attualità, cultura

"Quelle parole che fomentano la paura", di Gianni Biondillo

Non chiedetemi di entrare nella mente dell’assassino. Ci penseranno i criminologi di grido a sbizzarrirsi negli show televisivi. Parleranno di follia, di impulso criminale, analizzeranno la triste storia personale del sicario suicida. Qualcuno spruzzerà di sociologismo il tutto: la crisi, l’incertezza del futuro, la paura del diverso. Altri si dissoceranno dalle sue frequentazioni neonaziste: non basta essere simpatizzanti di Casa Pound per trasformarsi in un delirante giustiziere della notte.
Giustificazioni buone per tutte le stagioni. La televisione nazionale, che ha colonizzato il nostro immaginario di questi ultimi decenni, richiede spiegazioni semplici, facili da applicare nel mondo reale. Tipo quelle dei bravi cittadini torinesi che hanno trovato ovvio organizzare un pogrom in un campo rom alla notizia (falsa) di uno stupro ai danni di una minorenne. Le nostre donne le difendiamo noi. «Nostre», come se ci appartenessero. Che poi lo stupro fosse una menzogna della ragazzina per difendersi da due genitori oppressivi cambia poco.
Non era vero, è stato detto, ma non ne possiamo più dei nomadi. Curioso sillogismo. Cioè: non è che siamo razzisti, è loro che sono zingari! In pratica: non siamo interessati alla responsabilità personale, sono cose da democrazia matura. A noi interessa avere un capro espiatorio, là quando occorre.
Io, insomma, di Gianluca Casseri non so nulla. E nulla sanno neppure i fascisti della rete che già lo esaltano ad eroe nazionale. Prevedo un’impennata delle vendite delle 357 magnum, il revolver che ha stroncato la vita dei due ambulanti senegalesi.
Della tragedia di Firenze sono le parole usate per raccontarla che mi interessano. Le parole, in fondo, sono il mio mestiere. Le notizie lette sul web in tempo reale, parlavano di un «folle» che aveva sparato e ucciso due «vu’ cumprà». «Folle»… C’è molto poco di folle nel selezionare chi uccidere e chi no. Basta un semplice manuale di criminologia forense per saperlo: lo squilibrato spara a casaccio, nella folla, indistintamente. Qui Casseri ha scelto su base etnica le sue vittime. Sapeva esattamente cosa voleva dire al mondo.
E poi «vu cumprà», così, come si diceva, con quel malcelato razzismo, oltre vent’anni fa quando arrivarono i primi immigrati dall’Africa. Quasi non fossero passati questi anni, quasi fossimo ancora una «innocente» nazione di emigranti che andava trasformandosi in una di (colpevoli) immigrati. Scrivere di un folle che uccide due vu cumprà è già, intimamente, un modo di giustificarlo. Cosa avrebbero scritto i solerti giornalisti patri se un senegalese avesse sparato a due fiorentini? E quale fiaccolata capitanata dal solito politico indignato si sarebbe organizzata per dichiarare la propria insofferenza di fronte a questi stranieri che vengono qui ci rubano il lavoro, sporcano le nostre città e certo non siamo razzisti, ma, si sa stuprano le «nostre» donne?
Nominare le cose significa darle un senso. Quando diciamo, ad esempio, che l’Italia sta cambiando quasi che questo mutamento possa ancora trovare un’inversione di rotta ci raccontiamo la più patetica delle bugie. Perché non vogliamo ammettere che l’Italia è già cambiata. Da una generazione ormai. Il paesaggio antropologico è radicalmente mutato, ne prendano atto i fascistelli in pectore che propugnano la difesa di una razza inesistente. Ma soprattutto ne prenda atto la più retriva delle politiche che abbiamo avuto, miope e securitaria, che al posto di gestire il cambiamento ha fomentato col suo linguaggio da bar l’incertezza e la paura. Questo è ciò che ora raccogliamo, dopo aver seminato vento per un quarto di secolo. Tempesta.

l’Unità 14.12.11

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E i fanatici di destra in Rete inneggiano al killer-camerata di Mariagrazia Gerina

