scuola | formazione

""Servono giovani prof". Concorso per 300 mila", di Raffaello Masci

Aprire la scuola ai giovani, varare subito un maxi-concorso al quale potrebbero essere interessati 300 mila aspiranti professori. Il neo-ministro dell’istruzione Francesco Profumo ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha annunciato ciò che i suoi predecessori non si potevano neppure sognare: riaprire i concorsi nella scuola per fare spazio alle nuove generazioni di docenti, considerando che l’età media del personale insegnante è oggi di 47 anni. Dal 1999, infatti, i concorsi sono bloccati, le graduatorie piene, e le assunzioni fatte attraverso il mero riassorbimento di queste ultime. Lo slancio del neo ministro è stato generoso, ma i sindacati – pur apprezzando l’iniziativa – gli hanno ricordato che i tagli diventati legge (numero 133 del 2008, cioè la riforma Gelmini) e le graduatorie pregresse, non lasciano tante cattedre disponibili, tali da giustificare un concorso di grandi dimensioni. Quindi il ministro ci vada piano: questo il messaggio.

Francesco Profumo è stato profeta in patria, in quanto ha parlato nella sala consiliare della natia Savona, dove si era recato per premiare i quattro migliori allievi delle altrettante facoltà presenti nel Campus savonese (nella fattispecie 4 ragazze) e lì ha parlato di vari argomenti, tra cui l’opportunità di varare un piano per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. Tra le sue esternazioni, però, l’uditorio è stato colpito da questa grande novità sul concorso venturo: «Dobbiamo farlo al più presto – ha detto il ministro – Da 13 anni non ci sono più concorsi pubblici, e questo è senz’altro un tema su cui bisogna lavorare». Dei 25 mila posti che si liberano ogni anno per effetto del pensionamento – ha chiarito poi il ministero – la metà vengono coperti attingendo dalle graduatorie permanenti ad esaurimento e l’altra metà, ovvero 12.500, potrebbero essere messi a concorso.

Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil ha accolto l’annuncio come un regalo di Natale, ma – al tempo stesso – non si è potuto esimere dal ragionare sui numeri e sulla loro logica stringente: «è importante far ripartire i concorsi – ha detto – ma la questione vera è che bisognerebbe fare una ricognizione sui posti disponibili. Ho l’impressione che non ce ne siano né per i precari né per gli altri. Da un lato – spiega Pantaleo – il nuovo meccanismo sulle pensioni allontana le uscite dal lavoro, dall’altro ho l’impressione che i tagli previsti dalla legge 133 non siano stati realizzati ancora del tutto e dunque è forte il rischio che si proceda ancora a sforbiciare». Massimo Di Menna, il suo omologo della Uil, ha le stesse perplessità: «è del tutto evidente che per fare le cose bene occorre, sì fare presto ma non in solitudine: il governo ci ascolti prima di decidere».

La politica (Rocco Buttiglione per l’Udc, Antonio Rusconi per il Pd, ma anche altri) ha accolto l’annuncio come una ventata di aria nuova, ma le buone intenzioni potrebbero stridere con le esigenze numeriche. Salvo che per alcune materie (tecnicamente, «classi di insegnamento»): Francesca Puglisi responsabile scuola del pd, ha parlato da esperta della materia, per ricordare che «il concorso servirebbe semmai per le discipline scientifiche, dato che in ben 64 province le graduatorie sono in esaurimento ed entro tre anni non avremo più docenti di matematica, fisica e chimica da immettere nella scuola». Ma c’è un problema più generale: l’Italia non ha laureati in matematica, fisica e chimica in assoluto, né per la scuola né per altri settori. Potremmo invece esportare quelli in lettere, lingue e filosofia, il cui fabbisogno – secondo una stima recente – è coperto fino al 2035.

La Stampa 20.12.11

******

«Un salto rispetto al passato: apriamo le porte ai giovani» Intervista a Marco Rossi Doria

Da maestro di strada Marco Rossi Doria, se ripensa al “suo” ingresso nella scuola, ancora oggi non trattiene l’entusiasmo: «È un mestiere bello, anzi direi esaltante, io ho iniziato a farlo che avevo ventun’anni…». Da neo-sottosegretario all’Istruzione però quando parla di ridare ai giovani la possibilità di diventare insegnati, misura parole e numeri. Sa cosa vuol dire, dopo tredici anni, tornare ad annunciare un concorso.

