.

La Repubblica 30.12.11