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Bersani: “Un nuovo patto civile per la ricostruzione”

“E’molto più difficile superare il berlusconismo che far uscire dal governo Berlusconi e Bossi. Il PD non fa il verso al berlusconismo. Noi facciamo l’inverso perché siamo alternativi a quel sistema di valori senza se e senza ma”. Pier Luigi Bersani chiude gli Stati generali della Cultura.
“Sono ore pesanti, ore drammatiche perché entriamo in un mare in tempesta fatto da scelte molto difficili. Terremo il timone perché il paese ha bisogno di un forza come la nostra che sappia collegare ciò che è stato a ciò che sarà. Ne ha bisogno l’Italia e noi terremo i nervi saldi e trasmetteremo trasparenza, chiarezza”. Così il segretario Pier Luigi Bersani ha introdotto l’intervento di chiusura degli Stati generali della Cultura del Partito Democratico.

“Arriviamo ad un punto drammatico consapevoli che potevamo evitarlo. Per molto tempo abbiamo detto che la crisi c’era e che in questa crisi c’era un problema tutto italiano. Ci hanno risposto dicendo che la crisi era solo psicologica e che i conti pubblici erano a posto. Così Il Paese si è addormentato”.

“Certo non avremmo potuto evitare la crisi internazionale ma sicuramente avremmo potuto evitare di essere il Paese più esposto e quello più a rischio per l’Europa. Se siamo vicino al default, al fallimento è perché qualcuno ci ha portato fin qui. E non si azzardi la Lega ad accendere le polveri che lei stessa ha messo sotto i piedi del Paese. Abbiamo buona memoria”.
Siamo pronti ad affrontare la situazione e a dire come faremo noi, non pretendendo da questo nuovo governo il 100% di quello che vorremo. Ma ribadiamo che c’è bisogno di equità e consapevolezza. Abbiamo proposte molto precise, proposte ancora attualissime che se fossero state prese per tempo non ci avrebbero portato a questa situazione. Senza equilibrio non ci può essere crescita”.

“Il Paese deve essere messo in chiara posizione di conoscenza dei problemi: l’emergenza e la transizione e vanno affrontate con responsabilità. Il nostro orizzonte si chiama ricostruzione democratica e sociale del Paese. Ci sono tante cose da fare per ripartire e non bastano le sole risposte di transizione. Serve una legislatura di ricostruzione, questa è l’agenda politica a partire da una dozzina di riforme da fare che rappresentino il carburante per la riscossa civica. Questi sono gli orizzonti del Partito Democratico. Siamo un partito riformista e popolare, non pedagogico”.

“Lo avvertiamo tutti c’è siamo arrivati alla chiusura di una fase e che si sta aprendo una strada nuova dai contorni ancora incerti. Da chiudere non ci sono solo i sistemi economici che hanno portato alla crisi ma quel schema di valori che si è creato attorno alla crisi. Questo riguarda tutto l’occidente e non riusciamo ancora a razionalizzarlo. Quando avremmo una prospettiva più agevole per guardare ad un arco di tempo più lungo, ci accorgeremo che si sta chiudendo una fase 30ennale fatta da un universo economico e culturale che ha investito tutto il mondo. Un tempo segnato dal grande salto tecnologico che ha messo in moto alcuni processi come i meccanismi della finanza: l’esigenza di capitalizzare e innescare nel mondo le nuove tecnologie ha permesso alla finanza di porsi al di sopra di tutto. Si è consolidato un sistema di valori fittizi che ha creato disuguaglianze galoppanti e nuovi fenomeni di senso comune: ricchezza e individualismo, pane e opportunità. Il buono lo diceva il mercato in base a quello che la finanza riusciva a vendere. La tecnologia ha portato la credenza che l’informazione fosse conoscenza. Che la conoscenza fosse un’informazione messa dentro degli scaffali. E tutto questo fu favorito e ingigantito dall’effetto frullatore della globalizzazione”.

“Questo sistema di illusioni ha favorito il populismo ovunque. La crisi di rappresentanza ha avuto la sua semplificazione nelle politiche populiste della destra. L’Italia ha sperimentato tutto il populismo al governo. Berlusconi ha portato il modello della destra vincente con ripiegamento populista. Ora la vera domanda da porsi è: tutto questo è finito o no? Distinguiamo il berlusconismo, il sistema di comando venuto meno (soprattutto per come abbiamo lavorato noi del PD), dal sistema di movimento delle ondate culturali della società. Ancora adesso non possiamo dire di avere alle spalle il berlusconismo in tutte le sue forme. C’è ancora un consenso ideale e morale del berlusconismo e delle sue derive leghiste. Cambiare questo pensiero è molto più difficile di far uscire dal governo Berlusconi e Bossi. Il non rispetto delle regole, la furbizia, il maschilismo, il disprezzo per lo Stato e per la Cultura, il deperimento e involgarimento del linguaggio, la demonizzazione del diverso non sono del tutto superate. Tutto questo è stato gestito in maniera esplicita e in modo eroico: ci vuole un certo fisico nel dire davanti alla Guardia di Finanza che è lecito e giusto non pagare le tasse. Non è da tutti trattare gli insegnanti come nulla facenti, o prendere comunione pur essendo divorziato, o insultare la prima fila degli imprenditori”.

“Noi siamo alternativi a questi valori senza se e senza ma. Non facciamo il verso al berlusconismo. Facciamo l’inverso a cominciare dal tema più sfidante che è il modello di democrazia da costruire. Che tipo di democrazia vogliamo? Populista dove il consenso viene prima delle regole o su base costituzionale? Per noi una buona politica è l’unica salvezza. E la parola chiave deve essere uguaglianza: senza uguaglianza non c’è crescita, non c’è rispetto delle diversità. I problemi si risolvono con umanità e apertura! Onestà e sobrietà sono parole che devono girare sia nel pubblico, sia nel privato. Valori umanistici forti di una politica che li sappia tenere fermi come un’ispirazione”.

“La polemica verso quelli che ci hanno portato fin qui non è solo economica ma riguarda i germi recessivi che hanno messo dentro la società. Per ricostruire il Paese è impensabile che lo sforzo sia solo sulle spalle di un partito o della politica. La cultura rivendichi la sua libertà e il suo spirito irriducibile ma quello che serve in tutti i luoghi è un nuovo patto civile per la ricostruzione che investa tutta la società. Una darsi la mano in autonomia tra cultura e politica. Un’assunzione di responsabilità da parte del mondo della cultura affinché questa sia più accessibile a chi è più svantaggiato e a chi parte da più lontano”.

Andrea Draghetti

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