cultura

“Chi ha paura di una nuova Rai?”, di Giovanni Valentini

È vero che la riforma della Rai, rispetto all´urgenza della crisi economica e sociale, al debito pubblico e allo spread, al lavoro che manca e ai salari che scendono, in questo momento non è una priorità. Ed è vero anche che la legge sulla televisione tuttora in vigore è stata approvata – diciamo legittimamente – dall´ex maggioranza che aveva vinto le ultime elezioni. Ma è altrettanto vero che la Rai è una priorità da sempre. E che oggi la vecchia maggioranza di centrodestra non esiste più, per cui la famigerata legge Gasparri è ormai orfana, figlia di nessuno, priva di legittimità.
A parte il consolidamento del vecchio duopolio Rai-Mediaset, sopravvissuto nel passaggio dal sistema analogico al digitale, il difetto principale di quella pseudo-riforma consiste nel fatto che trasferisce il controllo della televisione pubblica dal Parlamento al governo. E con ciò, contraddice proprio la sua funzione d´interesse generale: vale a dire quella di garantire – come ricorda l´autore del libro citato all´inizio – il diritto alla libertà d´espressione e d´informazione sancito dalle Carte costituzionali di tutta l´Europa. Non c´è dubbio, perciò, che la necessità di modificare la governance dell´azienda – reclamata a gran voce dal Pd di Pier Luigi Bersani – è chiara ed evidente.
Ma nella situazione in cui siamo, con un governo tecnico o istituzionale che dir si voglia, un tale vulnus potrebbe anche risultare paradossalmente un pregio o un vantaggio. Perché di fatto consegna al presidente Monti e al ministro Passera la facoltà di porre l´imprimatur sul futuro vertice della Rai, al posto di quello attuale in scadenza a fine marzo. Proprio in forza della Gasparri, al governo in carica tocca ora nominare il suo nuovo rappresentante nel Cda; designare il presidente che poi dev´essere formalmente eletto dalla Commissione parlamentare di Vigilanza con una maggioranza qualificata dei due terzi; e, infine, indicare il direttore generale che dev´essere nominato dal consiglio di amministrazione.
È assai improbabile che, in base agli attuali rapporti di forza parlamentari, si possa davvero riformare la Rai con la collaborazione di chi l´ha assaltata, depredata, danneggiata, attraverso un´occupazione manu militari: e cioè, il centrodestra rappresentato oggi dal Pdl. Tanto più che si tratta del partito-azienda che continua a considerare la tv pubblica come il suo principale rivale, avversario, nemico: sia sul piano politico sia su quello pubblicitario e quindi economico. Sarebbe già tanto, perciò, se la mediazione di Monti riuscisse a ottenere una mini-riforma, per ridurre il numero dei consiglieri da 9 a 5, risparmiare i rispettivi emolumenti e soprattutto favorire la composizione di un vertice più omogeneo. In linea, peraltro, con quanto è stato già stabilito per l´Autorità sulle Comunicazioni.
La verità è che, ad aver paura di una nuova Rai, sono proprio il Pdl e Mediaset. Il partito-azienda, perché teme di perderne il controllo politico. L´azienda-partito, perché teme di ritrovarsi un concorrente più agguerrito e competitivo, sul piano della programmazione, dell´audience e quindi della raccolta pubblicitaria. Al momento, nonostante l´erosione dei canali digitali tematici e di quelli satellitari, i sei canali generalisti tradizionali (tre Rai e tre Mediaset) continuano ad attrarre la larga maggioranza dei telespettatori che, nel giorno medio, superano addirittura il 75% del totale (2010).
Nel saggio del professor Richeri per Laterza, c´è anche un capitolo intitolato “Perché un´impresa televisiva pubblica?”. E l´autore, dati alla mano, fornisce un´articolata ed esauriente risposta, rilevando innanzitutto che “il ruolo della pubblicità nel sistema televisivo italiano è centrale, dal momento che genera quasi la metà delle risorse complessive”: 4,324 miliardi di euro, su un totale di 8,976, pari al 48%. Né manca di sottolineare l´anomalia che, rispetto al resto d´Europa, nel nostro Paese tre imprese (Rai, Mediaset e Sky) “controllano quasi il 90% delle risorse totali, mentre il restante 10% è frammentato tra le altre imprese nazionali e locali”. La somma di una tale concentrazione, fra entrate pubblicitarie e abbonamenti, “raggiunge quasi 8 miliardi di euro su un totale di 9”.
Non si tratta, dunque, di intervenire soltanto sulla governance della Rai, per liberarla finalmente dalla morsa della partitocrazia che ne mortifica l´autonomia e l´indipendenza. Ma anche di provvedere alle fonti di finanziamento, per sottrarre l´azienda alla schiavitù dell´audience e restituirla al suo ruolo di servizio pubblico. Quanto al canone, inteso come “tassa di scopo”, è ancora Richeri a rilevare che “il mancato pagamento da parte delle famiglie rappresenta una perdita di circa 600 milioni di euro all´anno, a cui si aggiungono 140 milioni per il canone non pagato dagli enti: una cifra che corrisponde nell´insieme al 30% del bilancio Rai 2010”.
Al governo di Monti e Passera non sfuggirà certamente la dimensione economica – oltreché politica, sociale e culturale – della “questione televisiva”, anche per la sua influenza sullo sviluppo del Paese. La Rai è perciò la prima casella da cui bisogna necessariamente partire.

