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Dichiarazione di voto dell’On. Gianclaudio Bressa, vice presidente del gruppo Pd, sul “decreto sicurezza”

Signor Presidente, siamo giunti al voto sul “decreto sicurezza”: un voto di fiducia. Dobbiamo riflettere sul fatto che questa settimana due saranno le fiducie: dopo il blitz fuori da ogni regola sul “lodo Alfano”, avremo due fiducie su provvedimenti delicati come la manovra economica triennale e il “pacchetto sicurezza”. Dobbiamo riflettere, perché questo non è più un esproprio del Parlamento, ma una bestemmia contro il Parlamento, umiliato e svuotato delle sue funzioni costituzionali.
Con riferimento al merito del provvedimento, il decreto-legge in esame nasce per garantire maggiore sicurezza ai cittadini: per garantire maggiore sicurezza a Silvio Berlusconi, però, lo avete modificato strada facendo, prevedendo di bloccare centomila processi per impedirne uno. Peccato, però, che questa vostra invenzione abbia effetti collaterali grotteschi: a causa delle due nuove norme votate dal Senato, tre ragazzini che in gita scolastica cedono un grammo di droga a un loro coetaneo vanno processati subito, mentre per chi ha violentato una donna, per chi ha rapito un bambino o rapinato un appartamento, per chi ha truffato migliaia di risparmiatori il processo può aspettare. Prima di essere travolti dal ridicolo – un tragico ridicolo – avete modificato le due norme in questione. Il Partito Democratico può essere soddisfatto di avere vinto una battaglia parlamentare che ha impedito di sfasciare il sistema giudiziario, ma voi di cosa potete dirvi soddisfatti, dopo che per tre settimane avete preso in giro il Paese, facendo e dicendo tutto e il contrario di tutto? Solo questa vostra contorsione meriterebbe un voto di sfiducia, ma vi sono argomenti più veri e profondi per votare contro, motivi che derivano dalla vostra politica per la sicurezza.
Le misure per garantire la sicurezza ai cittadini vanno giudicate non solo per la loro efficacia, ma anche per il significato politico-culturale che portano con sé. Siamo tutti d’accordo sul fatto che vi è insicurezza e che la paura cresce, siamo tutti d’accordo che sono i più deboli e indifesi a sopportarne le conseguenze più pesanti, siamo tutti d’accordo con i contenuti del “pacchetto Amato”, che noi abbiamo commesso l’errore di non approvare, così come siamo tutti d’accordo con quelle norme, contenute nel decreto-legge in esame, che consentono maggiore certezza della pena e rigore verso alcuni reati. Ma qui ci si deve fermare e l’analisi deve farsi più critica.
Non basta dire che il pacchetto sicurezza non risolverà i problemi – ed è vero – perché le carceri si riempiranno e le espulsioni per via giudiziaria saranno più lente e difficili da attuare, ma occorre andare al cuore del problema e dire che la cultura politica e istituzionale di questo Governo di destra è, oltre che inefficace, sbagliata e pericolosa. Stiamo assistendo ad un crescendo, settimana dopo settimana, di quello che Jonathan Simon chiama il Governo della paura.
Non c’è solo questo decreto-legge, vi sono tre decreti legislativi del Governo Berlusconi di attuazione di direttive comunitarie che contengono un vero e proprio giro di vite in chiave xenofoba e che riguardano il ricongiungimento familiare, l’asilo e il diritto di libera circolazione. Vi sono le tre ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri che – state bene ad ascoltare – utilizzando la legge istitutiva del servizio nazionale della protezione civile – fate attenzione, si è usato uno strumento inusuale, per non dire orrendamente inappropriato – dichiarano in tre città l’emergenza rom e autorizzano la schedatura, attraverso le impronte digitali, anche dei bambini. Questo avete fatto, e non quello che hai blaterato tu qualche istante fa, Cota!
Sarà vero che la storia non si ripete, ma alle leggi razziali si arrivò nel 1938 dopo un censimento dei cognomi ebraici. State attenti a non ripetere la stessa tragica strada. Quando si cerca di trasformare la persona in gruppo, in una massa, e si cerca di annullare l’individualità, il miracolo irripetibile che ogni individuo rappresenta, si calpesta la dignità umana, il principio costituzionale che ci vuole tutti uguali davanti alla legge.
Di fronte a questo occorre ritrovare il coraggio dell’indignazione, il coraggio di dire che è vergognoso quello che in Italia si sta facendo. Quando i problemi si affollano e la politica annaspa (basti pensare al costo della vita reale, in cui il pieno di benzina costa 80 euro, mentre l’inflazione programmata del Governo è all’1,7 per cento, o che nei prossimi tre anni ci saranno tagli per 5 miliardi di euro alla sanità e per 8 alla scuola e si sta smontando lo Stato sociale, e a fronte di ciò non vi è un euro in più per stipendi, salari e pensioni) ecco scattare magicamente l’allarme sicurezza. Se la nostra quotidianità diviene preda della paura e scatta l’identificazione della vittima delle azioni criminali con il cittadino comune, che è sempre per sua natura vulnerabile, si apre la strada a interventi sempre più pesanti e punitivi da parte dello Stato e ci si avvia verso l’esercizio di un potere esecutivo del Governo sempre più invasivo e totalizzante, con un appannamento della fiducia nella perdurante validità del patrimonio di principi e valori di cui la nostra Costituzione è espressione.
