attualità, pari opportunità | diritti

"Tutti i numeri dell'evasione dai gioielli alle auto di lusso", di Lorenzo Salvia

Vale dieci volte la manovra del governo Monti. E quindi basterebbe non solo a evitare le lacrime di un ministro e di milioni di italiani ma anche a mettere per sempre in sicurezza i nostri conti pubblici. Stima l’Istat che in Italia in un anno l’evasione fiscale e il sommerso raggiungano i 275 miliardi di euro. È la stessa cifra che fattura l’industria mondiale del legno, oppure quella nazionale (ma fiorente) della corruzione russa. Tradotta in denaro sottratto al Fisco sono 120 miliardi, secondo il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera. In media vuol dire che ogni contribuente nasconde allo Stato 2.093 euro, il 13,5% del proprio reddito, uno stipendio. Solo che anche in campo fiscale bisogna applicare la regola dei polli di Trilussa.
Pochi mesi fa l’Herald tribune ha scritto che l’evasione è il nostro vero sport nazionale. E allora, come per tutti gli sport, si può fare un ritratto sociologico del Paese, vedere dove è praticato di più e da chi. Gli uomini evadono più delle donne, i giovani più degli anziani. E se il grosso del buco nero è al Nord in media quelli più furbi vivono al Centro. Ma la vera differenza sta nella fonte del reddito. Secondo il rapporto del gruppo di lavoro sulla riforma fiscale i veri campioni appartengono a due categorie: i lavoratori autonomi o gli imprenditori che dichiarano la metà del loro reddito reale nascondendo al Fisco più di 15 mila euro a testa. E, soprattutto, i proprietari di case, negozi e appartamenti che dalla dichiarazione tengono fuori oltre l’80% delle loro entrate, quasi 18 mila euro ciascuno. Altro che i 2 mila euro a testa calcolati alla Trilussa. C’è poi un altro settore che fa venire qualche dubbio, il commercio. Queste non sono stime ma le dichiarazioni del 2008, ultimo anno disponibile per gli studi di settore. Le discoteche e i locali da ballo sono addirittura in perdita: dichiarazione media meno 6 mila euro. Sotto zero, e quindi sotto la soglia della povertà se non della fame, anche i centri benessere con meno 3.200 euro e gli impianti sportivi con meno 1.300. Ma anche chi qualcosa la guadagna è costretto a una vita monastica: i ristoratori dichiarano in media 13.800 euro, i parrucchieri 12.500, i gioiellieri 16.300. Tutti intorno ai mille euro lordi al mese. Come un ragazzo al primo contrattino che si porta il panino da casa. Possibile?
Se la tassazione si deve spostare dalle persone alle cose, cambiare inquadratura può aiutare a comprendere meglio. L’anno scorso sono state vendute 206 mila auto di lusso, prezzo sopra i 103 mila euro. Eppure, nello stesso anno, solo 72 mila contribuenti hanno dichiarato un reddito superiore ai 200 mila euro. D’accordo che nessuno vuole lo Stato di polizia, ma gli altri 130 mila italiani il macchinone con quali soldi se lo sono comprato? Discorso simile per le barche di lusso, quelle superiori ai 10 metri. Secondo i dati dell’anagrafe tributaria ricordati dal Sole 24Ore ben quarantaduemila sono intestate a persone che dichiarano 20 mila euro l’anno, e che quindi hanno sfondato la favolosa soglia dei 1.500 al mese, sempre lordi. Stesso stipendione dichiarato da altri 518 italiani che in casa hanno addirittura l’elicottero o l’aereo. Poveri con il jet, poveri con lo yacht o almeno con il suv. Del resto 9 italiani su dieci dichiarano meno di 35 mila euro l’anno, la metà addirittura meno di 15 mila. Quanti saranno i furbi?
Negli ultimi 10 anni sono stati scovati 350 mila evasori totali, che al Fisco non dichiaravano nemmeno uno spicciolo. Ma ancora di più sono quelli parziali. E non per forza vip, che almeno finiscono in prima pagina e di solito patteggiano restituendo il malloppo. Neanche un mese fa, una coppia di Verona è stata denunciata dalla Guardia di Finanza. Avevano venduto dei terreni diventati edificabili, nei loro conti all’estero erano accumulati 200 milioni di euro. Negli ultimi due anni, insieme, avevano dichiarato 6 euro.

