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"Dall´assalto ai rom alla furia omicida l´Italia scopre la polveriera nera", di Carlo Bonini

La diaspora neo-nazista si è fatta “cultura egemone”, senso comune delle grandi cinture metropolitane. E in difesa dei militanti accusati di violenze si riaffacciano “vecchi maestri” come Franco Freda. Le mazze dei giustizieri nel campo Rom di Torino, il sangue senegalese innocente di Firenze, il culto osceno di “Militia” e il suo nazional-socialismo antisemita che dovrebbe farsi “avanguardia rivoluzionaria”. In quattro giorni, il vulcano di risentimento e odio sociale su cui è seduto il Paese torna a dare segni di sé. E interpella innanzitutto una “diaspora” neofascista e neo-nazista che, negli ultimi dieci anni, è stata “cultura egemone”, perché diventata “senso comune” nelle cinture urbane delle grandi aree metropolitane. «Purtroppo, temo che si sia arrivati oltre la soglia – dice Ugo Maria Tassinari, uno dei più acuti osservatori da sinistra della storia della destra in Italia dal dopo-guerra ad oggi – Perché nella radicalità della nostra crisi sociale ed economica, i codici di impazzimento dei singoli, come delle piccole comunità, si moltiplicano. Si rischia di non riuscire più a ricacciare il genio dalla lampada da cui è uscito». Un´urgenza di cui ora diventa in qualche modo indizio anche una voce a lungo silente come quella del neofascista Franco “Giorgio” Freda, imputato assolto in via definitiva per la strage di piazza Fontana. Ieri, con una lunga e-mail indirizzata anche a “Repubblica”, ha difeso “CasaPound”, da quello che definisce «un affronto grave», figlio della «menzogna antifascista». «In questa Napoli assoluta (intendo per l´immondizia a cielo aperto) che è il nostro Sistema – scrive – non è follia tentare ancora di nascondere il marcio che inquina l´aria, abbarbicarsi ancora sul fronte della Resistenza che fu?». Torino, Firenze, Roma riaprono un «album di famiglia» che, oggi, è rilegato in nero. Le “tribù” neofasciste d´Italia, la «fascisteria del Terzo Millennio» raccontano un pezzo del nostro presente, ma sono figlie legittime del nostro passato, da cui non hanno mai reciso le radici. Eccole.

La Repubblica 15.12.11

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Monaci dell´odio che coltivano l´eredità hitleriana

“MILITIA” è la storia di un´ossessione che si fa «progetto» di odio e «avanguardia rivoluzionaria». Un´ossessione figlia di chi “Militia” l´ha creata – Maurizio Boccacci – e del dna di una delle famiglie del neofascismo del dopoguerra. Quello di “Avanguardia Nazionale” e di uno dei suoi padri, Stefano Delle Chiaie. Boccacci la custodisce come un sacro Graal (tra le metà degli anni ‘80 e il 1993, prova a darle forma con il “Movimento Politico Occidentale”). Convinto che l´eredità nazionalsocialista, l´esperienza hitleriana, possano transitare nel XXI secolo e farsi «cuneo» tra i modelli sociali proposti dai regimi post-comunisti e dalle democrazie liberali di mercato. “Militia” ricorda una setta, prima che un´organizzazione. Per i numeri (i rapporti dell´Antiterrorismo la stimano inferiore ai 100 militanti attivi) e per il suo radicamento nel territorio (ha testa e gambe nella zona di Grottaferrata, in un fazzoletto di cintura extraurbana alle pendici dei Castelli romani), per i modi del suo leader, un monaco nero cui non interessa fare proselitismo, ma creare le condizioni per far detonare la rivolta. “Militia”, esattamente come nella tradizione di “Avanguardia Nazionale”, lavora sulla provocazione violenta, nelle parole, nei simboli, negli obiettivi dichiarati (la Comunità ebraica su tutti, ma anche i camerati che hanno “tradito” inginocchiandosi ad Auschwitz, come il sindaco Alemanno), perché quello è lo strumento «necessario» a gonfiare l´esasperazione e allargare le basi del conflitto. È un lavoro tetro di chi si percepisce “élite” su teste fragili, che ha buon gioco nell´assenza di memoria (o comunque nella sua interruzione), osceno nel richiamo alle teorie negazioniste, alla purezza della razza, all´antisemitismo, che “Militia” ripropone, aggiornando alla globalizzazione dei mercati del XXI secolo «il complotto demo-pluto-giudaico». Riproponendone gli stilemi e gli epiteti.

