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Pd: da pensioni a casa quattro proposte per l'Italia

La manovra «poteva essere più equa». Perciò va modificata su quattro temi: pensioni, casa, lotta all’evasione, investimenti. Lo chiede il Pd, in un documento che sintetizza le richieste del partito di Pier Luigi Bersani in vista di un «iter parlamentare che si presenta come un sentiero molto stretto».

Ecco nel dettaglio le richieste dei Democratici al governo di Monti.

1 Pensioni

Innalzare l’ammontare della pensione che sarà rivalutata in base al costo della vita; rallentare l’applicazione della riforma sulle pensioni di anzianità e tenere in debito conto la situazione dei lavoratori che hanno cominciato l’attività da giovanissimi e dei lavoratori anziani che hanno perso il lavoro.

2 Casa

Innalzare la soglia di esenzione per l’Ici sulla prima casa, in modo da favorire i meno abbienti.

3 Evasione

Misure più concrete di lotta all’evasione fiscale.

4 Investimenti

Uno spazio nel patto di stabilità interno per permettere ai comuni di fare alcuni lavori, per esempio la messa in sicurezza e l’adeguamento ambientale ed energetico delle scuole.

PD: LE FONTI PER LE RISORSE

Il Pd indica la fonte delle risorse per questi interventi: irrobustire il prelievo sui capitali scudati (ora è appena l’1,5 per cento); fare rapidamente un accordo con la Svizzera per tassare i capitali italiani nelle banche elvetiche, seguendo l’esempio di Usa e Germania; vendere le frequenze tv invece di regalarle; reintrodurre almeno una o due delle misure contro l’evasione fiscale approvate dal governo Prodi e abolite subito da Berlusconi.

Il documento dei Democratici, «L’Italia prima di tutto. Uscire dall’emergenza, preparare la ricostruzione», sottolinea che «Berlusconi ci ha portato a un centimetro dal fallimento, con il rischio di restare senza stipendi, senza pensioni e con le imprese e le famiglie al collasso. La manovra d’emergenza per evitare questo esito è inevitabilmente dura. Ma poteva essere più equa». Si ricordano inoltre i temi «già imposti» dal Pd «come la tassazione dei capitali scudati, la tracciabilità nei pagamenti, l’abbassamento di un anno dei contributi previsti per le pensioni di anzianità (prima la manovra prevedeva 43 e 42) , la copertura fino alla pensione dei lavoratori in mobilità. Ma non basta». Il Pd «garantirà responsabilmente il proprio sostegno per evitare il fallimento, ma lavora per mettere, per quanto possibile, più equità nell’intervento deciso dal governo di emergenza presieduto da Mario Monti».

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“Con la Fornero libertà di lavorare”, di Alessandra Ricciardi e Nicola Mondelli

Sono 55 mila i docenti e gli amministrativi, secondo una stima fatta da ItaliaOggi, ad avere i requisiti al 31 dicembre di quest’anno per l’accesso alla pensione con il vecchio regime. Potranno quindi lasciare il lavoro, senza incappare nelle nuove norme contenute nella manovra correttiva dei conti pubblici del governo Monti.

La riforma copernicana illustrata dal ministro del lavoro, Elsa Fornero, a loro non si applica. Ma possono anche decidere di continuare a lavorare, congelando il diritto alla pensione che potranno esercitare quando vorranno. Già, perché con la riforma Fornero salta, a partire dal prossimo anno, anche il vincolo a lasciare con 40 anni di contributi versati che aveva introdotto una delle manovre dell’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti. Quello passato è stato un fine settimana al cardiopalma per il personale della scuola, che ha in media un’età molto alta, quasi 51 anni l’età media degli insegnanti di ruolo, che passa a 53 per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo e a 58 per i dirigenti scolastici. Ed è quindi in prima linea nel dover fare i conti con il nuovo sistema pensionistico. A salvarsi, appunto, sono coloro che maturano i requisiti di uscita entro il 2011: circa 40 mila insegnanti, e di questi 32 mila donne, e 15 mila Ata.

Il decreto legge approvato domenica dal Consiglio dei ministri dispone, infatti, che «il lavoratore che abbia maturato entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, ai fini del diritto all’accesso alla pensione e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, nonché della pensione nel sistema contributivo, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo la predetta normativa e può chiedere all’ente di appartenenza (Inpdap) la certificazione di tale diritto». La rivoluzione dunque riguarda tutti gli altri, circa 850 mila lavoratori della scuola. Cgil, Cisl e Uil, in coro, hanno detto no alla manovra. Sciopereranno lunedì prossimo, ma separati: la Cgil per 4 ore, Cisl e Uil per due. Anche nella scuola le divisioni sono più forti di tutto.

