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"La famiglia 1 + 1", di Maria Novella De Luca

Vivono one- to- one. Spesso figli unici di sola madre. In casa nessun altro. Uno a uno. Maria con Davide, Gisella con Sofia Sole, Valia con Alice, Antonio con Giorgia, che ha cinque anni e una valanga di lentiggini. Nuclei minuscoli, ogni giorno più piccoli. Specchio e racconto di famiglie “atomizzate” dopo separazioni e divorzi, ma anche di maternità sempre più single. È la nuova frontiera delle “smallfamilies” il cui numero cresce di anno in anno, eppure dei monogenitori si parla poco. Erano il 10% negli anni Novanta, adesso superano il 16% nelle statistiche ufficiali, ma la realtà è assai più ampia, un quinto forse di tutte le famiglie italiane. Che oggi chiedono di uscire dall’ombra, di fare rete, di trovare sostegni.
Racconta Gisella Canali, mamma di Sofia Sole, 11 anni, e una vita a due a Milano: «Il mio compagno mi ha lasciato non appena ha saputo che ero incinta. Diceva che per lui non era il momento di diventare padre. Eppure erano mesi che ne parlavamo. Ma io Sofia l’ho voluta con tutte le mie forze, anche se è stato durissimo allevarla senza aiuto, senza parenti vicini, e con un lavoro che mi faceva correre tutto il giorno… La fatica più grande è non poter condividere le responsabilità, sapere che se ti accade qualcosa non c’è un paracadute. E la difficoltà di essere una donna single in un mondo a coppie. Ma rifarei tutto: Sofia è una bambina equilibrata e serena e questo mi ripaga ogni sforzo».
Sofia è un sole, come il suo nome, nella vita di Gisella, che oggi fa parte di una nuova rete di monogenitori che hanno dato vita a “Smallfamilies”, associazione nata proprio per sostenere le micro famiglie “one-toone”. La fondatrice si chiama anche lei Gisella, Gisella Bassanini, architetto e madre di Matilde,
che ha 13 anni. «Il padre di Matilde se n’è andato ancora prima che nascesse, e di lui non abbiamo avuto più notizie. Ho vissuto tutta la fatica di crescere una figlia da sola, ma anche la gioia immensa di essere mamma, e la fortuna di poter contare su una forte rete familiare. Ma un genitore “unico” vive una condizione di perenne fragilità, per questo ho deciso di fondare “Smallfamilies”, per accendere i riflettori su un fenomeno di cui si parla troppo poco, nonostante l’enorme aumento delle separazioni e dei divorzi, da cui tutto questo discende ».
Fragilità, isolamento. Le famiglie one-to-one in Italia sono formate quasi nel 90% dei casi da nuclei dove il monogenitore è una madre rimasta sola dopo un divorzio, un abbandono, o da donne che hanno scelto liberamente di essere mamme-single. «Quando il capofamiglia è una madre single, la famiglia è ad alto rischio di povertà», aggiunge Gisella Bassanini. «Da noi non esiste alcun sostegno, né sul fronte degli alloggi, né sul fronte del lavoro come avviene invece in Germania o in Spagna. In Italia c’è poi una doppia discriminazione. In Lombardia ad esempio sono previsti aiuti per le madri sole, ma soltanto se sono state sposate e non se provengono da coppie di fatto… ».
E così l’associazione “Smallfamilies” offre consulenze legali,
economiche e psicologiche ai monogenitori. «Perché conoscere la legge aiuta a difendersi », spiega Maria Garofalo, mamma single di Davide e avvocato dell’associazione. «Mio figlio è frutto di un grande amore con un uomo sbagliato, che ha preferito tornare a vivere in Spagna piuttosto che fare il padre. Ho allevato Davide da sola, aiutandolo a vivere il dolore di quell’assenza, e oggi è un adolescente sereno. Ma proprio perché so quanto è difficile, ho deciso di mettere la mia esperienza di avvocato e di madre al servizio delle altre».
Perché rispecchiarsi nelle vite altrui fa sentire meno diversi. E per fortuna non sempre si tratta di abbandoni traumatici o di padri che scompaiono. Eppure è stato proprio per far crescere sua figlia Alice in un una rete di relazioni ampie e solidali che Valia Galdi, urbanista, ha cambiato vita dopo una separazione “civile”. Abbandonato l’appartamento al centro di Genova, Valia e Alice si sono trasferite tra i boschi di Borzonasca, nel centro “Anidra”, una sorta di cohousing all’interno di un parco rurale poco lontano da Chiavari. «Se fossimo rimaste a Genova ci saremmo sentite molto meno sostenute. Qui invece Alice ed io abbiamo il nostro appartamento, ma condividiamo con le altre famiglie un progetto di vita ecologica e naturale. La cosa più bella è che ad Anidra si sono trasferiti anche i miei anziani genitori, e dunque Alice è al centro di una salda rete affettiva. Con il padre si vedono regolarmente, anche se di fatto l’unico punto di riferimento sono io e non è facile». Alice però, dice ancora Valia, «è stato il regalo inaspettato della mia vita, dopo un gravissimo incidente da cui sono uscita con un handicap che oggi mi costringe a zoppicare. Ma questo non mi ha impedito di emigrare sui monti e rivoluzionare la mia vita». Valia comunica entusiasmo e passione. Forse perché ha saputo spezzare “l’isola” delle famiglie monogenitoriali. Un senso di claustrofobia, che può anche diventare patologico, avverte Maria Rita Parsi, nota e attenta psicoterapeuta. «Il rischio è che non si spezzi mai la simbiosi madre-figlio. Accade che i bambini continuino a dormire nel lettone, occupando simbolicamente quel posto che dovrebbe essere del partner della mamma. Un altro grave pericolo di questi nuclei troppo piccoli, dove spesso le madri lavorano, è che i figli vivano un doppio isolamento: quello parentale e quello che ricreano davanti ad Internet. L’unica terapia è l’apertura, e soprattutto dare ai bambini altre figure maschili di riferimento».
Un problema opposto a quello di Antonio Neri, fotografo di Trieste, che da due anni si è ritrovato padre single di Giorgia, cinque anni, e una incredibile somiglianza con Pippi Calzelunghe. «Ma a lei Pippi non interessa affatto, preferisce Peppa Pig», scherza Antonio, monogenitore dopo la separazione dalla moglie tornata a vivere in America. «Il tribunale me l’ha affidata dopo un processo doloroso, la mia ex aveva manifestato dei veri problemi psichici… Oggi la mia giornata è scandita dagli orari di Giorgia, faccio il fotografo fino alle quattro del pomeriggio e il padre per tutto il resto della giornata. L’allegria di Giorgia e il notevole aiuto dei nonni compensano tutto. Ma quando si sveglia la notte e cerca la madre mi sento fragile e perso. Perché so che così siamo soltanto una famiglia a metà».

