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"L’emergenza lavoro non aspetta la politica", di Massimo Franchi

La crisi la pagano gli operai. Anche quella di governo. La staffetta Letta-Renzi ha avuto come prima conseguenza quella di bloccare la convocazione dei tavoli per le aziende in crisi al ministero dello Sviluppo economico. Il primo è stato quello su Termini Imerese di venerdì scorso, domani invece tocca a Electrolux. E nel giro di una settimana verranno rimandati Alcatel (telecomunicazioni, con il rischio licenziamenti molto reale), Lucchini e Thyssen (siderurgia), Ideal Standard (ceramica), tutto il settore del trasporto ferroviario, Unilever (alimentare), Ferretti (cantieristica), Micron (elettronica), Irisbus (bus). Insomma, buona parte dell’industria ita- liana ha vertenze aperte che aspettano risposte e soluzioni nel giro di giorni. E che invece saranno bloccate – se va bene – almeno per tre settimane, rischiando di saltare e di lasciare per strada decine di migliaia di operai e lavoratori.

Dato per scontato un cambio della guardia al ministero dello Sviluppo economico – il più accreditato per sostituire Flavio Zanonato è l’ad di Luxottica Andrea Guerra che ieri ha incontrato Renzi – per fare una stima precisa dei tempi che serviranno a far ripartire i tavoli bisognerà attendere la nomina dei sottosegretari. Se non verrà confermato il professor Claudio De Vincenti che si occupava quasi esclusivamente delle tante patate bollenti, chiunque arriverà impiegherà settimane a capire il metodo e aggiornarsi sul merito e sul lavoro pregresso. Il rischio è dunque che per far riparti- re la complicata macchina serva più di un mese. Con conseguenze ancora più nefaste.

Il caso più scottante è certamente quello Electrolux. I quasi 5mila dipen- denti italiani della multinazionale svedese degli elettrodomestici sono ancora in presidio davanti agli stabilimenti – Solaro, Susegana, Forli – a partire da quello più a rischio di Porcia. Nel primo tavolo del 27 gennaio governo e Regioni aveva- no rigettato il piano dell’azienda che prevedeva un taglio del 20 per cento degli stipendi e la quasi certa chiusura del- lo stabilimento friulano. L’azienda aveva quindi fatto una parziale marcia indietro: Porcia non chiuderà, anche se in cambio – nell’audizione al Senato – aveva chiesto tre anni (fino al 2018) di sgravi sui contratti di solidarietà.

La convocazione del nuovo tavolo previsto per domani aveva portato all’allentamento dei blocchi della produzione (ora esce giornalmente, svuotando lentamente i magazzini prima stipati di merce), ma lo stop rischia di rialzare la tensione. Anche per questo l’azienda ha chiesto di incontrare comunque i sindacati lunedì. A stretto giro di posta è arrivato anche l’intervento del presidente del Friuli Debora Serracchiani che ha tranquillizzato: «Il premier in pectore è perfettamente al corrente della situazione di Electrolux e sono sicura che non ci saranno vuoti nella gestione della vertenza». I sindacati – Fim, Fiom, Uilm – domani si aspettano dunque che l’azienda «presenti comunque il nuovo piano industriale», ma sanno benissimo «che la trattativa deve tornare al ministero perché è il governo a dover trovare i modi e i soldi per ridurre il costo del lavoro» – in primis fondi europei sull’innovazione di prodotto. Facile comunque prevedere che Electrolux “sfrutti” il cambio di governo per non scoprire le carte e prendere tempo.

L’altra vertenza caldissima è quella di Termini Imerese. I quasi 2mila lavoratori della fabbrica Fiat chiusa ormai da due anni giovedì sono scesi in piazza insieme a tutta la cittadina in provincia di Palermo – parroci in testa – per chiedere di salvare il lavoro. L’anno e mezzo per- so da Invitalia dietro al carneade Di Risio e al suo progetto di assemblare auto cinesi, ha fatto perdere tempo prezioso, anche se la vera ragione della mancata re-industrializzazione sta nel fatto che Marchionne non vuole concorrenza in Italia. Il 30 giugno scade la cassa integrazione in deroga – già strappata per i capelli – dai lavoratori ancora formal- mente Fiat. Il primo luglio per tutti loro arriverà la mobilità, l’anticamera del licenziamento.

«CASSA» E TASSE AI MASSIMI

Ieri poi sono arrivati i dati sulla cassa integrazione a gennaio che confermano il quadro di continua emergenza occupazione. Gli 81 milioni di ore di Cig corrispondono ad oltre 440mila lavoratori a casa a zero ore, denuncia la Cgil. E sono quasi costanti dall’inizio della crisi: gennaio 2009. La riduzione sul mese prece- dente del -5,28%, così come su gennaio dello scorso anno (-10,36%) «si deve all’aumento della disoccupazione, come testimoniato dall’aumento delle domande di disoccupazione, e la riduzione delle autorizzazioni sulla cassa in deroga», che in prospettiva saranno sempre minori, vista la stretta prevista nel decreto interministeriale approvato dal governo Letta. Dati che portano il segretario confederale della Cgil Elena Lattuada ad invitare «il prossimo governo a dare un segnale di decisa discontinuità rispetto al passato, che produca effettivi cambiamenti, mettendo al centro della sua agenda politica il lavoro».

Le prospettive per il sistema economico e produttivo non sono poi di certo buone. Ieri la Cgia di Mestre ha denunciato come nel 2014 il governo Letta lascia in eredità 2,4 miliardi di tasse in più, specie per banche e assicurazioni. Il tutto sempre che la Spending review non faccia passare la prevista mannaia sulla spesa pubblica, ottenendo 3 miliardi di tagli di spesa. Che però «pagheranno» in gran parte gli stessi lavoratori sotto forma di meno welfare.

L’Unità 16.02.14