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"Via le province ora è possibile", di Giovanni Cocconi

Non è vero che nella manovra non ci sono tagli ai costi della politica. Anzi Il governo Monti non poteva abolire le province. Ha fatto di più: le ha svuotate. L’intervento draconiano previsto all’articolo 23 del decreto salva- Italia non poteva cancellare un ente previsto dalla Costituzione ma di fatto lo trasforma in un ente inutile. Quindi da chiudere. «Sulla Casta è ancora poco» ha scritto sul Corriere della Sera Sergio Rizzo, intestatario del copyright della campagna contro i costi della politica. Sicuro che sia così? Solo pochi mesi fa, il 25 luglio, il parlamento aveva bocciato una proposta di legge per l’abolizione delle province con il voto contrario anche del Pd. «La cancellazione delle province non è nel nostro programma » aveva spiegato il capogruppo Dario Franceschini.
Ora Monti si propone di trasformarle in organi non esecutivi e non politici, di soli dieci componenti (al posto dei 45 attuali), non eletti direttamente dal popolo ma dai comuni di riferimento e, soprattutto, senza funzioni, le quali devono essere trasferite dalle regioni ai comuni «entro il 30 aprile 2012». Cioè tra cinque mesi. Tant’è che il decreto prevede che, al massimo entro il 30 novembre del prossimo anno, gli organi delle province in carica decadano.
Insomma, tra meno di un anno le province saranno svuotate de facto e il parlamento sarà chiamato a dare cornice costituzionale al loro killeraggio, tra l’altro suggerito anche nella lettera della Bce. Altrimenti rischia di pagare un prezzo molto alto vista l’aria che tira. «Equità significa anche dar voce a una domanda sociale di una drastica riduzione dei costi della politica» ha spiegato Monti ieri alla camera in uno dei pochi passaggi applauditi del suo intervento.
Che le misure siano drastiche lo conferma la protesta arrivata ieri dall’assemblea delle province italiane. Il presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, parla di probabile incostituzionalità del provvedimento e di risparmi risibili attorno ai 30 milioni. E se l’opposizione della Lega è scontata, ieri è stato contestato anche il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti, interrotto durante il suo intervento dal palco.
La scure di Monti si è fatta sentire anche sulle autorità di garanzia. Dall’Agcom all’Antitrust, dalla commissione di garanzie sugli scioperi all’Authority per l’energia, dalla Consob al Cnel tutti i consigli saranno dimezzati e sarà (in parte) bloccato il turn over dei dipendenti. Soppresso l’Enit, l’ente per il turismo (i cui dipendenti dovrebbero finire al ministero dell’economia), Inpdap ed Enpals confluiranno nella super Inps, mentre rischiano di pagare un prezzo molto alto regioni, province e comuni che dovranno subire altri tagli per 5 miliardi. Tant’è che ieri, oltre alla protesta dei sindacati, si è alzata (ma in modo molto mite) quella di regioni e comuni che dovranno assorbire anche le funzioni delle province per ora a risorse inferiori.
Si dirà che manca il capitolo parlamentari e ministri.
Non si può certo accusare Monti di non aver colto l’importanza simbolica di misure anti-Casta che aumenterebbero la popolarità di un governo già molto popolare nell’opinione pubblica. Non a caso domenica ha annunciato la rinuncia alla propria indennità da presidente del consiglio e nel decreto (articolo 23, comma 9) ha inserito una norma che impedisce ai dipendenti pubblici chiamati a svolgere la funzione di parlamentare, ministro o sottosegretario di cumulare gli stipendi.
In più gli esponenti dell’esecutivo avranno l’obbligo di rendere pubblico tutto il proprio patrimonio, compresi gli investimenti in azioni e titoli. Non poco. Anzi, rispetto a prima è tantissimo.

da Europa Quotidiano 06.12.11