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Xenofobi e antisemiti i crociati di Fiore custodi dell´ortodossia

Custode di un´ortodossia nazionalsocialista clericale, razziale, xenofoba e antisemita, «Forza Nuova» è il suo padrone, Roberto Fiore. È l´esito del passaggio di secolo dell´esperienza di “Terza Posizione” (di cui Fiore fu tra i fondatori). Di un “ritorno” e di uno sdoganamento. Che porta la data del 25 marzo 1999, quando, dall´Inghilterra, dopo vent´anni di latitanza da “rifugiato politico”, Massimo Morsello (ex Nar) rientra in Italia (Fiore lo seguirà il mese successivo), accolto in aeroporto dagli allora deputati di Forza Italia e Alleanza Nazionale Francesco Storace, Enzo Fragalà, Carlo Taormina, Teodoro Bontempo. L´idea di allargare a destra di An un consenso che peschi a piene mani nel pozzo nero della “destra” italiana antiabortista, antisemita, revisionista, xenofoba, nazionalista, omofoba, trova Fiore disponibile. L´impensabile, diventa un pezzo del paesaggio politico italiano degli anni 2000. Nel 2001, “Forza Nuova” si presenta alle elezioni politiche (13 mila voti alla Camera, 39 mila al Senato). Tra il 2003 e il 2006 è nel cartello di “Alternativa Sociale” di Alessandra Mussolini e le nuove elezioni politiche misurano il suo radicamento (255 mila voti alla Camera, 214 mila al Senato). Che si dimezzerà, almeno numericamente, nelle politiche del 2008 e alle europee del 2009. Presente con sedi in tutta Italia, “Forza Nuova” si muove spesso in rotta di collisione con “CasaPound”, di cui insegue tuttavia l´agenda. Fiore lavora su uno stesso risentimento sociale, ma ha l´ambizione di trasformarlo in ideologia. In conflitto per la «purezza», per la «rigenerazione» che deve risvegliare il fantasma dell´uomo bianco. L´immigrato – è una delle ultime campagne di Forza Nuova – prima ancora che «concorrente» nel mercato della precarietà, è «portatore di rischio biologico». Quando “sputa” per strada o quando mette al mondo un figlio ammalato di tubercolosi.

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Librerie, radio, web così l´ideologia diventa fabbrica

Il tempo è stato generoso con CasaPound e il suo architetto, Gianluca Iannone (l´ottavo anniversario dell´occupazione dello stabile di via Napoleone III a Roma, prima sede dell´organizzazione, cade il 26 dicembre). Il contesto, la collateralità della giunta Alemanno (in estate, un Comune che piange miseria si è impegnato ad acquisire l´immobile occupato da CasaPound per 11,8 milioni di euro) hanno fatto il resto. I «fascisti del terzo millennio», la «fascisteria trendy» e trasversale del nostro presente sono loro. Di se stessi scrivono: «Costruiremo il mondo che vogliamo! La vita, così come ci è stata confezionata, la gettiamo volentieri nel cesso. L´uomo deve essere liberato. Il mercato uccide l´anima». Il «pragmatismo militante» delle “tartarughe” (il simbolo dell´organizzazione) si è fatto holding. 2 mila tesserati in tutta Italia, con sedi nel Lazio, Toscana, Umbria, Campania, Sicilia, Trentino, 15 librerie, 20 pub, 8 associazioni sportive, una web radio (“Bandiera Nera”) con 25 redazioni, un mensile (“L´Occidentale”) e un trimestrale (“Fare Quadrato”). Il «presidio del territorio», le occupazioni di immobili, le campagne e i “flash mob” contro “l´usura di Stato”, un´ambiguità furba sui temi dell´immigrazione, dell´antisemitismo, sono diventate fabbrica di linguaggio, musica, in un Pantheon che è una maionese impazzita di suggestioni del ‘900. Non tutte necessariamente figlie del “fascismo sociale”, certo tutte decontestualizzate per poter essere declinate nel presente. Arnesi da prendere a piacimento da uno scaffale. La presa su un´intera generazione (i nati dopo il ´94) è stata formidabile. Si è fatta, anche in questo caso, organizzazione (“Blocco Studentesco” ha superato le 11 mila preferenze nelle ultime elezioni studentesche provinciali a Roma e Manfredi Alemanno, figlio del sindaco, ne è uno dei leader) e presenza nelle curve degli stadi.

La Repubblica 15.12.11