Mentre Casapound cancella gli scritti del killer, sul sito estremista Stormfront va in scena «l’orgoglio bianco». Insulti agli «allogeni», conditi di antisemitismo. E tributi a Casseri: «Ha fatto ciò che dovremmo fare tutti». Mentre Casapound ripulisce il suo «ideodromo» online dagli inteventi del killer-militante e prende le distanze: «Era solo un simpatizzante, come centinaia di persone». Sul sito «Stormfront», con sapiente gioco delle parti, va in scena l’«orgoglio bianco».
«Gianluca Casseri è dei nostri», rivendica un frequentatore del forum. Lo scrive, però, dopo aver appreso dalla rete che si tratta di un militante di Casapound. L’utente che dà per primo la notizia si firma “costantino”. Ed è lo stesso che dà l’allarme: «I Negri» altri li chiamano gli «allogeni» «stanno di nuovo cercando di assediare Firenze. Stanno organizzando un corteo per sfasciare tutto. Loro hanno coscienza di razza. E noi?». «Noi», man mano che l’informazione che Gianluca Casseri sia uno di Casapound si arricchisce di conferme, e si aggiungono dettagli sulla sua produzione «intellettuale» tratti dalla «biblioteca revisionista», fanno fioccare tributi di «Rispetto e onore». Mentre altri inneggiano agli «incidenti» esplosi «in centro»: «È la guerra etnica come aveva previsto Freda».
INSULTI ANCHE ALL’UNITÀ
In un secondo momento, si fa strada tra i commenti la tesi del complotto. In due varianti: che non sia andata come scrivono i media. E che i media, soprattutto quelli di sinistra, «aspettavano proprio che qualcuno esaltasse il suo gesto». È a quel punto che qualcuno prova persino timidamente ad affiancare ai tributi che proseguono «al camera caduto», all’«intellettuale di valore morto», una condanna del suo «gesto». Ma trova poco seguito: «Onore a lui, che come pochi ha avuto il coraggio di fare ciò che dovremmo fare tutti in massa», scrive Glemselens. «È ora che qualcuno faccia pulizia di questa immondizia negra», gli fa eco “Longobard”: «Difendere la Razza Bianca è un nostro diritto».
«Lo dicono anche i negri… non era “un pazzo”… evidentemente sanno di dare fastidio», scrive “ComplottoGiudaico”, citando la cronaca del sito dell’Unità in cui i senegalesi ribadiscono che non di follia si è trattato ma di razzismo. «All’Unità non vedevano l’ora di poter uscire dalla catacombe della storia in cui sono stati cacciati», chiosa prontamente “costantino”, preoccupato della piega che potrebbe prendere la vicenda. «Ora chiederanno le case per i boveri senegalesi», pronostica, sputando un «lurido pezzo di m…» rivolto «all’assessore fiorentino» reo di aver fatto arrivare la sua solidarietà alla comunità senegalese. Mentre loro, a fronte della stampa «giudaica» e di quella di sinistra che sui siti attacca i loro commenti razzisti, rivendicano «libertà di espressione» contro la «società multirazziale».

L’Unità 14.12.11

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“Quel ragioniere dell’orrore”, di Marco Imarisio

