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“Tre anni da precari per i Bronzi di Riace”, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

Se finisce come con la vecchia cartolina che celebrava il ponte di Messina, stiamo freschi: addio ponte, resta solo la cartolina. Anche i Bronzi di Riace hanno avuto la loro cartolina celebrativa: per i 150 anni dell’Unità. Ma sono ancora sdraiati nell’androne del Consiglio regionale perché il «loro» museo, che doveva essere riaperto il 17 marzo 2011, è ancora chiuso.
Mancano i soldi e l’impresa se ne è andata. Ieri pomeriggio il governatore Giuseppe Scopelliti ha diffuso un comunicato rasserenante. Titolo: «Finalmente saranno completati i lavori del Museo Nazionale della Magna Grecia». Esordio: «Abbiamo reperito, in un gioco di squadra con il Governo Nazionale, i fondi necessari per ultimare i lavori…». Due righe sotto, il ritocco: «il Cipe valuterà nei prossimi giorni l’assegnazione di 6 milioni di euro che si aggiungeranno ai 5 milioni già previsti dalla Regione…» Cosa vuol dire «valuterà»? Cosa vuol dire «previsti»? Ci sono o non ci sono, i soldi?
In riva allo Stretto non è che si fidino più molto degli impegni. La stessa sovrintendente Simonetta Bonomi, una padovana che ha seguito passo passo il restauro dell’edificio progettato dall’architetto del Duce Marcello Piacentini, dopo tante delusioni è scettica quanto San Tommaso: «Spero che stavolta sia vero. Dopo avere visto tanti rinvii, però, insomma…».
Ma cominciamo dall’inizio. Quelle che diversi studiosi considerano come Salvatore Settis «le più belle statue greche di bronzo del mondo, al punto che neppure al museo di Atene c’è niente di simile», sono da tempo al centro di un dibattito che ha assunto spesso i toni di uno scontro frontale. Di qua chi li considera un patrimonio dell’umanità appartenente allo Stato italiano (il più brusco è Vittorio Sgarbi: «Sono di tutti, mica dei reggini!») e dunque da mettere a disposizione con le cautele del caso di una platea più vasta di visitatori («È inutile lasciarli lì, sotto la polvere», si è avventurato a dire il direttore generale del ministero Mario Resca) di là i calabresi che, davanti alla sola ipotesi che il «loro» Bronzi potessero essere spostati, per esempio alla Maddalena per il G8 come avrebbe voluto Silvio Berlusconi, si sentono rizzare i capelli in testa: «Giù le mani!»
Fatto sta che dopo essere stati visti, ammirati, venerati a Firenze e a Roma da un milione di visitatori subito dopo il restauro che li aveva restituiti alla loro solenne bellezza dopo il fortunoso recupero di due sub nel mare di Riace (il soprintendente toscano fu costretto a un appello tv per arginare le folle giacché il personale era «sottoposto a turni di lavoro massacranti in condizioni disumane») i due «wonderful bronzes» sono stati via via un po’ dimenticati.
Troppo «lontana» Reggio Calabria, troppo scarsi e scadenti i collegamenti aerei e ferroviari, troppo caotica e pericolosa l’autostrada Salerno-Reggio ingombra di cantieri che non si chiudono mai. Fatto sta che, come scoprì Antonietta
Catanese sul Quotidiano, in tutto il 2008 le due statue avevano avuto 130 mila visitatori di cui solo 50.085 a pagamento: un terzo dello zoo di Pistoia. Numero calato ulteriormente nel 2009, chiuso alla vigilia di Natale con il trasferimento dei due guerrieri a palazzo Campanella, sede del «Consiglio» calabrese.
