attualità, economia, politica italiana

"Adesso la manovra è più equa", di Stefano Lepri

La manovra diventa più equa, e se ne eliminano alcuni errori. Conservando la normale scala mobile a una maggioranza dei pensionati almeno per il 2012, e con altri ritocchi, gli interventi sulla previdenza somigliano di più al disegno riformatore che il ministro Elsa Fornero ha in mente, e meno alle astratte ricerche di equilibri dei tecnici del Tesoro. Anche il peso delle nuove tasse sulla casa viene ridotto per chi ha meno. Eppure, chi aveva deciso di schierarsi contro resta, per il momento, ancora contro.

Colpisce nel Paese, almeno a giudicare dai sondaggi, il contrasto fra gli elevati consensi di cui gode il governo Monti e il diffuso rigetto della sua manovra di austerità. Non sembra esistere nessuna forza capace di convincere i cittadini che quello che gli viene richiesto è uno sforzo solidale.

Troppi, se colpiti, restano convinti che al contrario qualcun altro ci guadagna, si tratti di banchieri, caste, privilegiati vari, o chissà chi.

Si potrà discutere a lungo se questa diseducazione alla solidarietà sia colpa di chi ha governato fino al mese scorso o se piuttosto una caduta dello spirito civico fosse causa preesistente, non conseguenza degli eventi della politica. Sta di fatto che sia chi appoggiava Silvio Berlusconi, sia chi lo combatteva, si trova in difficoltà a spiegare che è il momento di stringere la cinghia, nell’interesse futuro di tutti. Mentre i due maggiori partiti appoggiano la manovra, due tra i più potenti dei rispettivi strumenti di consenso, la Cgil per il Pd, giornali e tv berlusconiani per il Pdl, continuano a remare contro.

Le modifiche presentate dal governo ieri sono utili a togliere alcuni alibi. Bloccare la scala mobile delle pensioni è un modo estremamente rozzo, e più pesante per chi ha meno, di intervenire su un problema che purtroppo esiste: molti tra coloro che sono in pensione oggi ricevono di più dei contributi che hanno pagato. Bene che venga corretto. Sarebbe stato meglio un intervento mirato sui trattamenti di anzianità recenti, specie i più alti. Il prelievo a carico delle pensioni oltre i 200.000 euro è comunque un segnale di equità, di richiamo alla solidarietà da parte dei privilegiati, pur se darà poco. Il più pronunciato aumento dei contributi a carico dei lavoratori autonomi, necessario a una maggiore solidità delle loro gestioni previdenziali, era stato sollecitato proprio dalla Cgil.

La nuova imposta sulla prima casa era già congegnata in modo da gravare meno su chi meno possiede; i ritocchi migliorano questa caratteristica. L’inedita detrazione aggiuntiva per i figli residenti potrà essere vantata come successo dai cattolici del Terzo Polo. Forse sarebbe equo anche reinserire le rendite catastali nella base imponibile Irpef, altro strumento per far pagare di più a chi più ha. E certo è un segnale importante aver aggravato la tassazione a carico dei capitali «scudati» (sperando di riuscire a rintracciarli tutti: una difficoltà di applicazione esiste). E’ bene ricordare a questo proposito che oltre la metà delle somme regolarizzate non è veramente rientrata in patria; la Banca d’Italia fu insultata per averlo rivelato.

In Parlamento nei giorni scorsi, dato che per «non toccare i saldi» ossia le grandi cifre, non si poteva dare ascolto alle proteste dei molti, il tempo era stato invece dedicato ad accogliere le proteste dei pochi. Si era data via libera a più di un tentativo di ritardare o circoscrivere le liberalizzazioni. Fortunatamente su questo sembra che il governo non abbia ceduto. Ma ancora molte cose erano in movimento, ieri sera, e potevano ancora essere cambiate nei maneggi notturni.