Il ragioniere della razza pura e il giallo dell’hard disk sparito
Militante di CasaPound, aveva scritto saggi antisemiti
di Marco Imarisio. Tra il presepe dell’opera di Santa Maria del Fiore e l’imam che recita passi del Corano con la schiena attaccata al battistero del Duomo ci sono venti passi di distanza. «Allargare la distanza, separare razze e religioni, farle nemiche, solo così arriveremo al risanamento della civiltà, che è il nostro unico compito interno».
Gianluca Casseri ha lasciato dietro di sé cinque corpi sul selciato e una lunga serie di appunti privati che li annunciavano. Nell’appartamento fiorentino di via del Terzolle e nella palazzina di famiglia a Pistoia, tra cumuli di libri e biancheria sporca c’erano fogli sparsi, semplici post-it gialli riempiti da una grafia fitta che costituiscono il messaggio al mondo di un uomo che si era chiuso a esso, «alienato definitivamente dal cosmo ordinato che ci circonda». Ma la solitudine del pazzo spesso è il paravento utile a tutti per nascondere contiguità, vicinanze, consapevolezza. Sulla scrivania della casa fiorentina c’era lo schermo del computer, la sua tastiera, ma è sparito l’hard disk con la memoria, dettaglio non da poco rivelato dal Corriere Fiorentino che forse stride con la teoria della mela marcia e isolata.
C’è stato un tempo lontano in cui il bambino Gianluca si guadagnava la merenda recitando le terzine di Dante al panettiere di Cireglio, 500 anime sulle colline più alte di Pistoia, il luogo dove era nato. Sapeva la Divina Commedia a memoria e un giornale locale gli dedicò un articolo con l’ammirazione dovuta a un enfant prodige. Le promesse della gioventù non sempre si compiono, è una legge di vita e chissà quando Casseri ha cominciato la sua personale opera di alienazione che lo ha portato a pianificare un massacro in stile norvegese, nella tasca del suo K-way sporco di sangue è stata trovata una scatola con altri 24 proiettili. Aveva 14 anni quando la madre Fernanda lo sorprese a costruirsi una bomba nella sua cameretta. Ne parlò con il maresciallo della stazione locale, che le disse di tenere d’occhio quel ragazzo strano, che non parlava con nessuno ed era perso nel culto dello scrittore H. P. Lovecraft, di Tolkien e della mitologia celtica.
I muri di casa erano il perimetro del suo mondo, quando nell’estate del 2010 lasciò Cireglio per trasferirsi a Firenze non se ne accorse nessuno. Negli anni Casseri era passato dal Signore degli anelli a una elaborazione teorica che metteva insieme l’ufologia, era una presenza fissa ai congressi sugli oggetti volanti non identificati, l’esoterismo con lo studio delle rune, l’alfabeto magico dei vichinghi e soprattutto una personale cosmogonia di estrema destra. Malato grave di diabete, perennemente in lotta con la depressione, vagheggiava di se stesso come del «ribelle» di Ernst Junger, il filosofo tedesco accusato di simpatie per il nazismo. Inseguiva un vitalismo esasperato e intanto macerava la sua teoria sulla purezza della razza mescolando razzismo e antisionismo in dosi uguali. Si esibiva nella negazione dell’Olocausto, definito «una fola costruita ad arte per i poveri di spirito» e rilanciava la teoria antisemita della grande cospirazione mondiale ebraica. Nel 2008 aveva scritto insieme a Enrico Rulli La chiave del caos, un romanzo che condensava la sua passione per l’esoterismo. In calce la dedica ai maestri, «buoni o cattivi che siano», e una citazione dell’amato Junger: «Proiettili e libri hanno il loro destino».
Il solitario Casseri, che a Cireglio era ancora il «tontolone con lampi di genio», così lo ricordano nell’unico bar. «Qui nessuno lo ha mai visto con una donna, andare alla partita di calcio, fare la spesa, entrare in un bar». Eppure tutti sanno che ogni settimana andava a esercitarsi al poligono di Pescia, con la sua 357 Magnum regolarmente denunciata, la stessa con la quale ha sparato ieri. E raccontano con tono divertito del fallimento della sua unica impresa nel mondo di tutti, l’apertura di uno studio da ragioniere commercialista all’Abetone durata pochi mesi e costata molto ai parenti per chiudere la bocca ai debitori. La sua famiglia è benestante, lo zio Piero è un noto costruttore edile, l’affitto dei molti appartamenti ereditati dal padre Renzo bastava per tirare avanti, a lui e al fratello Giancarlo, ferroviere in pensione.
Ma nessuno può restare solo per sempre, attaccato a un computer e alla sua comunità virtuale, nessuno può vivere da isola, anche se adesso sono tanti quelli a cui farebbe comodo ricordare Casseri come un cane sciolto senza legami. Nella vita vera i suoi amici erano i ragazzi di CasaPound, i «fascisti del nuovo millennio», camerati per affinità elettiva che adesso cancellano i suoi scritti dal blog Ideodromo, una sorta di vetrina ideologica del gruppo, e rinnegano il suo nome, Casseri non ci risulta, non sappiamo chi è, quereliamo se lo accostate a noi. Almeno Lorenzo Berti, segretario di CasaPound Pistoia, ha l’onestà di distinguere senza rinnegare. «Non era un iscritto — dice — ma lo possiamo definire un nostro militante». Lo chiamavano spesso per fare gruppo e lui non si negava. Sabato scorso era in piazza a raccogliere firme con Equitalia, nel 2010 era diventato ufficialmente «noto alle forze di polizia» per aver occupato con gli altri di CasaPound l’edificio destinato a diventare il nuovo carcere di Pescia. Passava ore in sede ad aspettare qualcuno per parlare di filosofia, delle sue teorie tese «alla riscoperta della spiritualità dell’uomo bianco», che poi prendevano corpo in tirate razziste sulla presunta invasione islamica, «l’orda impura», alla quale erano destinati quei 24 proiettili. «A voi non vi sparo» ha detto ai poliziotti che lo avevano circondato. E sono state le sue ultime parole.
L’assassino di Firenze era un solitario ma non uno sconosciuto. Le sue idee erano note e pubblicate e la corsa a cancellarlo come fosse un refuso, una bestemmia impronunciabile, ha qualcosa di inquietante. Forse nessuno vuole condividere una sconfitta. Perché ieri in piazza del Duomo quei venti passi di distanza tra due diverse religioni non sono diventati un solco, la rabbia si è mischiata alla solidarietà. Casseri il razzista ha ucciso, ma ha perso.

Il Corriere della Sera 14.12.11