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"Cosa la Francia insegna all'Italia" di Pierluigi Castagnetti

Ormai archiviato il dibattito televisivo fra i due candidati con un sostanziale pareggio, a François Hollande non resta che attendere il risultato delle elezioni domenica sera, che dovrebbe
confermare il vantaggio che tutti i sondaggisti gli attribuiscono.
Visto da vicino questo rush finale della campagna elettorale francese consente di registrare similitudini e diversità con il clima politico italiano. La più grande somiglianza riguarda le
connotazioni delle due posizioni politiche che si contrappongono:
da un lato l’arroganza di una destra che, smentendo i primi
passi bipartisan del mandato presidenziale caratterizzati dalla
nomina di gruppi di lavoro che vedevano il coinvolgimento di
esperti vicini alla sinistra, si è ben presto caratterizzata per una strategia di divisione del Paese. Sarkozy è stato un presidente arrogante, provocatore e divisivo sino agli ultimi giorni del mandato, basti pensare alla manifestazione del 1˚ maggio
organizzata al Trocadero in competizione con quella dei sindacati, in un primo tempo definita la «festa dei veri lavoratori» e ben presto corretta con una dicitura meno provocatoria «la vera festa dei lavoratori». Una prova di forza in parte riuscitagli per la
straordinaria mobilitazione dell’Ump, ma che ha lasciato una ferita in una società che, pur abituata al conflitto politico, ha
sempre difeso il valore simbolico unitario di alcune importanti
ricorrenze, come quella del 1˚ maggio appunto.
Dall’altra un candidato socialista, François Hollande, per molti versi atipico, il primo candidato «socialdemocratico» nella tradizione del socialismo d’Oltralpe, espressione di un socialismo – come dice Bernard Guetta – di ascendenza più cristiana che marxista, insomma una figura molto prossima a quella di Jacques Delors. Forse anche questo ha favorito la scelta di Bayrou a favore di Hollande, aprendo così nuovi orizzonti a tutto il centrosinistra europeo. Peraltro Hollande si presenta come un candidato non supponente, definito «Flanby» dalla marca di un famoso budino, per la sua flemma, con poco carisma, ma a mio avviso dotato del carisma della normalità, oggi particolarmente apprezzato dai francesi dopo anni di spavalderie presidenziali.
La diversità principale invece si coglie nella capacità mobilitativa e, dunque, nella credibilità delle forze politiche popolari ancora ben insediate nella società. Vedere quelle tre piazze piene il 1˚ maggio, o, due giorni prima, i Palacongressi di Bercy (Hollande) e Tolosa (Sarkozy) stracolmi di anziani militanti e di giovani entusiasti, o vedere ancora la gente nei bistrot e nei bar all’ora di cena intenta a seguire i dibattiti televisivi con tanta passione, impone il paragone fra un Paese in cui destra, centro e sinistra continuano a confrontarsi tutto sommato con rispetto, e un Paese come il nostro in cui la lunga stagione del berlusconismo ha determinato un allontanamento e un disinteresse per la politica di una buona parte della società. Ed è proprio quest’ultima constatazione che impegna il Partito democratico non solo a lavorare per la rigenerazione dell’Europa politica, resasi
oggettivamente inevitabile, soprattutto se sarà eletto Hollande, ma, nondimeno, a una strategia di ricostruzione nella società della nervatura di un tessuto culturale e morale senza di cui la politica in nessun Paese democratico può fare a meno. Forse anche sotto quest’ultimo profilo il leader progressista francese potrà esserci di aiuto. L’incipit ricorrente infatti nei suoi discorsi è «rendetevi conto», una locuzione che dice dell’atteggiamento quasi pedagogico e insieme di servizio verso i suoi concittadini, che vuole aiutare a capire, a conoscere la complessità della situazione quale presupposto di ogni scelta politica, «non per me, e ancor meno per una mia convenienza personale, ma per amore del vostro Paese».

l’Unit 04.05.12