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"Tre pilastri per ricostruire la scuola", di Gian Carlo Sacchi

La situazione che ci è stata consegnata dall’amministrazione Tremonti-Gelmini è di un sistema scolastico impoverito, dove anche qualche interessante innovazione viene svilita dai tagli di risorse e dalla loro rovinosa ricaduta sull’organizzazione del servizio, soprattutto perché i vari risparmi hanno indebolito i pilastri che reggevano la scuola italiana senza mutarne la strategia di governo.
È stato ridotto il personale a partire dagli ordinamenti nazionali quando sarebbe stato necessario confrontarsi con l’offerta formativa delle scuole e costituire gli “organici di istituto”, sono calate le classi applicando rigide modalità quantitative anziché riferirsi alle situazioni territoriali, dovranno essere accorpate le istituzioni scolastiche autonome, soprattutto del primo ciclo (istituti comprensivi), in assenza di motivazioni educative e sociali che vedano la scuola esercitare un ruolo nello sviluppo della comunità locale. Il tutto senza prevedere un’efficace azione di programmazione e di riorganizzazione della spesa.
Le prime tre cose che il nuovo ministro deve affrontare riguardano dunque i fondamentali se vogliamo ridare stabilità al sistema del quale poi valutarne anche la produttività.
Non è dunque prioritario ogni ulteriore intervento sugli ordinamenti, bensì prima di tutto va assicurata la governance all’intero sistema. L’applicazione del nuovo titolo quinto della Costituzione di cui è pronta da tempo una bozza di accordo statoregioni dovrebbe mettere finalmente fine alle interferenze nelle competenze programmatiche e gestionali; occorre concludere il lungo e travagliato iter dell’autonomia scolastica, assurta a dignità costituzionale, completando il decentramento delle attribuzioni e delle risorse umane e finanziarie dal ministero centrale ed aggiornare il decreto n. 275 del 1999 che deve regolamentare l’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo. La riforma degli organi collegiali interni agli istituti autonomi attende da troppo tempo. Potrebbe essere utile riprendere il disegno di legge di iniziativa parlamentare presente alla camera che ha già visto il consenso di diverse parti politiche.
La seconda gamma di interventi riguarda i finanziamenti: vanno riportate risorse finanziarie alla scuola, non più attraverso la cosiddetta finanza derivata dal centro alla periferia, bensì è necessario attivare la compartecipazione di regioni, enti locali e scuole alle entrate prevista dai recenti provvedimenti sul federalismo fiscale, togliendo i servizi educativi dai vincoli del “patto di stabilità”, nell’ottica del “multi governo”. Ogni livello territoriale deve poter intervenire finanziariamente per far fronte alle esigenze locali ed alla qualità dell’offerta formativa, secondo un sistema di concertazione e di sussidiarietà.
Una legge sui Livelli essenziali delle prestazioni potrebbe essere approvata anche in tempi brevi dal parlamento. Alle scuole stesse va riconosciuta pienamente l’autonomia finanziaria, sia sul piano della gestione che del reperimento delle risorse, attraverso la costituzione di reti, di “fondazioni”, nonché sul fronte degli sgravi fiscali per l’utenza e negli interventi per il diritto allo studio.
Infine la questione del personale: c’è bisogno in prima istanza di dare certezze e stabilità se si vuole arrivare ad apprezzarne ed a valorizzarne la produttività. Formazione iniziale più professionalizzante, e in servizio: non si diventa insegnanti una volta per sempre; sistemazione del precariato senza mortificare l’ingresso di giovani docenti; organici di istituto e permanenza per almeno un ciclo di studi nella stessa scuola, “dipendenza funzionale” dell’organico stesso dalle regioni, pur rimanendo lo status definito a livello nazionale. Sono questi i tre pilastri sui quali si può far compiere una svolta di autentica modernizzazione all’intero sistema, che non richiedono immediati e ingenti impegni di bilancio e per i quali sono già presenti numerosi provvedimenti: occorre un’azione appunto sistematica e la volontà politica di dare un taglio con il passato, aderendo alle direttive previste dalla modifica costituzionale.
Ad esempio l’occasione del monitoraggio delle “indicazioni nazionali” sul primo ciclo ed il completamento delle linee guida sull’istruzione tecnica e professionale potrebbero essere proiettate nell’ottica dell’autonomia, liberalizzando la gestione e spostando l’attenzione anziché sull’adempimento sul risultato, favorendo così un più stretto legame con il territorio anche per quanto riguarda l’organizzazione del personale.
I tempi sembrano maturi e questo potrebbe proprio essere il compito di un governo tecnico.

da Europa Quotidiano 27.12.11