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“Non chiamarmi zingaro”, di Pino Petruzzelli

Vi segnaliamo un articolo apparso sulla Repubblica delle Donne del 7 giugno tratto dal libro di Pino Petruzzelli, regista, attore e scrittore, che ha collaborato con la Fondazione Fossoli e ha accompagnato gli studenti ad Auschwitz con il treno della memoria.

 

Da sempre i rom e i sinti sono stati quello che noi avevamo bisogno di vedere in loro. Ora l’incubo, ora il sogno, mai degli esseri umani con le nostre stesse, mille, sfaccettaure. Nell’immaginario collettivo o suonano il violino o sono delinquenti. In tutti e due i casi, nel bene o nel male, falsità.
Proiezioni distorte di nostri bisogni che sfociano nel razzismo.
Si obbietterà: se lo meritano, gli zingari rubano.

È vero, alcuni rom e sinti rubano, come alcuni siciliani sono mafiosi, come alcuni veneti tirano pietre dai cavalcavia, come alcuni professionisti frodano il fisco, ma il fatto che “alcuni” vadano fuori dalle regole non ne sancisce una generale e aprioristica negazione dei diritti.
Molti italiani di etnia Rom e Sinta, perché la maggior parte di quelli che vivono nel nostro territorio sono italiani a tutti gli effetti, vivono mescolati con noi senza che nessuno se ne accorga. In Italia ci sono pittori, professori universitari, neurologi, campioni sportivi, impiegati rom e sinti, per non parlare di quello che accade nel resto d’Europa. In Bulgaria il maggior cardiochirurgo del paese è rom.

Quanti di quelli che amano la musica sanno che il primo grande jazzista europeo Django Reinhardt era zingaro?
Quanti di quelli che amano il cinema sanno che Yul Brynner era zingaro? Così come Michael Caine e Bob Hoskins. Persino Charlie Chaplin e Rita Hayworth avevano una parte di sangue zingaro nelle  vene.
Quanti tifosi che la domenica affollano gli stadi sanno che diversi loro beniamini, anche in odore di Pallone d’Oro, sono zingari?
Per noi i rom e i sinti sono solo quelli che chiedono l’elemosina.

Ci battiamo per l’abolizione degli zoo, ma mettiamo in piedi campi zingari nei posti peggiori dove ghettizziamo e umiliamo degli esseri umani. Si impedisce a rom e sinti di viaggiare e nello stesso tempo di fermarsi. Eppure ci aspettiamo gratitudine. Vorremmo andare in mezzo a loro e vederli piegati in quattro per ringraziarci.

Osservando i luoghi che destiniamo loro nelle città, possiamo vedere rappresentato, senza veli o mistificazioni, l’interesse che questo secolo nutre verso quei dimenticati della Terra che prendono ad esistere ai nostri occhi solo in campagna elettorale. Gli “ultimi” sono un ottimo argomento di discussione, un nuovo campo di battaglia. Alla fine delle ostilità, poi, i vincitori andranno a fare festa, i vinti si leccheranno le ferite e il campo di battaglia devastato sarà ripianato e pressato a dovere con un bel rullo per essere pronto, quando sarà il momento, per nuove battaglie.

Noi crediamo di conoscerli, ma in realtà non sappiamo niente di ciò che sono costretti a subire: dagli sgomberi ai rifiuti per le donne a partorire negli ospedali. Questa è la loro quotidianità.

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