La Repubblica 28.05.15

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“QUELLE MAMME ACROBATE CHE TIRANO AVANTI DA SOLE”, di CHIARA SARACENO
LE FAMIGLIE in cui è presente un solo genitore sono oggi il 15, 3 per cento di tutte le famiglie, con una tendenza all’aumento. In particolare sono aumentate quelle in cui l’unico genitore presente non è vedovo; quindi il genitore mancante è tale non per morte, ma per interruzione, o mancata attivazione, della convivenza. Per lo più ciò avviene a seguito di una separazione coniugale, ma sempre piú spesso anche per interruzione di una convivenza senza matrimonio, nella misura in cui tra le coppie che convivono senza sposarsi, un fenomeno in crescita, sono in aumento quelle che hanno figli. Nel 90 per cento dei casi, l’unico genitore presente nella famiglia anagrafica è la madre. In realtà, occorrerebbe distinguere, soprattutto dal punto di vista dei figli, tra famiglie effettivamente monogenitore perché l’altro non c’è, è morto o solo sparito, assente per scelta, indifferenza, incapacità di gestire una genitorialità distinta dal rapporto di coppia, e famiglie che sono tali anagraficamente, ma l’altro genitore è presente attivamente nella vita dei figli, corresponsabile del loro benessere in vari modi e intensità.
Dal 2006 in Italia il modello normativo prevalente di affido dei figli minori prevede anche formalmente il mantenimento della cogenitorialitá tramite l’istituto dell’affido condiviso, che distingue tra univocitá della residenza e, appunto, condivisione tendenzialmente paritetica di responsabilità, presenza, tempo. Oggi oltre l’80 per cento degli affidi è formalmente condiviso.
È un modello di cogenitorialitá che richiede senza dubbio maturità, fiducia, rispetto reciproco, flessibilità organizzativa tra gli ex partner ed anche un minimo di disponibilità economiche per far fronte alla necessità di due abitazioni capaci di accogliere i figli che transitano da una all’altra. La pratica non sempre vi corrisponde, non solo per mancanza di risorse economiche, lasciando un solo genitore, per lo più la madre, con il carico maggiore di responsabilitá. Inoltre la norma può essere utilizzata dai genitori separati come strumento non per cooperare, ma per continuare il conflitto tra loro. Così come può avvenire ancora oggi che una minoranza di padri separati (si stima attorno al 15-20 per cento) si estranei progressivamente dai figli sia dal punto di vista della responsabilità economica sia da quello relazionale e affettivo.
Sono queste le situazioni più difficili, per i figli ed anche per le madri. Lo svantaggio che sperimentano, come tutte le donne con figli, a conciliare famiglia e lavoro mentre, a parità di competenze, sono spesso pagate meno ed hanno meno opportunità di carriera degli uomini, sono aggravate dal fatto che il loro reddito è spesso l’unico, o principale, per loro e i loro figli, mentre non possono condividere neppure in piccola parte i compiti di cura con l’altro genitore. Per questo, in Italia come in altri paesi, le famiglie in cui l’unico genitore presente è la madre sono più a rischio di povertà sia delle famiglie bigenitore, sia delle famiglie in cui è presente solo il padre. A differenza che in altri paesi, tuttavia, c’è poca attenzione per questa particolare vulnerabilità, anche perché c’è poca attenzione in generale alla questione della conciliazione tra responsabilità famigliari e lavorative. Anzi, le poche misure esistenti sia sul piano dei servizi pubblici (servizi per l’infanzia, tempo pieno scolastico), sia sul piano del welfare aziendale, sono le prime ad essere state tagliate in tempi di crisi. Rimane il welfare famigliare procurato dai nonni, che offrono a queste famiglie cura, ospitalità, sostegno economico in misura ancora maggiore di quanto non facciano nei confronti delle famiglie bigenitore. Per altro, i nonni sono anche la risorsa di ultima istanza per quei padri separati che non possono permettersi un’abitazione in cui poter accogliere i figli quando è il loro turno, fare loro spazio, perché si sentano a casa. Ma non tutti possono, o desiderano, contare esclusivamente su un welfare famigliare che li riconduce ad uno status di figlie/i dipendenti quando dovrebbero imparare a fare i genitori, se non da soli, senza il sostegno affettivo del rapporto di coppia con l’altro genitore.

La Repubblica 28.05.14