La Repubblica 17.03.12

******

“Rai, ora spunta l´ipotesi commissario”, di Goffredo De Marchis

Monti vuole un dg con poteri speciali. Ok di Bersani. Il Pdl insorge: anticostituzionale. Ma Passera è convinto che sia meglio rinnovare il cda con i criteri della Gasparri. A notte fonda, poco prima della fine del vertice, Mario Monti riapre i giochi sulla Rai. Lascia capire che tutte le ipotesi sono ancora in campo. Perché il rinnovo dei vertici con la legge attuale, la Gasparri, non lo convinceva ieri e non lo convince oggi. «Viale Mazzini non funziona come deve funzionare un´azienda». Non è solo il suo pensiero: il presidente della tv pubblica Paolo Garimberti condivide e ne è convinto anche Giorgio Napolitano. Palazzo Chigi non esclude perciò il ricorso a un commissario. O meglio, a un direttore generale con poteri ampliati e deleghe piene che sarebbe un “commissario risanatore” in grado di rimettere in sesto l´azienda e i suoi conti. Il termine risanatore richiama subito il nome di Enrico Bondi, ex amministratore straordinario della Parmalat. Oggi è senza incarichi e ha fatto sapere di essere disponibile a prendersi la grana Rai. Per avere il totale controllo della Rai potrebbe diventare presidente-direttore generale, come avviene in altre imprese.
La mossa di Monti ha anche motivazioni tattiche. La Rai non è una priorità, ma anche per la tv vale la regola che il premier si è dato fin dall´inizio. Ricerca della condivisione e l´invito ai partiti a «non polemizzare, ad astenersi da forzature». Come quella di Bersani che ha annunciato il rifiuto del Pd a partecipare alla spartizione. Lo spauracchio di un intervento diretto del governo nelle cose di Viale Mazzini da sempre appaltate alle forze politiche può aiutare a superare i veti incrociati. Pesa tantissimo anche il ruolo di Silvio Berlusconi con il suo immane conflitto d´interessi. Il Pdl punta a mantenere l´attuale assetto, cioè alla conferma di Lorenza Lei al vertice. Pier Ferdinando Casini però indica le tappe che forse il governo si appresta a seguire: fine del mandato dell´attuale Cda, pausa di riflessione per superare la data delle amministrative (metà maggio) e dopo un nuovo giro di tavolo con i partiti. Sarebbe una proroga di fatto per il cda, anche se di breve durata.
Adesso tocca alle forze della maggioranza mandare dei segnali al governo. Ossia trovare una mediazione che offra a Monti una via d´uscita. Ma un problema il premier ce l´ha anche in casa. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico e delle Comunicazioni, è contrario a riaprire il “tavolo”. Dopo aver tentato di commissariare la Rai attraverso il contratto di servizio pubblico che fissa le regole della concessione statale, Passera si è convinto che non ci sia altra strada che la legge Gasparri. Trovare nomi nuovi, azzerare l´attuale vertice ma sceglierne uno nuovo con i criteri in vigore.