Due esempi bastano a spiegare quanto sto dicendo. Il primo riguarda l’uso delle Forze armate per pattugliare le città. Il problema non è solo la militarizzazione della sicurezza, mai verificatasi fino a oggi in Italia, ma è la confusione di ruoli e di idee, è il messaggio che si manda di allarme e sfiducia nelle forze di polizia. Per quanti problemi ci siano – e ci sono – le nostre città non sono assediate, non c’è bisogno del VII Cavalleggeri che tra squilli di trombe venga a liberarci, anche perché se dopo l’intervento dei militari italiani le cose non dovessero sostanzialmente cambiare, e non cambieranno perché esercito e polizia sono funzionalmente non assimilabili, cosa facciamo, chiediamo l’intervento dei marines?
Siete grotteschi in questa vostra pretesa di fare la faccia feroce. Ci sarebbe bisogno di più patti per la sicurezza tra Governo e comuni, di più forze di polizia sulla strada e di maggiore coordinamento tra loro, ma in attesa di queste soluzioni sarebbe bastato non tagliare per oltre un miliardo nei prossimi tre anni le risorse per la sicurezza del Ministero dell’interno, non bloccare le assunzioni di personale per le forze di polizia, riconoscere maggiori risorse per il loro lavoro straordinario: tutte cose che potevate fare in queste settimane e che non avete fatto, al punto tale che proprio per questo, il 17 luglio, in tutta Italia, tutte le organizzazioni sindacali del comparto sicurezza manifesteranno contro il Governo Berlusconi minacciando lo sciopero bianco.
Il secondo esempio riguarda l’aggravante di clandestinità per i reati. Cosa significa l’aggravante di clandestinità? Vuol dire che per la prima volta nel nostro ordinamento una pena viene aumentata non per quello che fai ma per quello che sei, non per il reato che commetti ma perché sei uno straniero. Ecco affacciarsi in tutta la sua inciviltà una pericolosissima ossessione: la paura dell’altro, la paura dello straniero. Jean-Paul Sartre ha inchiodato alle sue paure la cultura occidentale quando diceva che l’inferno è l’altro. Voi trasformate questo tabù della cultura occidentale in legge dello Stato per decreto. Sicuramente si tratta di una via più rapida rispetto alla fatica e alla responsabilità di politiche di integrazione, a cominciare dalla scuola, di accoglienza, di cittadinanza, di asilo, di risanamento delle periferie o di revisione della madre di tutti i problemi, quell’infernale macchina di produzione di irregolari che è la legge Bossi-Fini.
Vi rendete conto che nel 2007 a fronte di 730 mila domande di regolarizzazione sono stati dati 170 mila permessi di soggiorno? Stiamo parlando di 730 mila persone che lavorano, nelle case, nelle famiglie e nelle aziende. Stiamo parlando di badanti, operai, operatori di assistenza e muratori. Secondo voi stanno girando per il Paese 560 mila clandestini, perché non hanno vinto la lotteria della regolarizzazione? Ma dove pensate di essere? Che idea vi siete fatti del Paese? Tutte queste sono persone che ci aiutano a mandare avanti la famiglia, l’azienda e il Paese, e che, tanto più restano irregolari, tanto più saranno sfruttati da regolarissimi cittadini italiani.
Questa vostra è un’ignobile scorciatoia, una via segnata, più che dall’efficacia delle misure, dalla faccia feroce che volete mostrare al mondo. Ecco, l’unico vero deterrente di questo vostro decreto è la faccia feroce. Peccato che, nonostante questo, gli sbarchi in questi mesi siano quintuplicati, perché, cari colleghi della maggioranza, la vostra faccia feroce non può nulla rispetto alla forza più elementare, diffusa e capillare: la forza della disperazione, della miseria e dell’istinto di sopravvivenza di chi scappa dalla fame, dalla morte e dall’oppressione. È ridicolo quello che state facendo, è tragicamente ridicolo.
Credo che sia arrivato il tempo per noi di riprenderci la responsabilità della nostra cultura, per cui nessun essere umano è illegale, e ha invece il diritto di avere diritti. Essere sensibili al rischio presente, come noi siamo, ma indifferenti al destino futuro non appartiene alla nostra storia. Ecco perché anche quando si parla di sicurezza non è vero che siamo tutti uguali e la pensiamo tutti allo stesso modo. La sicurezza dei cittadini è un bene che tutti vogliamo preservare, ma è come lo facciamo che ci fa diversi, ed è per questo che noi voteremo “no” a questo vostro provvedimento.
Aldo Moro ci ha lasciato la grande lezione che tra il realismo della preoccupazione e l’idealismo della forza dei diritti emergenti non c’è contraddizione, sono le due facce di una stessa realtà, nella quale la ricchezza del nuovo e dell’umano che avanza non deve essere soffocata ma composta. Il contributo del Partito Democratico oggi vuole essere nei comportamenti parlamentari proprio questo: non dimenticare questa lezione di grande civiltà e di Governo.
Per questo il nostro “no” al provvedimento non è – come voi dite – figlio della confusione, ma precisa e motivata ragione di passione politica e civile.

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