I requisiti

La situazione del personale scolastico in possesso, alla data del 31 dicembre 2011, dei requisiti pensionistici, continua ad essere, pertanto, la seguente: presentando domanda di cessazione dal servizio entro i termini che saranno stabiliti dal ministro dell’istruzione (ma l’istanza può essere presentata anche subito) potrà chiedere all’Inpdap di essere collocato in pensione dal 1° settembre 2012 con diritto dalla stessa data al trattamento pensionistico e alla liquidazione dell’indennità di fine servizio entro e non oltre il mese di maggio del 2013. Stando allo spirito e alla lettera della norma, tale personale dovrebbe potere cessare dal servizio in qualsiasi degli anni successivi al 2012 e, comunque, fino al raggiungimento dell’età prevista per il collocamento a riposo d’ufficio o per raggiunti limiti di età. I requisiti anagrafici e contributivi richiesti per accedere sia alla pensione di vecchiaia che a quella di anzianità sono essenzialmente i seguenti. Per la pensione di anzianità: quota 96 costituita da età anagrafica minima di 60 anni e 36 di contributi o da 35 anni di contributi e 61 anni di età; 40 anni di servizio e contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica; per la pensione di vecchiaia: 65 anni di età per gli uomini e 61 per le donne se entrambi possano fare valere almeno 20 anni di contribuzione.

Il contributivo

Anche nei confronti del personale della scuola che al 31 dicembre 2011 potrà fare valere i requisiti per l’accesso alla pensione troveranno applicazione le nuove disposizioni sul sistema di calcolo contributivo limitatamente ai servizi prestati a decorrere dal 1° gennaio 2012. Per i servizi e contributi versati negli anni precedenti sarà infatti garantito il pro rata, cioè il calcolo con il sistema di calcolo retributivo (pieno o misto).

La buonuscita

Per il personale della scuola e dell’Afam che matura il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2011 il trattamento di fine servizio sarà liquidato, come ha precisato l’Inpdap con la nota operativa n. 41 del 30 novembre 2011, entro sei e non oltre i successivi 90 giorni dalla data di cessazione del servizio. Entro 105 giorni se la cessazione dal servizio è dovuta a inabilità, a decesso, per limiti di età o di servizio previsti per il comparto scuola, comprese le cessazioni per raggiungimento dell’anzianità contributiva massima a fini pensionistici.

Per il personale che invece matura il diritto a pensione a decorrere dal 1° gennaio 2012, se la cessazione dal servizio avverrà per dimissioni volontarie, la liquidazione del trattamento di fine servizio (buonuscita) sarà pagata non prima di ventiquattro mesi dalla cessazione e non oltre i successivi 90 giorni. Sarà pagata entro sei mesi e non oltre i successivi 90 giorni se si lascia per raggiungimento dei limiti di età o per quarantennio di servizio e/o contribuzione. Sarà pagata entro e non oltre i 105 giorni se la cessazione è dovuta a inabilità o a decesso.

da ItaliaOggi 07.12.11

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“La rivolta degli smemorati”, di Stefano Menichini

