attualità, cultura

"Il virus dell'odio etnico", di Adriano Prosperi

Non è solo a Bruxelles che l´Italia è sotto esame. Esiste un altro esame che riguarda il tasso di civiltà del paese. E chi ci esamina sono i 5 milioni di abitanti che non sono ancora giuridicamente italiani e che cominciano a desiderare di non diventarlo perché temono non sia possibile convivere con noi. I nodi sono venuti al pettine tutti insieme: e tutti insieme vanno affrontati. Con singolare coincidenza il tentato pogrom di massa di Torino e la sparatoria del ragioniere nazista di Pistoia rivelano una diffusione del virus razzista e dell´odio etnico in un´Italia senza attenuanti, l´Italia ricca, colta e civile delle due città che furono le capitali storiche dell´Italia risorgimentale: Torino e Firenze. Anche in questo caso il Paese è costretto a prendere brutalmente coscienza di qualcosa che è accaduto quasi sotto pelle, strisciando, riempiendo goccia a goccia gli interstizi sociali della convivenza, le maniere di pensare, i comportamenti, le pratiche istituzionali. Chi ricorda ancora il decreto Maroni sull´”emergenza nomadi” del 2008? Proprio in questi giorni, appena caduto il governo Berlusconi-Bossi, il Consiglio di Stato ha dato ragione alla sentenza del Tar di Roma che aveva bocciato il decreto e ha avviato lo smantellamento delle sovrastrutture amministrative create per quella minacciata, fantomatica emergenza. Ma chi smantellerà un pregiudizio che si è intanto radicato in profondità e si esprime nello stillicidio di una violenza quotidiana fatta di discriminazione a piccole dosi, per lo più impalpabile, diffusa nell´aria che si respira? Non basta la caduta del governo che ha lungamente e pervicacemente cavalcato il populismo e l´ostilità etnica come strumento di dominio sulle menti impaurite della sua base. È col suo lascito nella coscienza collettiva che si devono fare i conti. Si pensi a tutto il parlare di identità, l´odiosa parola che ha eretto un muro di differenza e di diffidenza verso tutto ciò che viene da fuori, che non coincide con le abitudini e coi pregiudizi dell´autosufficienza.
E quando si parla di mercatini delle città italiane come quelli di Piazza Dalmazia e di San Lorenzo, si dovrebbe provare a fare il conto delle misure vessatorie contro quei tappetini stesi sui marciapiedi, contro i borsoni dei venditori africani. Noi forse le abbiamo dimenticate. Ma loro no: è sulla pelle dei discriminati che l´odio e la sopraffazione lasciano il segno. Noi, gli italiani: loro, gli altri. Ecco la parola che fa problema: italiani. È venuto il momento di ridefinire questa parola. Il problema, come ha segnalato il presidente Napolitano, è quello della cittadinanza: che da noi ha un connotato sostanziale del razzismo, impermeabile com´è al dato di realtà del nascere, vivere e lavorare in un luogo. È una questione urgentissima. I segnali di questi giorni hanno portato allo scoperto il fondo melmoso e fetido dove si è iscritto il razzismo come vincolo sociale tipico della società dove vige l´eccezione giuridica.
Un anno fa il rapporto sul razzismo in Italia firmato da Alfredo Alietti e Dario Padovan ha denunciato la diffusione di tendenze razziste nel 51% della popolazione italiana: un numero che coincide con la percentuale di chi si ritrae dalla partecipazione politica. Non a caso. Nella società dell´eccezione giuridica la cultura del razzismo è un sentimento di rifiuto e di diffidenza verso tutto ciò che viene da fuori. È qui che bisogna incidere. E non bastano i buoni propositi. Certo è di buon auspicio il fatto che il ministro Andrea Riccardi abbia rilanciato l´invito giunto dal presidente della Repubblica proprio davanti alla tomba di Jerry Maslo, il sudafricano ucciso a Villa Literno. Ma, come e più che per altre urgenze italiane, quella culturale e giuridica del diritto di cittadinanza non può più essere rinviata. Ce lo diceva lo sguardo dei senegalesi riuniti a Firenze: quei morti loro devono diventare i nostri morti.

