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"Più vicini all'Europa, il nodo delle Regioni", di Roberto D'Alimonte

I festeggiamenti sono ancora prematuri. L’approvazione del disegno di legge di riforma costituzionale in prima lettura al Senato è solo la prima tappa di un percorso ancora lungo.
Ma da ieri si può dire che l’Italia ha fatto un primo importante passo verso l’Europa.
Le polemiche – spesso pretestuose – che hanno accompagnato l’iniziativa del governo non hanno permesso di valutare con serenità la portata delle innovazioni introdotte. L’opinione pubblica è ancora confusa. Le accuse di autoritarismo hanno seminato dubbi e impedito una attenta valutazione dei fatti. In realtà, la riforma proposta razionalizza molti aspetti del nostro assetto costituzionale in tema di rapporti tra esecutivo e legislativo, tra cittadini e istituzioni rappresentative, tra Stato e Regioni. Il Senato perderà i poteri che ha oggi e non sarà più eletto direttamente dai cittadini. Non darà la fiducia e non avrà un potere di veto su gran parte della legislazione. Ma questo è quello che avviene nella grande maggioranza dei Paesi europei in cui da anni il processo legislativo è imperniato sulla supremazia della camera bassa. Ma il nuovo Senato non sarà del tutto ininfluente. Conserva competenze importanti su alcune materie mentre su altre potrà costringere la Camera a decidere a maggioranza assoluta e non a maggioranza semplice. La ripartizione delle competenze avrebbe potuto essere diversa, ma non è questo il punto veramente importante. Ciò che conta è il superamento del bicameralismo paritario e la conseguente razionalizzazione del processo legislativo. In questa direzione si muovono anche una serie di norme che da una parte limitano drasticamente l’uso dei decreti legge e dei decreti omnibus e dall’altra garantiscono al governo una corsia preferenziale per l’approvazione dei provvedimenti prioritari del suo programma. Sarebbe questa la deriva autoritaria? Oppure lo è il fatto che i senatori siano eletti indirettamente? Ma non è forse vero che nei Paesi della Unione Europea il Senato o non esiste del tutto o – se esiste- è nella stragrande maggioranza dei casi eletto indirettamente? Sono solo 5 su 28 i Paesi in cui i cittadini scelgono i senatori.

E che dire del referendum ? Si è parlato anche in questo caso di attentato alla democrazia. Eppure la riforma introduce per la prima volta il referendum propositivo dando ai cittadini uno strumento in più di democrazia diretta. E quanto al referendum abrogativo è vero che sono state alzate a 800.000 le firme richieste per proporlo ma è stato abbassato drasticamente il quorum per la sua validità. Non più il 50% degli aventi diritto, ma il 50% dei votanti alle elezioni politiche precedenti. In base ai dati delle ultime politiche vuol dire meno del 38%. Con questo quorum uno strumento di democrazia diretta che era diventato inservibile torna ad essere un’arma utile nelle mani dei cittadini. In più resta in piedi anche il vecchio referendum abrogativo, con le sue 500.000 firme e il suo quorum al 50%.
Molto ci sarebbe da dire anche sulla razionalizzazione del rapporto Stato-Regioni. Anche in questo campo ci sono parecchie innovazioni positive accanto ad altre che suscitano qualche interrogativo. Ma il tema è troppo complesso per una trattazione sbrigativa. Chiudiamo con un rilievo su un punto critico. Si tratta dell’elezione del capo dello Stato che deve essere rimodulata alla luce del nuovo sistema elettorale. Una minoranza non deve poter eleggere da sola sia il presidente del Consiglio che il presidente della Repubblica. Pare che su questo il governo sia disposto a modifiche. Sarebbe cosa buona e giusta.

da il Sole 24 Ore