La Stampa 14.12.11

******

“IL PRESIDENTE E LA LINEA DEL PIAVE”, di ALESSANDRO DE NICOLA

D´accordo, al governo Monti non c´è alternativa. Ciò non vuol dire che ci si debba rassegnare ad accettare l´annacquamento dell´impostazione originale per il quale è nato. vale a dire il risanamento dei conti pubblici e la liberalizzazione del sistema economico secondo l´impostazione della famosa lettera della Bce.
Il risanamento dei conti sembra (provvisoriamente) raggiunto quantomeno nei saldi, anche se, come è stato più volte notato, la manovra si basa troppo su nuove tasse e troppo poco sul taglio della spesa pubblica. Anzi, persino gli emendamenti in discussione rendono più lievi le riduzioni di spese ripristinando l´indicizzazione delle pensioni e attenuando i disincentivi al pensionamento anticipato, cercando di reperire risorse con improbabili stangate sulle pensioni d´oro o sui capitali scudati: l´impopolarità dei tartassati non giustifica l´ulteriore aumento dell´imposizione fiscale. Speriamo di sbagliarci e che il governo trovi altrove le risorse per proteggere i pensionati più deboli.
Sul fronte della crescita la brutta sorpresa consiste nel rinvio delle misure di liberalizzazione presenti nella prima stesura del decreto.
Peraltro, già alcune delle sue norme non sembrano particolarmente ben meditate. Ad esempio, riguardo le professioni intellettuali, si abbassa giustamente il periodo massimo di tirocinio necessario per sostenere l´esame (da 3 anni a diciotto mesi) e poi si introduce una strana disposizione. La legge di stabilità approvata dal defunto esecutivo Berlusconi prevede infatti che entro il 13 agosto del 2012 si debbano approvare tramite decreto i regolamenti attuativi dei principi liberalizzatori (società di capitali, abolizione delle tariffe minime e massime, ammissione della pubblicità) ivi contenuti. Il decreto del 6 dicembre introduce una sorta di ghigliottina: se entro la data prevista i regolamenti non saranno entrati in vigore verranno abrogate le «norme vigenti sugli ordinamenti professionali». Cosa voglia dire questo, nessuno lo sa. Forse che vengono aboliti tutti gli ordini e gli albi professionali, lasciando la regolamentazione delle professioni alle sole norme del codice civile? Nemmeno il più mercatista dei critici dell´attuale ordinamento si è mai spinto a chiedere tanto, non per timidezza, figurarsi, ma perché bisogna evitare il caos normativo che si verrebbe certamente a creare. E allora, quando la sanzione è esagerata o assurda, come chiunque abbia letto il saggio del premio Nobel Gary Becker Crime and punishment ben sa, è improbabile se non impossibile che venga applicata e quindi è come se non ci fosse! In altre parole, se i giochi di interdizione delle lobby freneranno l´emanazione del decreto, il 13 agosto non succederà niente e verrà emanata una leggina per rinviare il tutto, tirando a campare fino alle elezioni. Su questo punto le cose sembrano rimanere ferme com´erano, peccato.
Sulle liberalizzazioni delle attività economiche il decreto Monti era certamente migliorativo rispetto alla precedente legge di stabilità che consentiva fin troppe eccezioni alle regole. La disposizione del 6 dicembre invece estende la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali togliendo ogni precedente restrizione e stabilisce il fondamentale principio per il quale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali non è soggetta a contingentamenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura (esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell´ambiente e dei beni culturali) richiedendo alle regioni, in virtù delle loro competenze, di adeguare la propria legislazione a tale principio. Ben fatto, meglio essere chiari su questi argomenti. Peccato però, che in puro stile Prima e Seconda Repubblica, sia passato in commissione un emendamento che rinvia la liberalizzazione al 31 dicembre 2012. Non solo, si inserisce (da parte del governo!) un codicillo per cui i tassisti sono esentati dalla concorrenza di eventuali forestieri. I proponenti dell´emendamento hanno fornito sofisticate analisi econometriche per dimostrare che il benessere complessivo avrà un qualche vantaggio da questa misura? Non risulta. Risulta invece il tintinnar di sciabole delle corporazioni che si sentono minacciate da una misura che porterebbe benefici evidenti ai consumatori e all´economia.
Ora, il professor Monti può legittimamente affermare che essendo il Paese sull´orlo del baratro ed avendo poco tempo a disposizione, ha dovuto adottare misure che avrebbe altrimenti evitato o che non sono nei manuali di politica economica.
Ma sulle liberalizzazioni, no. Esse sono la sua cifra di uomo pubblico fin da quando diventò commissario europeo al mercato interno nel 1994. E in un governo in cui il sottosegretario alla presidenza del consiglio è l´ex presidente dell´Antitrust ed un ministro è un ex giudice europeo e collaboratore di Monti, non ci possono essere cedimenti. Il premier ha già detto che non arretrerà e vogliamo credergli. Questa è la sua Linea del Piave: se cederà alle armate nemiche (e con la fiducia egli può ottenere una facile vittoria), la sconfitta non sarà solo sua ma di tutta quell´Italia moderna, liberale, civile (si può dire?) che egli dovrebbe rappresentare.

La Repubblica 14.12.11