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"Aviaria se la ricerca è top secret", di Pietro Greco

Infine Albert Osterhaus, biologo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, in Olanda, e Yoshihiro Kawaoka, il collega dell’University of Wisconsin di Madison, Stati Uniti, hanno ceduto a inedite pressioni provenienti da più parti e hanno accettato di autocensurarsi, pubblicando senza i «dati sensibili» i risultati delle ricerche sulle mutazioni da loro stessi indotte nel virus H5N1, l’agente della cosiddetta influenza aviaria.
Nei giorni scorsi The New York Times ha reso noto che i gruppi di ricerca che fanno capo a Osterhaus e Kawaoka sono riusciti a trasformare il virus H5N1 esistente in natura da altamente letale ma scarsamente contagioso, in un virus che – almeno nei mammiferi da laboratorio – conserva intatta la sua capacità letale ma che aumenta enormemente la sua capacità di contagio.
Gli epidemiologi temono che, se liberato nell’ambiente, il virus mutato potrebbe provocare una spaventosa pandemia, contagiando e uccidendo decine o forse centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. I servizi di sicurezza temono che se gruppi di terroristi ne entrano in possesso potrebbero trasformare il virus mutante H5N1 in un’arma di distruzione di massa.
È per questo che la National Science Advisory Board for Biosecurity, l’organismo consultivo che dal 2001 si occupa di biosicurezza per conto dei National Institutes of Health (Nih), ha chiesto agli autori della ricerca e alle notissime riviste scientifiche, Science e Nature, che stanno pubblicando i risultati delle ricerche di autocensurarsi. Evitando di pubblicare i dati più sensibili, ovvero «come si fa». Per non dare ai malintenzionati la possibilità di realizzare facilmente in casa questa nuova «atomica dei poveri». È la prima volta che un’istituzione scientifica degli Stati Uniti chiede agli scienziati di autocensurarsi. La richiesta è tanto più singolare perché le ricerche sono state realizzate proprio grazie ai fondi degli Nih.
La richiesta è stata accettata dagli autori. Anche se il direttore di Science chiede di trovare un modo di far arrivare ai gruppi di esperti più impegnati nello studio di H5N1, le informazioni essenziali senza le quali la comunità scientifica non può ripetere l’esperimento e valutarlo. Sul tavolo ci sono, in conflitto tra loro, due esigenze di enorme valore: da un lato la sicurezza, dall’altro la trasparenza che è parte fondante della scienza moderna. Decidere non è facile. E, infatti, i dubbi sono molti.
Molti si chiedono se la trasformazione del virus «letale ma non contagioso» nel virus «letale e contagioso» era davvero necessario nello studio dell’influenza aviaria. Altri si chiedono se la capacità di contagio non sia sopravvalutata e se la sopravvalutazione non sia in qualche modo interessata. Altri sostengono che nulla, neppure le esigenze di sicurezza, debbano metter in discussione la comunicazione trasparente di un’attività umana, la scienza moderna, che è nata, come scrive Paolo Rossi, abbattendo «il paradigma della segretezza».
Noi, più modestamente, chiediamoci: può funzionare? È l’autocensura il metodo più adatto per tenere chiuso in bottiglia lo spirito, dopo che lo si è creato?
Sebbene la situazione sia abbastanza inedita, c’è un precedente nella storia. Risale al gennaio 1939, quando negli Usa giunse notizia che Otto Hahn a Berlino aveva ottenuto la fissione dell’uranio. Enrico Fermi, appena fuggito dall’Italia, e Leo Szilard, un fisico ungherese di origine ebrea, fanno un po’ di conti e scoprono che la fissione dell’uranio genera neutroni che a loro volta possono innescare una reazione nucleare a catena capace di liberare in maniera esplosiva quantità inusitate di energia. Insomma, che è possibile costruire bombe di inedita potenza. Tutti pensano a cosa potrebbe fare Hitler con quella bomba. L’idea di Szilard, che ha una mente politica oltre che scientifica davvero fertile, è: autocensuriamoci, evitiamo di pubblicare studi sulla fissione dell’uranio che metterebbero gli scienziati tedeschi nella condizione di regalare «la bomba» a Hitler. E fu così. I fisici in America decisero di non pubblicarono nulla. Ma in Francia un fisico militante della sinistra, Frederic Joliot-Curie, si rifiutò: sosteneva che è impossibile ricacciare lo spirito nella bottiglia, una volta che ne è uscito. Andò come tutti sanno. Le notizie sulla fissione dell’uranio per alcuni mesi circolarono. Poi fu il silenzio, imposto dai militari. I tedeschi non riuscirono a costruire le bomba. Mentre in America in gran segreto … Il mondo se ne accorse sei anni dopo, sentendo l’eco di due esplosioni: una a Hiroshima, l’altra a Nagasaki.

L’Unità 26.12.11