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"Senza equità e ricerca i giovani restano fuori", di Nicola Cacace

«I dati del rapporto non dicono nulla di buono. In Europa siamo primi per precarietà salari e pensioni perdono potere d’acquisto». Il presidente dell’Istat Giovannini ha dovuto sobbarcarsi l’ennesima fatica, quella del rapporto annuale, senza poter aggiungere niente di buono a quello che ci dice da anni. In Europa siamo ultimi per crescita del Pil, primi per precarietà dei giovani, ultimi per equità nella distribuzione di redditi e ricchezza, con salari e pensioni che da anni perdono potere d’acquisto e povertà crescente. L’Italia è il paese più vecchio del mondo, 44 anni di età media, contro i 20 anni del Magreb, che invecchia male perché da anni sacrifica l’unica risorsa scarsa e creativa, quella dei giovani. È infatti dal 1975 che, proprio per le politiche anti giovani è cominciato il dimezzamento delle nascite, da un milione a mezzo milione di nati ogni anno. E oggi abbiamo bisogno di almeno 200mila immigrati ogni anno per coprire i lavori più umili. Precarietà occupazionale, diseguaglianze crescenti tra redditi e ricchezze, scarsa innovazione delle produzioni che implica scarsa domanda di lavoro qualificato, assenza di futuro per le giovani generazioni che, nella società della conoscenza, diventa esiziale. Infatti la società della conoscenza vive e prospera su due fattori chiave, l’innovazione che è prodotta soprattutto dai giovani supportati da scuola e ricerca e l’equità, cioè una distribuzione di redditi e ricchezza a massima diffusione nella società. In entrambi questi fattori l’Italia da decenni marcia in senso contrario a quello verso cui marciano i paesi che ce l’hanno fatta, quelli dove i giovani sono valorizzati meglio e l’equità attentamente realizzata. Nessun paese al mondo ha avuto una regressione economica così continua da quarant’anni in parallelo con un accelerato processo di mortificazione dei giovani e di aumento delle diseguaglianze: il Pil era cresciuto del 3,8% annuo nel decennio settanta, del 2,4% nel decennio ottanta, dell1,6% nel decennio novanta e dello 0,2% nel decennio 2000-10. Poiché nel frattempo la popolazione è cresciuta dai 50 milioni del 1960 ai più di 60 di oggi, il Pil per abitante ha rallentato ancora più del Pil portando l’Italia tra i paesi più poveri d’Europa. La società globale fa avanzare i Paesi dove equità e innovazione e quindi i giovani, sono dominanti e fa arretrare gli altri. L’Italia deve invertire una direzione di marcia completamente sbagliata, coi giovani mortificati ed i vecchi dominanti anche grazie ad un’evasione fiscale ed una corruzione tra le più alte al mondo.Èdifficilemanon impossibile. Le radici di Paese vitale e creativo fanno sperare che si ritrovi la strada di politiche pro innovazione che rimettano il lavoro al centro, valorizzino istruzione e meriti e portino più giovani ad emergere. E soprattutto che si riducano le diseguaglianze. In questa crisi si è riscoperto che i paesi a minor diseguaglianza sono anche i più ricchi, Germania e Francia, Olanda e Danimarca, Austria e Svezia tra gli altri.È sperabile che la lezione di questi anni abbia insegnato qualcosa, a tutti.

L’Unità 23.05.12