economia, lavoro

“Catricalà: “Gli ammortizzatori? Dobbiamo trovare i soldi”, di Luigi Grassia

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio sulla proposta del ministro Elsa Fornero: «Non c’è nessun tesoretto»

Elsa Fornero in una lettera alla Stampa invocava ieri una riforma profonda (ma anche veloce) del mercato del lavoro. Ma c’è un problema di soldi. «I fondi per i nuovi ammortizzatori vanno trovati», dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà: «Non abbiamo un’idea precisa di come finanziarli. Non ci sono tesoretti, non ci sono grandi disponibilità di bilancio». Circolano varie ipotesi: sull’idea di usare i risparmi derivanti dalla riforma delle pensioni, Catricalà osserva che «quei risparmi hanno già parecchie destinazioni». Si può sperare nei «buoni risultati da una lotta all’evasione fiscale, che ci consentirà di creare quel cosiddetto tesoretto che attualmente non c’è. Questo è bene che si sappia: la nostra è una politica di ristrettezze economiche».

Un’altra reazione alla lettera della Fornero è arrivata in giornata da Susanna Camusso: secondo il segretario della Cgil, la riforma degli ammortizzatori sociali «deve allargare le tutele per tutti, non togliere a qualcuno per non dare quasi nulla agli altri. La ministra Fornero sa bene quali sono le questioni sul tavolo: ridurre la precarietà e avere uno schema di risorse per allargare la copertura degli ammortizzatori». La Camusso aggiunge che in Germania, presa a modello dalla Fornero, «esiste il reintegro per i licenziamenti discriminatori, ed è un Paese in cui si investe moltissimo in formazione, ha una cassa integrazione che protegge i lavoratori e ha la riduzione di orario come strumento per intervenire rispetto ai processi di riorganizzazione».

Rispondendo alla lettera del ministro Fornero alla Stampa, il segretario generale del sindacato Ugl, Giovanni Centrella, dice: «Vogliamo credere che il governo abbia ascoltato il sindacato e che stia cercando risorse vere per la riforma del lavoro. L’Ugl vuole farla insieme, ma preferisce sia buona piuttosto che veloce». Per Centrella «in piena crisi non si può chiedere ai lavoratori di accettare altra flessibilità per quanto “buona” e di pagarsi anche ammortizzatori meno generosi di quelli attuali».

Inoltre, incalza Centrella, «senza un parallelo piano di sviluppo per il Paese la “flessibilità buona” rischia di non contribuire a creare nuova occupazione e di produrre solo altra precarietà».
Nella lettera alla Stampa, Elsa Fornero per dare concretezza alle sue proposte cita come esempio quello che si fa in Germania. Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, accoglie lo spunto del ministro ma in una nota argomenta che «il modello tedesco ci sta bene, però prendiamolo tutto, sia pure con gradualità. In Germania nelle grandi imprese i lavoratori partecipano alle decisioni strategiche di investimento. In quel Paese sanno distinguere la buona internazionalizzazione dalla cattiva delocalizzazione che in Italia chiude le imprese e uccide il made in Italy». Damiano insiste: «In Germania la diminuzione dell’orario di lavoro viene utilizzata come strumento che salvaguarda l’occupazione. Infine non dimentichiamo che in Germania per le protezioni sociali lo Stato spende più del 5% del Pil, mentre da noi non si arriva al 2%. Siamo ansiosi di vedere le risorse che il governo metterà sul tavolo del confronto con le parti sociali per aiutare i due modelli ad assomigliarsi».

Chiusura totale da Antonio Di Pietro sull’articolo 18: «I lavoratori non possono essere cornuti e mazziati. La crescita è sotto zero. Che il governo metta questa riforma in testa alle urgenze equivale a una dichiarazione pubblica d’incapacità e di impotenza».

da www.lastampa.it