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"Con la crisi tornano i veleni peggiori", di Gianni Riotta

Esiste un nesso tra la crisi del debito europeo, l’impotenza dei summit malinconici e la strage dei due senegalesi a Firenze, Samb Modou e Diop Mor, con il killer Gianluca Casseri? No a prima vista, un continente opulento e la sua leadership che non sanno ripartire dopo mezzo secolo di successi e un estremista neofascista, razzista, armato. Se però guardate a fondo, oltre i grafici eleganti degli economisti e i volantini rancorosi di Casa Pound cari all’assassino, vedrete come i veleni peggiori della nostra storia stiano tornando in superficie, rimossi dal fondo delle coscienze dall’aria di recessione.

Quando è tornato a Londra, dopo l’avventato divorzio con l’Europa, il premier inglese David Cameron è stato sì criticato dagli analisti della City che, a parole, diceva di voler difendere, ma i deputati conservatori a Westminster lo hanno osannato al grido di «Bulldog Spirit!», anima da bulldog sacra a Churchill. E se la reazione vi sembra un rituffo di sciovinismo inglese, tanfo provinciale dei Club da ufficiali in pensione irrisi da George Orwell in «Giorni in Birmania», leggete invece sul più nuovo dei media, Twitter, la reazione di una firma di punta del leggendario magazine Rolling Stone, “L’Europa contro Cameron? Ecchisenefrega!”.

In pochi mesi di dibattito sull’euro abbiamo visto i più squallidi cliché riemergere dall’album dei ricordi cattivi che credevamo chiuso per sempre. In Grecia si sono chiesti i «danni di guerra per l’occupazione tedesca della seconda guerra mondiale» in riparazione del debito di Atene. I giornali tedeschi, Bild Zeitung in testa, hanno descritto i greci come infingardi e noi italiani come orgiastici spendaccioni. In contraccambio alle critiche degli economisti di Berlino sui nostri conti, i siti italiani registrano commenti anonimi «Tedeschi=SS». L’uscita di Cameron ci rimanda online «alla perfida Albione», al «popolo dai cinque pasti» che Mussolini faceva caricaturare dal giornalista Mario Appelius: quei toni li trovate nella Storia del giornalismo italiano, dal 1901 al 1939, che Franco Contorbia ha raccolto per i Meridiani Mondadori, odio, livore, razzismo, disprezzo per gli altri, intolleranza, il dna profondo che riemerge in tempi di crisi, come ieri a Firenze.

Nel 2003, alla vigilia della guerra in Iraq, Stati Uniti ed Europa, gli alleati che solo 15 anni prima avevano vinto, senza sparare una cartuccia, la Guerra Fredda, si divisero insultandosi con rabbia inaspettata, vetri dei McDonald’s infranti in Francia, bottiglie di vino francese svuotate nelle fogne in America, il menù della Camera dei deputati Usa che eliminava i piatti parigini, il ministro degli Esteri francese de Villepin che invocava «la violetta», fiore sacro a Napoleone. Ricordate? Americani da Marte, europei da Venere, sciocchezze che guastarono un clima, rilevarono un disagio e segnarono una distanza che non s’è colmata. Nella primavera del 2003, il Congresso Usa invitò quattro testimoni europei a un’audizione parlamentare per colmare il gap tra Washington e Bruxelles. Con me parlò Radek Sikorski, che oggi è ministro degli Esteri in Polonia. Provammo a dire che, nel difficile clima economico di inizio secolo, scherzare con il fuoco del populismo, del nazionalismo, è pericoloso. E oggi seri analisti europei, Gideon Rachman, Martin Wolf e il premio Nobel americano Paul Krugman, dichiarano di vedere nell’odio crescente online, e nella recessione che le mancate scelte della cancelliera Merkel e del presidente Sarkozy stanno innescando, l’incubatore di una stagione tragica come gli anni Trenta in Europa, con il totalitarismo fascista in Italia, Spagna e Germania e lo stalinismo delle purghe a Mosca. Krugman scrive «La recessione… sta creando un’immensa rabbia… contro quella che sembra a tanti europei solo una dura punizione tedesca. Chiunque conosca la storia d’Europa non può che rabbrividire davanti a questo ritorno di ostilità». Il premio Nobel scriveva prima della strage di Firenze, ma già citava i neonazisti vicini al Partito della Libertà in Austria, la xenofobia dei Veri Finlandesi a Helsinki, il gruppo antirom e antisemita Jobik e le tentazioni autoritarie del governo guidato dal partito Fidesz in Ungheria. Noi potremmo aggiungere i neofascisti in Inghilterra e Francia e le nostre voci razziste, fino al sangue della civilissima Firenze, la capitale della cultura europea da mezzo millennio.

Esagera Krugman? Spero di sì. E anche dalla sua parte dell’Oceano la violenza populista anima i talk-show della radio, sul web e si infiltra nel dibattito repubblicano delle primarie, anche contro il presidente Obama. La legge antiemigranti in Arizona viola, con le sue perquisizioni abusive, se non la lettera certo lo spirito della Costituzione americana.

E da noi? Le reazioni online alla bomba che ha mutilato un innocente funzionario di Equitalia spaventano. Su Twitter ho parlato di «anonimi vili», e parecchi gradassi si sono fatti sotto rivendicando la «giustizia sociale» dell’attentato con nome, cognome e mail. Altrettanto può succedere con lo sciagurato attacco di Firenze e anche col rogo dei rom di Torino. Io non credo, al contrario dei colleghi anglosassoni e di Krugman, che gli anni Trenta si ripeteranno e vedremo di nuovo camicie nere in strada, la Storia non procede in modo meccanico, il Male ha fantasia e capacità di metamorfosi. Credo però che, nei duri tempi economici che ci aspettano, prendersela con gli ultimi, invocare la propria identità nascosta, accusare gli europei a Londra e gli inglesi in Europa, prendersela sempre con gli «Altri» in difesa di «Noi», sarà male diffuso. I leader politici che cercassero di sfruttare questa epidemia per un voto in più, i giornalisti che spargono odio e populismo per una copia o un click in più, preparano una bevanda da streghe che può fare molto male. Non è il temuto ritorno di un passato autoritario che deve spingerci a difendere benessere, crescita, dialogo e tolleranza. E’ la paura dei demoni futuri che l’intolleranza evoca: non vestono in orbace, ma dalla strage degli studenti a Oslo a quella dei senegalesi a Firenze, mostrano già il loro volto orrendo.

La Stampa 14.12.11