Era sembrata quella, alla Bonomi, la soluzione giusta: no a prestiti al Louvre, a Roma o Napoli e men che meno a Palazzo Chigi per una passarella internazionale. Meglio l’offerta dell’allora presidente dell’assemblea regionale, Giuseppe Bova: allestire nel grande androne di palazzo Campanella una sala dalla parete di vetro dietro la quale i due Bronzi, sdraiati come pazienti ricoverati all’ospedale, fossero insieme sottoposti a un check-up ed esposti per il tempo strettamente necessario, un anno, alle visite dei turisti.
Il check-up è andato bene: nonostante alcune micro-fratture e i danni provocati, spiega la sovrintendente, «dall’aria di Reggio Calabria, che tiene insieme il salso del mare, lo smog del traffico automobilistico e certe polveri dell’Etna», i magnifici guerrieri sono in forma. Ciò che è andato male è il restauro dell’edificio che avrebbe dovuto essere completato in tempi strettissimi così da riaprire come dicevamo, alla presenza forse di Napolitano, il 17 marzo 2011, 150° della proclamazione dell’Unità.
Sulle prime, sembrò andare tutto benissimo. Traslocati i dipendenti in 7 appartamenti sparsi per la città, trasferiti i Bronzi e il resto della splendida collezione a palazzo Campanella (il meglio) e in un deposito, l’impresa incaricata di ristrutturare il palazzo e consolidarlo con tutte le garanzie antisismiche, la Cobar, lavorò a ritmo forsennato. Fino a 250 operai, geometri, manovali, capi mastri, trafficavano febbrili per mesi per tre turni al giorno, notti comprese, spesso anche il sabato e la domenica, a costo di pagare astronomici straordinari.
Pareva fatta. Pareva che stavolta la maledizione del Sud incapace di rispettare i tempi fosse sconfitta. Poi, di colpo, finirono i soldi. Dice qualche (altissima) linguaccia ministeriale che «è successo quel che succede sempre: rincari, rincari, rincari». Dice la Bonomi che no, su consiglio degli esperti convocati proprio per evitare errori, «sono state via via aggiunte opere non previste. La bellissima copertura di vetro del cortile interno, la climatizzazione speciale che offra alle statue la massima garanzia, la camera dove i visitatori dovranno fermarsi un minuto per essere igienizzati prima di entrare nella stanza…».
Fatto sta che i quasi 18 milioni di euro iniziali sono finiti, l’impresa si è trovata in rosso per 6 milioni e a un certo punto, visto che i soldi non arrivavano, ha piantato lì tutto e se n’è andata. Risultato: mentre i Bronzi continuavano ad essere sfruttati come simbolo della Calabria anche con uno spot tivù contestatissimo dal «Quotidiano di Calabria» e poi dal «Corriere della Calabria» e da intellettuali calabresi come Settis o Battista Sangineto (che se la prese con l’«uso» delle statue per la reclame della Renault, come marchio di uova e addirittura per un fumetto porno) la riapertura del museo è stata via via spostata. Prima a maggio 2011 e poi in autunno e poi al 2012 e via così.
Al punto che, per chiudere il cantiere e preparare l’allestimento con quei 5 milioni promessi dalla Regione, se anche i soldi arrivassero davvero domani mattina (auguri!) come pare sia stato promesso anche dal ministro Fabrizio Barca, la stessa sovrintendente ammette che per aprir le porte al primo visitatore ci vorrebbero «almeno sei mesi». Per capirci: minimo minimo si va all’autunno. Anniversario del francobollo che celebrava la riapertura.
E a questo punto, quali che siano le responsabilità (la Regione, il ministero, il governo…) si torna al tema: possibile che non si riesca mai a rispettare i tempi? Valeva la pena, per rispetto dei timori calabresi d’uno «scippo», di tenere per tre lunghi, interminabili anni quelle due statue che sarebbero venerate non solo a Roma o a Napoli ma al Louvre e all’Ermitage di San Pietroburgo, al British Museum e al Metropolitan di New York, sdraiate nell’androne del consiglio regionale calabrese?

Il Corriere della Sera 02.03.12