La Repubblica 15.12.11

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Blitz contro gli estremisti di “Militia”. Cinque arresti e perquisizioni a Roma “Preparavano la guerra rivoluzionaria”

Gli arrestati sono accusati fra l’altro di associazione per delinquere e di azioni contro la comunitàebraica romana e il suo presidente Pacifici, contro il sindaco di Roma Alemanno, Schifani, Fini, l’ex presidente Bush e cittadini rumeni. Volevano «porre le basi di una guerra rivoluzionaria, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Cinque arresti e una decina di perquisizioni da parte del Ros contro esponenti dell’organizzazione di estrema destra Militia. Sono accusati, tra l’altro, di associazione per delinquere e di azioni contro la comunità ebraica romana e il suo presidente Pacifici, contro la figura del sindaco di Roma Alemanno, di Schifani e Fini, G.Bush e cittadini rumeni.

L’operazione «Lama» dei carabinieri, che costituisce lo sviluppo di un’indagine precedente, è coordinata dal pool antiterrorismo della procura di Roma. Gli arresti e le perquisizioni, sia locali che personali, sono in corso dall’alba e riguardano persone inserite tutte nell’estremismo politico di destra. Ai militanti di ’Militià è stato contestato, oltre al reato di associazione per delinquere, anche la violazione della legge Mancino, la diffusione di idee fondate sull’odio razziale ed etnico, l’apologia del fascismo, il deturpamento di cose altrui, il procurato allarme e le minacce alle istituzioni e ai loro rappresentanti. Nel mirino sarebbero finiti, come detto, la comunità ebraica romana e il suo presidente Riccardo Pacifici, il sindaco Gianni Alemanno, i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, ma anche l’ex presidente Usa Bush e i cittadini rumeni. Soggetti contro cui gli arrestati avrebbero prospettato una serie di azioni violente.

Due degli arrestati in particolare, Schiavulli e Boccacci, avrebbero agito «con il proposito di ricorrere alla violenza e di impiegare ordigni esplosivi per colpire gli obiettivi (come Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana)», ma nessun attentato di questo genere è stato poi realizzato. Gli indagati sono tra l’altro accusati, a vario titolo, di aver diffuso «ideee fondate sull’odio razziale ed etnico», sia attraverso la rivista bimestrale ’Insurrezionè, sia «con striscioni, scritte murarie e manifesti, sia con riunioni e volantinaggio». Bersagli: i rumeni, la comunità ebraica (in particolare quella romana e Pacifici), rappresentanti delle istituzioni (Alemanno, Schifani, Fini e George Bush). Il reato di apologia del fascismo si sarebbe poi concretizzato, si legge nell’ordinanza, attraverso una serie di iniziative finalizzate ad «esaltare principi, fatti e metodi del fascismo»: ancora una volta attraverso la rivista e le scritte, ma anche utilizzando la «Palestra popolare Primo Carnera», a Roma, «per svolgere l’attività di proselitismo e di indottrinamento politico».

Una struttura, la palestra, «impiegata anche quale base logistica per effettuare le attività proprie dell’ ’Organizzazione politica di stampo Nazional-Rivoluzionariò, con finalità antidemocratiche proprie del disciolto partito fascista e antimperialiste, denominata ’Militià». Gli indagati, secondo l’accusa, si sarebbero dati da fare per costituire «una struttura politica più ampia», sempre proiettata a«esaltare la violenza quale metodo di lotta, per fini xenofobi e antidemocratici», cercando «ulteriori seguaci» (attraverso volantinaggio, «contatti in chat Skype e di persona») e «alleanze con altri gruppi, come ’Avanguardia Laziò», fino ad organizzare per il 22 maggio 2010, sempre nella ’Palestra popolarè, una ’Adunanza nazionalè «alla quale avevano aderito non
meno di 87 ’cameratì»: riunione poi saltata a causa di un altro intervento del Ros.
Otto delle persone coinvolte, poi, sono accusate di aver dato vita ad una vera e propria associazione per delinquere finalizzata a compiere una serie di «azioni delittuose»: dai reati già indicati di apologia del fascismo e diffusione di idee fondate sull’odio razziale ed etnico, al deturpamento di cose altrui, alla ricettazione. Tutti gli episodi si sarebbero verificati a Roma nell’arco di un triennio, dal settembre 2008 («momento nel quale Militia esordiva
nella capitale con una serie di azioni delittuose, xenofobe, antisemite, dirette contro rappresentanti delle Istituzioni e della comunità israelitica»), fino al settembre 2011.

La Stampa 15.12.11