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"Pdl-Lega, un invito e una minaccia", di Michele Brambilla

A meno di due mesi dalle elezioni amministrative, il centrodestra ha improvvisamente scoperto il grande pericolo: perdere il Nord. Che ne sarà infatti del Nord se Pdl e Lega correranno ciascuno per conto proprio? L’allarme lanciato ieri dal segretario del Pdl Angelino Alfano è figlio dell’incubo che il centrodestra sta vivendo in questi giorni. Solo una settimana fa Alfano aveva detto, anzi annunciato in forma ufficiale, che il suo partito non si sarebbe mai più alleato con la Lega. Dall’altra parte i leghisti erano stati ancora più tranchant. Maroni da mesi ripete che «la Lega correrà da sola», e Bossi è quasi tornato al linguaggio dei bei tempi del «mafioso di Arcore»: lunedì scorso ha detto che il governo Monti è una rapina, nella quale il premier fa la parte del rapinatore e Berlusconi quella del palo.

Proprio il governo Monti è all’origine della spaccatura. Berlusconi ha deciso di appoggiarlo, insieme a centristi e Pd: un po’ per senso di responsabilità, un po’ per interesse personale. Bossi ha invece deciso di osteggiarlo: un po’ per convinzione, un po’ – anche qui – per interesse personale, nel senso che un periodo all’opposizione potrebbe essere rigenerante per la Lega, soprattutto agli occhi dei suoi elettori.

Ciascuno aveva dunque il proprio tornaconto: il Pdl nell’appoggiare Monti in una maggioranza bipartisan, la Lega nello starne alla larga. Ma adesso che si avvicinano le elezioni, sia il Pdl sia la Lega si trovano a sbattere il muso contro una realtà per entrambi sgradevole. E la realtà è che, con Pdl e Lega separati, anche il Nord – da tempo grande roccaforte del centrodestra – rischia di passare con il centrosinistra.

Per questo Alfano, a una sola settimana dal proclama «mai più con la Lega», ieri ha lanciato un appello-invito agli ex alleati, chiedendo loro di non fare in modo che il Nord venga consegnato alla sinistra. Perché lo ha fatto? Certamente nella settimana intercorsa fra il primo e il secondo annuncio sono accaduti fatti importanti. Alfano si è molto irritato per il vertice Severino-Bersani-Casini su Rai e giustizia: non solo si è sentito tagliato fuori, ma ha avuto l’impressione che quell’incontro fosse solo un capitolo di una trappola a lungo termine. Alfano ha pensato che avesse ragione Berlusconi quando sosteneva che con Casini non si va da nessuna parte, e che in fondo il leader dell’Udc punta a un logoramento del Pdl per prendere la guida di un nuovo centrodestra. Questi ragionamenti, uniti ai calcoli sulle prossime elezioni del 6 maggio, lo hanno indotto a tentare un recupero con la Lega.

Ma attenzione. Le parole che Alfano ha rivolto ieri alla Lega («Non consegniamo il Nord alla sinistra») sono al tempo stesso un invito (a ritornare insieme) e una minaccia. La sera del 7 maggio, infatti, per capire chi ha vinto e chi ha perso non conteranno le percentuali prese dai partiti: quelle saranno in gran parte falsate dalla presenza delle varie liste civiche. Ciò che conterà saranno solo le cosiddette «bandierine»: quanti Comuni al centrodestra e quanti al centrosinistra. Il 6 maggio in tutta Italia si vota in ventisette Comuni capoluoghi di provincia. Cinque anni fa, in diciotto di questi ventisette Comuni aveva vinto il centrodestra.

Al Nord erano stati conquistati dall’alleanza Pdl-Lega Alessandria, Asti, Como, Monza, Belluno, Verona, Gorizia e Parma. Il centrosinistra aveva vinto a Cuneo, Piacenza, Genova e La Spezia. Insomma al Nord otto bandierine a quattro per il centrodestra. Adesso, con Lega e Pdl che corrono separati, il risultato potrebbe essere invertito. In teoria, potrebbe finire anche dodici a zero, o qualcosa di simile, per il centrosinistra.

Ecco perché le parole di Alfano alla Lega sono al tempo stesso un invito e una minaccia. Un invito a ripensare la scelta di correre da soli. E una minaccia in questo senso: cari leghisti, sappiate che se perdiamo la battaglia delle bandierine la colpa sarà vostra, e sarete voi – non noi – a doverne rendere conto agli elettori. Nella Lega però pensano l’esatto opposto: che sia stato il Pdl, appoggiando Monti, a rompere l’alleanza. E se ciascuno rimarrà sulle proprie posizioni, ne verrà miracolato un centrosinistra talmente malmesso che può vincere solo su autorete.

La Stampa 11.03.12