Il Corriere della Sera 11.12.11

******

«Basta segreti su conti e patrimoni Ora possiamo battere i furbi», di Massimo Mucchetti

Dottor Befera, perché Equitalia è entrata nel mirino del terrorismo?
«Non sono un inquirente. Certo è che le campagne di odio contro Equitalia creano il clima favorevole ad atti criminali ed esecrabili come quello contro il dottor Cuccagna».
Nel web la bomba riceve consensi.
«Consensi figli della disinformazione: casi particolari enfatizzati dai media come se fossero la regola; politici locali e nazionali che cavalcano proteste ingiustificate come quelle dei pochi che non vogliono pagare le multe sulla violazione delle quote latte oppure cavalcano disagi reali come quelli della Sardegna, dimenticando che tocca al governo locale e nazionale decidere eventuali moratorie fiscali e non all’esattore. Equitalia non è un ammortizzatore sociale».
Quote latte, ovvero Umberto Bossi. Sardegna, ovvero Mauro Pili. Le risulta che il sindaco di Bari, Michele Emiliano, si sia mobilitato contro Equitalia e, al tempo stesso, non paghi l’Ici ai Comuni vicini dove la sua giunta ha acquisito immobili?
«Lasciamo da parte le personalizzazioni. Quanto a Bari, un tempo era così, ma poi magari il Comune si è messo in regola. Onestamente, in questo momento non saprei dire».
Pili raccoglie le firme per una legge di iniziativa popolare contro Equitalia.
«Chiedo: andava bene quando 40 società di matrice bancaria riuscivano a riscuotere 1,5 miliardi l’anno di cartelle esattoriali o il Monte dei Paschi, esattore di Roma, avviava una sola procedura nell’intero 2003 e a Napoli chiamavano sfogliatielle le cartelle esattoriali? O non va meglio adesso che Equitalia, con tre sole società operative, ne recupera per 10 miliardi? Quale Paese vogliamo?».
Siete accusati di tassi usurai.
«Bugie. Il 30% si riferisce alle sanzioni. Cancellandole, quanti ancora pagherebbero?».
Troppe provvigioni, dicono i Siti online.
«Di nuovo, disinformazione. Si vorrebbero togliere a Equitalia gli interessi sui ritardati pagamenti e pure l’aggio (il compenso ricevuto dagli esattori, ndr). Ma gli interessi vanno agli enti impositori, non a Equitalia. E senza aggio i costi di riscossione andrebbero a carico della fiscalità generale, e cioè dei contribuenti onesti. Cerchiamo di essere seri».
Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate e presidente della società di riscossione Equitalia, fondata nel 2006 assieme all’Inps, sta affrontando l’ostilità diffusa di un Paese spesso fiscalmente infedele, ma soprattutto deve dimostrare che il contrasto dell’evasione fiscale, previsto nel decreto Salva Italia, è un capitolo vero della politica economica: una risorsa per la ripresa, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.
Dottor Befera, in quanto tempo l’Italia potrà domare l’evasione?
«Ridurre a livelli europei un’evasione pari a 120 miliardi l’anno non sarà l’opera di un giorno. Non faccio previsioni, ma dico che oggi abbiamo finalmente tutti gli strumenti per operare: l’accesso all’informazione completa sui movimenti finanziari, il redditometro, i limiti nell’uso del contante che consentono la tracciabilità delle operazioni ovvero la notifica, da parte delle banche, delle violazioni di questi limiti».
In Italia è finito il segreto bancario?
«Sì. Finora, all’anagrafe tributaria erano noti i numeri dei conti correnti di tutte le banche. Nel corso di un accertamento, l’Agenzia poteva accedere all’anagrafe tributaria e chiedere notizie alle banche. Adesso, il sistema informatico dell’Agenzia registra tutte le transazioni su conti correnti, fondi, gestioni patrimoniali, polizze assicurative…».
Una massa sterminata di dati.
«Ma oggi l’informatica fa miracoli. E così l’Agenzia può usare questa enorme banca dati per selezionare persone e gruppi di persone meritevoli di controlli. Se emerge che il signor Rossi ha un milione di euro in gestione patrimoniale e dichiara un imponibile annuo di 10 mila euro o se sproporzioni del genere si ripetono all’interno della medesima categoria professionale…».
Già, come nota il «Sole 24 Ore», il 42% delle barche di lusso (42 mila natanti) appartiene a contribuenti con meno di 20 mila euro di imponibile annuo.
«Appunto, si verifica. Nessuno è crocefisso in partenza, ma perché non voler spiegare l’apparente incongruenza?».
È illiberale la fine del segreto bancario?
