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“La grande letteratura ha l’anima dell’Europa”, di Roberto Brunelli – La Repubblica 20.08.14

Qualcuno pensa che Cees Nooteboom abbia doti profetiche. Nel 1975, come ha raccontato lui stesso, ebbe il presentimento che le Torri Gemelle sarebbero crollate: «Mi parevano talmente fragili che mi sembrò naturale immaginare che un giorno si sarebbero afflosciate su se
stesse».
Oggi tutti tornano a chiedere allo scrittore olandese perennemente candidato al Nobel dove andrà a finire quest’Europa sospesa tra unione e disintegrazione, eternamente incerta della propria identità e forse incapace di trovare una propria voce. Non è un caso, perché l’ottantunenne Nooteboom il Vecchio Continente l’ha girato in lungo e largo, raccontandone l’anima profonda sin dal suo primo romanzo, Philip e gli altri . Anche come giornalista ha dimostrato fiuto per gli appuntamenti della storia: all’invasione sovietica di Budapest nel ‘56, al Maggio francese, a vedere il crollo del Muro di Berlino, lui c’era. Lui, che da bambino è sopravvissuto alle bombe di Hitler e che poi per amore si è arruolato come mozzo su una nave diretta in Sudamerica, ha fatto del viaggio, dell’incontro, il senso della sua esistenza e della sua scrittura.
L’Europa oggi si scopre piena di rabbia, pervasa dai populismi: cosa è successo?
«Un 30 per cento di europei non comprende più quanto di buono abbia fatto l’Europa. Credo che gli umori populisti siano una costante, ma dobbiamo vedere le cose in prospettiva. Nella gran parte d’Europa abbiamo avuto un periodo di pace lungo: settant’anni, a parte il conflitto dei Balcani e ora l’Ucraina. Un lasso di tempo in cui abbiamo avuto anche l’inizio dell’immigrazione di massa. Ma checché ne dicano i populisti, siamo sempre stati un luogo di trasmigrazione. Così come anche l’ideale dell’unione, quello dei padri fondatori dell’Ue, fa parte di noi da sempre e per sempre, è sub specie aeternitatis , come direbbe Spinoza».
Eppure il continente è diviso da spaccature multiple, tra Nord e Sud, ricchi e poveri, Est e Ovest…
«La cosa è cominciata un giorno a Yalta, quando tre gentiluomini hanno deciso di dividere l’Europa in due. Poi c’è la divisione economica. Il problema è che i grandi leader dopo la guerra avevano sì grandi ideali, ma non la sufficiente lucidità su quelle che sarebbero state le conseguenze economiche in assenza di una vera unione politica».
E una letteratura europea, quella esiste?
«L’Europa è soprattutto uno luogo dello spirito, uno spazio dell’anima. Lì dentro si muove la letteratura. Anzi, è lei che crea questo spazio. È una cosa che esisteva già quando Voltaire faceva stampare i suoi libri in Olanda. È anche un costante dialogo con il resto del mondo, molto peculiare. Prenda Borges, argentino, che non è pensabile senza la letteratura europea. Insomma, certo che esiste. Ma non la potrei rinchiudere in una singola definizione. Per esempio, Italo Calvino è un peculiare prodotto europeo, così come lo sono Pessoa, Saramago, Kundera. Anche gli scrittori africani immigrati in Francia sono letteratura europea. L’indiano-britannico Salman Rushdie lo è».
Spesso la candidano al Nobel. Le fa piacere?
«Curiosamente è una cosa che mi chiedono soprattutto nell’Europa del sud. Ma io ogni volta rispondo: è solo un premio, una sola volta l’anno».
Lei pensa che la crisi d’identità dell’Europa sia soprattutto una crisi della politica?
«Assolutamente. Alle persone comuni la politica oggi appare confusa e contraddittoria. Io mi considero un europeista “idealista”: ritengo che l’Europarlamento debba avere più poteri e che per esempio debba imporsi sulle trattative semisegrete fra Ue e Usa sul libero scambio. Gli americani arrivano con i loro esponenti delle lobby e avvocati, e noi che abbiamo? Solo funzionari. Dovremmo creare una sorta di cordone sanitario intorno al parlamento tedesco e a quello europeo, oltre il quale le lobby non devono avere accesso, perché qui si parlerà di prezzo fisso per i libri, di agricoltura, del ruolo di realtà immense come Google, Amazon e Facebook».
Ha vissuto a lungo a Berlino. Cos’è che a tanti suona così storto nell’egemonia tedesca?
«Quando cadde il Muro molti temevano la riunificazione tedesca, a cominciare da Günter Grass. Io penso invece che l’unità tedesca sia un fatto naturale. Detto questo, l’errore della Merkel è che sembra prediligere gli interessi nazionali. Idea miope. Prendete gli inglesi, che sono storicamente i più anti-europei. Si capisce bene che il loro retropensiero sia di avere una relazione speciale con gli Usa. Peccato che Washington a sua volta stia guardando al Pacifico invece che all’Europa. Proprio come fa Putin. Che punta alla Cina. Il che dimostra che noi europei siamo sempre più soli e che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Da scrittore e poeta, dico: c’è bisogno sia del genio italiano che del pragmatismo tedesco».
Ma Le Pen che fa il pieno di voti operai, la sinistra riformista legata ai ceti più abbienti… dove sono oggi la destra e la sinistra?
«La crisi in atto è una crisi della globalizzazione, e ha molto a che vedere coi media. Oggi siamo bombardati da immagini che impauriscono le persone e che mettono sottosopra le appartenenze. La destra mette a fuoco problemi reali, sono le riposte ad essere sbagliate. Ma vediamo il lato opposto della questione: noi olandesi abbiamo avuto le colonie, subiamo l’influenza indonesiana, indostana, islamica. Arrivano centinaia di migliaia di persone… Io dico che finirà come negli Usa, realtà multiculturale per eccellenza, dove lo spagnolo oggi
è la seconda lingua».
Non sarà troppo ottimista?
«Siamo di fronte a qualcosa che non si può fermare e che possiamo chiamare “storia”. Né i vostri leghisti, che certo non sarebbero stati apprezzati alla Corte dei Medici, né gli inglesi dell’Ukip o la Le Pen potranno impedire l’immigrazione e l’unione: è il destino europeo, per fortuna».