Non è possibile essere così falsamente smemorati – quindi in mala fede – come quelli che oggi titolano o commentano lamentando la stangata di Monti, additando i professori come cinici affamatori del popolo, dispiacendosi con facile gioco di parole alle spalle del ministro Fornero perché «c’è da piangere».
Che cosa pensavate, che si stesse scherzando? O magari che l’emergenza finanziaria fosse davvero un’astuta invenzione per far fuori Berlusconi, dopo di che avremmo potuto ricominciare come prima?
Certo che c’è da piangere, ma questa non è la conseguenza bensì la premessa della nascita del governo Monti. Come ripete lui stesso: non sarebbe seduto lì, al posto che solo un mese fa occupava Berlusconi, se non ci fosse stato bisogno di qualcuno che si assumesse la responsabilità di compiere le scelte difficili che nessuno ha saputo affrontare: i partiti, ma anche i sindacati, le imprese, le categorie associate.
C’è un filo di ipocrisia allora, lasciatelo dire, nelle mobilitazioni sindacali di questi giorni. Per carità, le confederazioni devono tutelare il proprio ruolo (è soprattutto per questo che si sono infuriate: per la mancata concertazione preventiva) e magari daranno anche una mano a correggere i punti sbagliati della manovra, che ci sono. Ma la parte che recitano è ormai sempre la stessa, perfino nella divisione al proprio interno: stucchevole.
La manovra del governo Monti è tutt’altro che perfetta, risente anche di correzioni dell’ultima ora un po’ posticce. L’impatto che ha avuto è però prodigioso, ed era la prima cosa che le si chiedeva: un effetto sui mercati che fa rifiatare la finanza pubblica e privata; una proiezione dell’Italia sulla scena europea tale da far dire ai leader politici (ieri in parlamento): vai Monti, ora fatti valere con Merkozy. E lui ha promesso di farlo, anche perché lui può farlo.
I partiti confessano di essere in difficoltà.
Faceva una certa impressione, ieri pomeriggio, ascoltare i discorsi alla camera di Cicchitto e Franceschini in rapida sequenza, perché erano veramente speculari, anche nella apprezzabile sincerità quando ricordavano a Monti che Pdl e Pd stavano assumendosi seri rischi nei confronti dei rispettivi elettorati.
Entrambi i capigruppo, fino all’altro ieri contrapposti, segnalavano di non potersi riconoscere del tutto nella manovra ma di aderire alla necessità superiore di appoggiarla. Franceschini con un di più: il Pd ha qualche necessità di modifica superiore al Pdl.
La partita che si gioca da oggi riguarda, nel campo democratico, la possibilità di apportare modifiche almeno sui punti dell’indicizzazione delle pensioni e dell’aggiornamento delle rendite catastali, sapendo però che il cantiere della manovra non può assolutamente essere riaperto del tutto in parlamento.
Il Pd ha tutte le ragioni del mondo sul punto del congelamento dell’indicizzazione delle pensioni, che dell’intera architettura di Monti è davvero il buco nero. Una solenne ingiustizia, talmente palese da potersi giustificare solo con una disperata esigenza di cassa. E va notato che lo stesso Pd non chiede di rinunciarvi, ma solo di alzare il tetto dell’esenzione salvando diversi milioni di posizioni.
Vedremo come si sviluppa la vicenda, sapendo che neanche il governo Monti può sottrarsi alla regola aurea di tutte le finanziarie, per quanto blindate: portarle in parlamento sapendo in anticipo che occorrerà concedere qualcosa ai partiti.
Se però la dialettica parlamentare ha le sue regole, e nel caso specifico l’equità sociale reclama una correzione, qualcosa va detto sull’atteggiamento generale tenuto dai partiti nelle ore a cavallo del varo della manovra Monti, e soprattutto a manovra presentata.
Proprio in considerazione dell’asperità del percorso proposto dal Professore, ci si chiede quanto potrà durare e quanto potrà essere utile il distacco esibito ieri alla camera da Pdl e Pd.
Un conto è sottolineare – una volta, due volte, tre volte – che si stanno facendo rinunce rispetto al prioprio programma. Un’altra cosa è mostrarsi agli italiani con le facce appese dei condannati a chissà quale tortura: il messaggio, neanche tanto cifrato, è che rispetto ai sacrifici richiesti dal governo c’è una corresponsabilità limitata. E che sotto sotto i partiti continuano a pensare che loro avrebbero saputo e potuto fare meglio del professor Monti.
La seconda cosa è semplicemente non vera, altrimenti non si capirebbe perché è successo tutto quello che è successo: che ha rappresentato l’ammissione di un fallimento non soltanto (macroscopico) del governo Berlusconi, ma anche dei governi che l’hanno preceduto, e della non maturità delle attuali opposizioni ad assumersi l’intero carico del risanamento e delle riforme.
La prima cosa – la corresponsabilità limitata – è invece, più che non vera, pericolosa. Dovrebbe essere chiaro dopo la giornata parlamentare di ieri, segnata dallo sconclusionato discorso del più scarso tra i dirigenti leghisti (Reguzzoni) e dal passaggio all’opposizione di Di Pietro (dovremmo definirlo ri-passaggio: sul governo di transizione l’Italia dei valori è già… transitata più volte, e in varie direzioni opposte).
Non ci si difenderà dalle scorribande populiste di queste improvvisate opposizioni tenendo, rispetto al governo, un’algida distanza amichevole. Né sarà più semplice – parlando del Pd – la gestione dei rapporti con la Cgil e la prevedibile protesta sociale.
Non ci vuole uno scienziato di politica e di comunicazione, per cogliere la debolezza di una posizione che riduca tutto alla rinuncia, al sacrificio, all’accantonamento dei propri obiettivi. Di fronte a una linea così fragile, partiti in debito d’ossigeno come l’Idv e la Lega possono giocare pesantemente all’attacco.
Insisto su un punto che Europa ha già sollevato, e mi sento di poterlo fare a maggior ragione dopo la prova di Monti sia come redattore della manovra che come suo comunicatore: occorre circondare di fiducia e oserei dire di calore l’operato suo e dei suoi ministri (maxime la straordinaria ministra Fornero, sapendo che sul mercato del lavoro sarà esposta su una frontiera durissima, per lei e per noi), puntando sulla fiducia che innanzi tutto gli italiani hanno mostrato di avere nei loro confronti.
Lo scambio proposto da Monti – serietà e salvezza dell’Italia contro sacrifici – può funzionare, nonostante tutte le lacrime che scopriamo un po’ ipocritamente di dover versare, e nonostante le imperfezioni inevitabili quando si lavora fra due schieramenti politici avversi fino a ieri e nel prossimo futuro.
Il pericolo per il paese, in questo momento, non è certo nelle stanze dei tecnici del governo, ma nelle stanze ancor meglio riscaldate degli smemorati a gettone che cinicamente giocano sulla sofferenza e incitano alla rivolta.

da Europa QUotidiano 07.12.11

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