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"Libera concorrenza in libero stato", di Luca Landò

A pensar male ci si azzecca sempre, diceva Andreotti. E i cattivi pensieri hanno cominciato a decollare dopo la frase pronunciata ieri da Silvio Berlusconi commentando la possibilità di vendere all’asta le frequenze liberate nel passaggio dall’analogico al digitale: «Non ho un’opinione – ha detto in margine al vertice Ppe di Marsiglia – ma temo che se ci fosse una gara sulle frequenze potrebbe essere disertata da molti». Che è poi lo stesso messaggio lanciato, sempre ieri, da Gina Nieri, numero due di Mediaset, che in una lettera a Il Fatto si chiedeva: «Siamo sicuri che arriverebbero a frotte contendenti disposti a pagare miliardi nel caso di un’asta per le tv?». Il sospetto è che la “non opinione” di Berlusconi sia in realtà la strategia offensiva di Mediaset: indebolire l’ipotesi dell’asta prima che questa venga presa in considerazione dal
governo come misura per alleggerire il peso sociale della manovra. Che è poi quello che stanno chiedendo da giorni Pd, Idv e Fli. Lo ha ribadito ieri il Democratico Paolo Baretta a proposito della possibilità di inserire in un emendamento unico le possibili orrezioni alla manovra. A dell’indicizzazione delle pensioni: «La Ragioneria stima che la copertura necessaria sia di circa due miliardi di euro, risorse che potrebbero essere trovate anche con l’asta delle frequenze».
Un’asta che non c’è, come l’isola di Peter Pan. Un decreto del governo Berlusconi a firma del ministro Paolo Romani prevede infatti che le nuove frequenze (cinque per la tv digitale e una sesta per veicolare immagini su cellulari e tablet) siano assegnate non con il principio del “chi offre di più” ma con una curiosa procedura, chiamata “beauty contest”, dove contano altri criteri (fatturato, numero di dipendenti) e che sembra fatta apposta per favorire Mediaset e Rai. E non è finita: perché a differenza dell’asta al rialzo (che secondo alcuni potrebbe portare 4 miliardi di euro) il beauty contest è gratuito. Ed è questo l’aspetto che sta provocando una vivace rivolta da parte di giornali e partiti. «Ogni giorno che passa, la scelta di non indire l’asta delle frequenze appare più insopportabile”, dice Matteo Orfini, responsabile cultura e informazione del Pd. «Come si fa a chiedere sacrifici ai più deboli mentre si regalano beni pubblici ai soliti noti?».
Già, come si fa? Eppure il “beauty contest” sta continuando il proprio cammino, anche se rallentato da una serie di ricorsi da parte degli stessi partecipanti (Mediaset esclusa) che lamentano l’assurdità di un concorso a senso unico, al punto che il 30 novembre Sky Italia ha annunciato il ritiro.
Oltre all’aspetto economico – che in questo periodo di sacrifici è
tutt’altro che secondario – c’è un altro corno che vale la pena afferrare. Se non ci saranno ripensamenti, a decidere chi potrà utilizzare gratuitamente le frequenze saranno tre esperti nominati da Paolo Romani: ex giornalista Mediaset ma soprattutto ministro di un governo guidato dal fondatore di Mediaset. Già questo sarebbe un buon argomento per indurre il governo Monti a rivedere le regole di assegnazione di un bene pubblico: senza nulla togliere al gruppo del “biscione”, che resta una solida realtà del panorama imprenditoriale italiano, siamo sicuri che le regole del gioco non debbano essere decise in maniera più limpida e trasparente? Non sarebbe meglio annullare tutto e ricominciare da capo? Magari con un’asta pubblica? Monti, quand’era commissario europeo, ha condotto una vittoriosa battaglia contro il dominio assoluto di un gigante come Microsoft.
Sarebbe singolare che “l’uomo della concorrenza” chiudesse un occhio proprio adesso.

L’Unità 09.12.11

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«Asta per le frequenze tv E poi nuove regole», di Alessandra Mangiarotti

Beauty contest o asta? Francesco Siliato, docente di Sociologia della comunicazione al Politecnico di Milano, non esita: «Assolutamente asta. Anche se per l’assegnazione delle frequenze televisive lasciate libere nel passaggio dall’analogico al digitale l’Europa si è mossa diversamente».
Vale a dire?
«In Francia e Germania è stato scelto proprio il “concorso di bellezza”. Cosa diversa è stata fatta per le frequenze di telefonia che sono state assegnate attraverso asta».
L’asta per le frequenze telefoniche è cosa fatta anche in Italia, perché azzerare allora il «beauty contest»?
«Perché in nessun altro Paese ci sono broadcaster che già con l’analogico avevano tre reti. La nostra anomalia impone un approccio diverso se non si vuole incorrere in nuove sanzioni Ue».
Quella in corso è congelata.
«È scattata quando, dopo la legge 66 del 2001, ci è stata contestata la limitazione all’acquisto di frequenze solo da parte di chi aveva già concessioni analogiche. La sanzione si è poi aggravata con la Gasparri. Oggi è sospesa in attesa dell’assegnazione delle frequenze e dell’apertura del mercato».
Il percorso è più lungo del previsto.
«Più lungo, ma come previsto. Almeno all’inizio, per mantenere uno status quo e tenere lontana Sky. Poi però Sky per le eccessive lungaggini si è ritirata, l’asta per le frequenze telefoniche si è conclusa portando nelle casse dello Stato 3,4 miliardi e la crisi ha reso ogni cosa più difficile».
Ma in caso d’asta, ci sarebbero partecipanti?
«Oltre a Rai, Mediaset e Telecom Italia Media, partecipano al beauty contest altri quattro gruppi. Pochi e piccoli. Un segnale preoccupante. Nessun operatore del calibro di Disney, Turner, Universal. Gli stessi che hanno partecipato e rinunciato alla gara per la cessione del 40% della capacità trasmissiva dei broadcaster con più di due concessioni».
Il motivo?
«Che in un Paese dove Rai e Mediaset possono contare su cinque multiplex (30 reti!) non ci sono le condizioni per entrare nel mercato. Se non c’è conflitto d’interessi c’è interesse a operare in Italia. Diversamente…».
Ma la sensazione è che in molti casi tutto si riduca a una battaglia ideologica.
«Il problema non è Berlusconi ma l’anomalia del nostro sistema radiotelevisivo. Per questo è necessario riscrivere tutte le regole, mettendo mano se non al conflitto d’interesse a un codice antitrust che vieti concentrazioni nella proprietà e nella raccolta pubblicitaria».
Adesso però sul tavolo c’è il «beauty contest». Che dire al ministro Passera?
«Se fossi in lui andrei a Bruxelles a concordare l’annullamento del beauty contest e la definizione di nuove norme. Facendo in modo di impedire agli editori con più di 2-3 multiplex di partecipare all’asta. I pro non mancano: la necessità di racimolare denaro, le pressioni della gente, i tanti ricorsi, il rischio di nuove sanzioni. Quelle frequenze valgono tra i 3 e i 5 miliardi. In un Paese normale non ci sarebbero dubbi».

Il Corriere della Sera 09.12.11