«Intanto, il segreto bancario non è mai stato assoluto. La magistratura ha sempre potuto accedere alle informazioni, specialmente nel contrasto al riciclaggio. Lo stesso vale per l’Agenzia a fini di accertamenti su soggetti precisi. Ora, grazie a un’apertura introdotta nella manovra di luglio (da Giulio Tremonti, ndr) e consolidata nel decreto ora all’esame del Parlamento, l’Agenzia supera il segreto bancario in via preliminare. È certo una misura assai forte».
Esistono precedenti all’estero?
«In molti Paesi occidentali il segreto bancario è attenuato. E però nessun altro Paese, a parte la Grecia, ha il nostro livello di evasione. Il tasso di liberalismo si confronta con l’osservanza della legge. Questo è il Paese dove molte imprese, specialmente nell’edilizia, non pagano imposte e contributi, vengono fatte fallire dal proprietario che riemerge poi con nuova ragione sociale e ricomincia. La legge dice che, trascorso un anno dalla cancellazione, non si può più agire, ma ora abbiamo un accordo con le Camere di commercio per essere avvisati delle cancellazioni in tempo reale. Accordo esteso alle Procure».
C’è polemica sul prelievo dell’1,5% sui capitali scudati. Lo Stato verrebbe meno alla parola data. L’Agenzia farebbe fatica a recuperare gettito su risorse che, nel frattempo, possono aver avuto altre destinazioni.
«Sul merito costituzionale non mi pronuncio. Non ne ho la competenza. Sul piano operativo, non sono pessimista. L’intermediario che aveva regolarizzato i capitali costituiti all’estero conosce il cliente. Può risalire e versare a suo nome il tributo conservando l’anonimato ovvero segnalare la difficoltà all’Agenzia che provvede a capirne di più».
Sicché, quando pure la norma fosse dichiarata incostituzionale, l’identità del recalcitrante sarebbe ormai nota all’Agenzia.
«Se la pronuncia ritarda…».
Dei 10 miliardi recuperati quest’anno, quanti vengono dalle grandi imprese?
«Un quarto viene da soggetti debitori oltre il mezzo milione».
Ma avete abbastanza personale per gli accertamenti e le riscossioni?
«L’Agenzia ha ridotto gli organici da 37 a 32 mila. Ogni anno vanno in pensione 1.000-1.200 dipendenti. Finora ne abbiamo assunti 7-800. Non chiedo di più, ma mi auguro che il governo confermi la deroga al blocco del turn over».
Com’è ripartita l’evasione nel Paese?
«Le maggiori quantità di imposte sono evase al Nord, mentre al Sud e nelle isole è più alto il numero di chi non osserva il dovere fiscale, sia per sopravvivenza sia per l’origine criminale del denaro. Il Centro sta a metà strada, senza l’effetto criminalità».
Dovreste concentrare le risorse al Nord.
«Ci stiamo provando. I ranghi dell’Agenzia tendono a concentrarsi al Sud perché il personale è di prevalente origine meridionale e, anche se assunto al Nord, dopo qualche tempo chiede di avvicinarsi a casa. Anche per questo assumiamo quasi solo al Nord».
Il Nord. Così vicino alla Svizzera. Germania e Regno Unito hanno stipulato un accordo con le banche svizzere per la tassazione dei capitali dei loro evasori in cambio della prosecuzione dell’anonimato. E l’Italia?
«Credo che nessun altro Paese seguirà questi due esempi, perché contrastano con gli indirizzi dell’Ocse a favore dello scambio di informazioni tra le autorità fiscali».
Beh, l’Italia ha fatto tre scudi a tassi minimi. Londra e Berlino si prendono un’una tantum per regolarizzare il passato tra il 19 e il 34% e poi le imposte sui rendimenti.
«Non sarei troppo ottimista. I capitali si spostano. Le banche svizzere sono capacissime di girarli a Panama, per dire, continuando a gestirli da Zurigo».
Che stime si fanno per l’Italia?
«Un flusso annuale di 700-800 milioni e un’una tantum di 10 miliardi. A parte l’Ocse, non mi pare che il gioco valga la candela».
La City propone alle banche e alle grandi imprese italiane soluzioni per evadere il Fisco. Vedi il processo a Unicredit che ha utilizzato il sistema Brontos ideato dalla Barclays. Quanti Brontos girano per l’Italia?
«L’Agenzia ha già raggiunto accordi per il recupero fiscale con Unicredit, Mps, Credem, Bpm e sta per stipulare con Intesa Sanpaolo. Dieci-dodici posizioni che ci hanno fatto recuperare un miliardo».
È accettabile che una banca estera spacci simile merce?
«Non lo è. Ma è ancor meno accettabile che ci sia chi la compra e poi, dopo aver riconosciuto l’errore e pagato quello che aveva cercato di non pagare, tira avanti senza nulla imputare a chi quell’errore aveva fatto e autorizzato».

Il Corriere della Sera 11.12.11