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"L'analisi oltre il lamento, le banche diano una mano al Paese" di Rinaldo Gianola

Non c’è dubbio che Mario Monti abbia registrato un formidabile
balzo di popolarità l’altro ieri, quando il Senato ha votato il
decreto liberalizzazioni colpendo duramente le banche con l’azzeramento delle commissioni sugli affidamenti e gli sconfinamenti. Un colpo così forte e inatteso che i vertici
dell’Abi hanno annunciato le dimissioni contro la decisione
giudicata «inaccettabile». Forse il governo e il Parlamento
rimedieranno nei prossimi giorni a questo «errore» e le banche
potranno tornare a imporre le loro commissioni sulle linee di
credito. Tuttavia questa vicenda suscita qualche considerazione
sull’azione del governo e sul ruolo e il grado di popolarità
delle banche nel Paese.
Per Monti, sospettato da alcuni di guidare «il governo delle
banche e dei poteri forti», il voto del Senato contro le commissioni
bancarie è stato un regalo fantastico, una medaglia da
appendersi al petto che vale più di mille spot. E se il ministro
dello Sviluppo economico Corrado Passera, già amministratore delegato di Intesa SanPaolo, esprime comprensione per il disagio dei
suoi ex colleghi, il presidente del Consiglio si gode un quarto d’ora aggiuntivo di gloria allontanando l’accusa di alcuni di essere
«debole con i forti e forte con i deboli».
Che si tratti di incidente o di errore quello sulle commissioni
bancarie è un caso che, viste le reazioni dei vertici dell’Abi e
dell’opinione pubblica, dovrebbe far riflettere i responsabili del
sistema bancario. Le banche e i banchieri dovrebbero pensare ai
motivi che spingono tanti cittadini, associazioni, sindacati,
interessi diversi a contestare la loro azione e a gioire quando il
Parlamento colpisce il portafoglio degli istituti di credito. Colpire la banca è uno sport assai popolare, come la caccia alla casta. Ci sarà qualche ragione? Forse c’entrano
certe retribuzioni, certe liquidazioni milionarie? Oppure
il senso di ingiustizia che a volte i clienti delle banche vivono allo sportello? O ancora l’ansia delle tante imprese che cercano credito e non sempre lo trovano? L’Avvenire, il quotidiano della
Cei, chiede alle banche di occuparsi più delle famiglie. Il
cardinale Giuseppe Betori dice che «la crisi riguarda tutti e le
banche non possono tirarsi indietro». Il segretario della Cisl
Raffaele Bonanni invoca una legge che fissi «la funzione
sociale» degli istituti di credito. I consumatori plaudono al voto del Senato, Susanna Camusso invita le banche a usare la stessa
determinazione nella difesa dei propri interessi anche «nel
sostegno di famiglie e imprese».
Il sistema creditizio è chiamato a svolgere un ruolo decisivo per
la ripresa dell’economia, ma anche in questa occasione del voto sulle liberalizzazioni c’è la sensazione di un distacco delle
banche dai bisogni del Paese. C’è subito il ricorso alla minaccia di
scaricare sui clienti i costi delle commissioni azzerate, di gravare
ulteriormente i tassi di interesse, di immaginare ristrutturazioni e
tagli occupazionali. Sono reazioni comprensibili ma eccessive che si aggiungono all’azione, almeno discutibile, condotta dalle banche in questi anni di crisi finanziaria e di recessione economica. Non si tratta di usare gli argomenti e i toni della più retriva propaganda anti-bancaria, ma di fare i conti con le richieste e a volte il dramma delle imprese, con i bisogni delle famiglie, con i
richiami espliciti della Banca d’Italia. Il Governatore Ignazio
Visco, un paio di settimane fa a Parma, ha denunciato il crollo
record dei prestiti in dicembre e ha invitato le banche a evitare
l’asfissia del credito. In dicembre i finanziamenti alle imprese sono crollati di 20 miliardi di euro e un’altra sensibile contrazione sarebbe stata registrata anche in gennaio.
A fronte di questo fenomeno il sistema bancario italiano ha
rastrellato miliardi di euro grazie alle operazioni di
rifinanziamento a lungo termine effettuate dalla Bce. Ci sono state
due maxi operazioni: la prima in dicembre, la seconda questa
settimana. Nei giorni scorsi la Bce di Mario Draghi ha concesso 530
miliardi alle banche europee e gli istituti italiani hanno fatto la
parte del leone raccogliendo 139 miliardi di euro rimborsabili in
tre anni, al tasso dell’uno per cento, assai conveniente come
tutti possono comprendere. I due maggiori gruppi creditizi nazionali Intesa San Paolo e Unicredit hanno riempito le casse. Intesa San Paolo ha raccolto 36 miliardi di euro (12 in dicembre, 24 questasettimana), Unicredit 23,5 miliardi (rispettivamente 13,5 e
10).
C’è da sperare che queste nuove munizioni possano essere presto impiegate non solo per comprare i titoli del debito pubblico, ma soprattutto per sostenere l’economia reale, l’industria, il commercio, le famiglie che certo non possono sognare di accendere un mutuo o un prestito all’uno per cento.

L’Unita, 3 Marzo 2012