attualità, cultura

L’informazione nel dopo Berlusconi

Tra curiosità e necessità di una riconversione. Interviste a Stefano Menichini, Claudio Sardo e Antonio Padellaro.
E adesso di che cosa scriviamo? Scomparsa all’improvviso la corte, con i favoriti del giorno, il gran ciambellano, le amanti, dove si trovano le notizie? Chi sono i personaggi da inseguire? Dopo oltre tre lustri di egemonia culturale e politica, l’improvviso cambiamento dello scenario politico ha lasciato giornalisti politici e redazioni in apnea. In una settimana sono cambiati interlocutori, temi (adesso i contenuti della manovra, prima le beghe tra i favoriti del sovrano), comportamenti, perfino il linguaggio. E c’è voluto uno sforzo di riconversione. Il berlusconismo prevedeva il trionfo dell’immagine rispetto alla realtà, del gossip rispetto alla ricerca. All’improvviso è cambiato tutto.

I primi ad accorgersene sono stati i cronisti dei quotidiani e delle agenzie in Transatlantico. I primi giorni del dopo Berlusconi vagolavano da un capo all’altro non sapendo ancora bene come fare. Ma soprattutto si sono dovuti porre il problema quei quotidiani che per anni hanno, per convinzione, per collocazione politica, ma anche per collocazione sul mercato editoriale, lottato contro Berlusconi e il berlusconismo. A cominciare dai quotidiani che fanno riferimento al PD, come l’Unità ed Europa, ma parlando anche del fenomeno editoriale degli ultimi anni, nato proprio sull’onda dell’antiberlusconismo, Il Fatto Quotidiano. Per non parlare del cambiamento al quale si dovranno abituare i grandi magazine esteri, che in questi anni hanno giocato diverse copertine sul folkrore italiano e sulla figura di Berlusconi, per attaccare l’Italia e sminuirne ruolo e importanza.

Il sito del Partito democratico e YouDem proprio per questa ragione hanno intervistato i tre direttori dei quotidiani: per capire come pensano di impostare il futuro e il rapporto con la politica e con i lettori, sulla base di questo cambiamento di orizzonte.
Non che il declino del berlusconismo sia arrivato all’improvviso. E’ già cominciato da tempo, lo abbiamo visto progressivamente crescere con le manifestazioni di piazza, colorate, pacifiche ma anche molto partecipate, che hanno segnalato la rinascita di un desiderio di partecipazione e di cambiamento che sembrava finito in soffitta. Manifestazioni nate dall’orgoglio ferito di una società civile intimamente umiliata nei valori più basilari e defraudata di diritti che pensava di aver conquistato e consolidato negli anni delle grandi lotte. Onde di indignazione contro il sessismo inteso come uso e abuso del corpo della donna.

Centinaia di migliaia di cittadini senza bandiere, senza schieramenti, ormai saturi della pressione martellante e sibillina esercitata attraverso ogni mezzo di comunicazione possibile da un governo dell’apparenza. Stanchi del governo dei falsi proclami, delle promesse mancate, dell’esaltazione del futile, che ha cullato per quasi un ventennio intere generazioni nell’illusione che tutto andasse bene, esaltando il culto dell’”io” a scapito del “noi”. Questo era il messaggio sotteso in ogni dove: la collettività concepita come un fardello da cui fuggire, perché è giusto coltivare e difendere il proprio orticello con qualsiasi mezzo, l’altro non conta. “Silvio Berlusconi ha attinto direttamente con rozzezza agli istinti della società senza fare nessuna mediazione”, ha detto D’Alema in un’intervista, dopo la caduta del governo. Anzi, il vicino è addirittura percepito come un nemico da temere ed emarginare se è “diverso”, nel colore, nell’estrazione sociale, per le scelte sessuali o religiose, per la nascita o la provenienza geografica: tra il Nord e il Sud del mondo, tra il Nord e il Sud dell’Italia.

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