Quando sarà bandito? «Attenzione:non siamo ancora a questo. Ma c’è uno studio intenso negli uffici del ministero per capire come applicare finalmente le normative esistenti. Metà dei docenti di cui la scuola avrà bisogno, come prevede la legge124 del 1999, saranno reclutati attraverso le graduatorie permanenti, l’altrà metà, come prevede la legge del 244 del 2007, attraverso concorso. Così è stabilito dalle norme che già esistono. Da una parte ci sono le esigenze di fatto e di diritto di chi è già inserito in graduatoria, dall’altra però occorre anche rispondere all’esigenza di fare entrare nuove persone giovani nell’insegnamento».

Di quanti posti stiamo parlando? «Certo non abbiamo trecentomila cattedre da ricoprire come hanno scritto alcuni giornali. Ci sono quelle che si libereranno man mano che la gente andrà in pensione, tenendo conto che con le nuove norme anche gli insegnanti andranno in pensione più lentamente. Io, per esempio, ci dovevo andare nel 2013 e ci andrò invece nel 2019. Comunque dei posti si libereranno e si faranno ripartire i concorsi perché metà di quelle cattedre saranno assegnate per concorso. Questa è l’ipotesi di studio».

Si può fare almeno una stima? «I numeri di quanti posti si libereranno nella scuola nei prossimi tre anni sono allo studio dei nostri tecnici. È un computo complesso. Dobbiamo recepire le nuove normative per la pensione, vedere quante sono le cattedre nelle diverse discipline e nei diversi segmenti del sistema scolastico. È un lavoro già in atto. Ma finché non sarà terminato non possiamo parlare di numeri. Tanto meno di 300mila cattedre a disposizione. Purtroppo saranno molte di meno».

Oggi il ministro parlava di 25mila l’anno. I sindacati temono che possano essere anche meno con le norme sulla pensione. «Il lavoro che stiamo facendo è proprio di controllare quel numero. Posso però dire che se fosse 25mila, 12.500 insegnanti sarebbero presi dalle graduatorie permanenti e l’altra metà da nuovi concorsi. La modalità di questi concorsi e la loro durata non sono ancora stati decisi. Certamente c’è un problema e questo governo ha deciso di affrontarlo.

Dopo 13 anni è un fatto epocale «È una grande notizia. La terza in pochi giorni. La prima è che non si parla più di tagli per la scuola, per ora. La seconda è che sono stati dati dei soldi, 974milioni per l’edilizia scolastica, per le infrastrutture informatiche e per la lotta alla dispersione. La terza è questa del concorso per gli insegnanti».

Quanti saranno gli aspiranti? «Su questo si sono cimentati in tanti. Io mi sottraggo. Che faccio vado in giro a chiedere ai giovani: vuoi fare l’insegnante? Lo troverei bizzarro ».

I sindacati dicono che si rischia di dare loro false speranze. «Io penso che il mondo della scuola che attende notizie dal ministero sia adulto: sa quante sono le complessità, come e quanto questo mondo è stato fermo e quanto ci vuole per rimetterlo in moto. Trattiamo tutti da adulti. Diciamo cosa vogliamo fare e in che direzione ci si sta muovendo. False illusioni questo governo non ne vuole dare».

C’è il rischio che sei posti a disposizioni non saranno molti si generi un conflitto? «Ripeto: abbiamo due esigenze da contemperare, salvaguardare le legittime aspettative di chi è precario e salvaguardare il principio che dei giovani e giovanissimi devono poter accedere a questo mestiere. Dobbiamo fare le due cose insieme. Molto spesso nella vita bisogna tenere insieme due principi e noi proveremo a farlo. L’esperienze e le nuove energie servono entrambe».

Quelli che ce la faranno in che scuola si troveranno a insegnare? «Si troveranno a insegnare in una scuola in trasformazione che ha nuove funzioni di guida rispetto ai giovani, dal momento che siamo dentro una crisi che è anche crisi di modelli educativi. Guidare i giovani all’apprendimento e a misurarsi con se stessi e con il mondo in generale è un mestiere esaltante».

Quando lei ha iniziato a insegnare si pensava che la scuola potesse cambiare i disequilibri sociali è ancora così? «Certo che si può ancora pensare perché in tutto il mondo e anche in Italia l’istruzione, lo dicono i dati di Bankitalia, continua ad essere il principale fattore di contrasto delle diseguaglianze. Se riesci a scuola hai più possibilità di migliorare rispetto alla condizione di vita dei tuoi genitori».

Anche in questo Paese? «Anche in questo Paese, anche in questo tempo».

L’Unità 20.12.11