Il totonomine gira sempre intorno ad alcuni nomi. Per la presidenza: Piero Angela (che si sfila: «Tutti mi chiedono la disponibilità ma io rendo un servizio migliore alla Rai continuando a fare il mio lavoro») o Giulio Anselmi. Berlusconi ha fatto un sondaggio per Antonio Verro, quasi un atto dovuto dopo che il consigliere aveva rinunciato al seggio della Camera per rimanere nel fortino di Viale Mazzini. In realtà il candidato del Cavaliere è Mario Resca, ex manager McDonald. Per la direzione generale sono in corsa Claudio Cappon, vicino a Passera, il vicedirettore generale Giancarlo Leone, Rocco Sabelli, ex ad di Alitalia. La Lei cerca un difficile bis. Perché la mossa di Monti è soprattutto un messaggio ad Alfano: i vertici vanno cambiati, rimuovete i vostri veti.
L´ipotesi di un super-direttore generale viene accolta con un sorriso da Bersani: «Monti non si è sbilanciato, ma ha ascoltato con attenzione e ha condiviso le preoccupazioni del Pd». La reazione del Pdl invece è un muro. «L´idea di un commissario è incostituzionale. Lo dicono tutte le sentenze. È bene che il governo abbandoni l´avventurismo», attacca Maurizio Gasparri. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto avverte: «Sulla Rai non sono accettabili forzature di alcun tipo».I veti dunque rimangono. E Casini si dice sicuro che «dopo le amministrative ci sarà più serenità». L´idea del commissario serve ora a imporre un passo indietro ai duellanti. Ma che la legge Gasparri non sia gradita a Palazzo Chigi l´altra notte è stato chiarissimo. Per questo un´iniziativa radicale di Monti può andare oltre la tattica.

La Repubblica 17.03.12

cultura

“Chi ha paura di una nuova Rai?”, di Giovanni Valentini

È vero che la riforma della Rai, rispetto all´urgenza della crisi economica e sociale, al debito pubblico e allo spread, al lavoro che manca e ai salari che scendono, in questo momento non è una priorità. Ed è vero anche che la legge sulla televisione tuttora in vigore è stata approvata – diciamo legittimamente – dall´ex maggioranza che aveva vinto le ultime elezioni. Ma è altrettanto vero che la Rai è una priorità da sempre. E che oggi la vecchia maggioranza di centrodestra non esiste più, per cui la famigerata legge Gasparri è ormai orfana, figlia di nessuno, priva di legittimità.
A parte il consolidamento del vecchio duopolio Rai-Mediaset, sopravvissuto nel passaggio dal sistema analogico al digitale, il difetto principale di quella pseudo-riforma consiste nel fatto che trasferisce il controllo della televisione pubblica dal Parlamento al governo. E con ciò, contraddice proprio la sua funzione d´interesse generale: vale a dire quella di garantire – come ricorda l´autore del libro citato all´inizio – il diritto alla libertà d´espressione e d´informazione sancito dalle Carte costituzionali di tutta l´Europa. Non c´è dubbio, perciò, che la necessità di modificare la governance dell´azienda – reclamata a gran voce dal Pd di Pier Luigi Bersani – è chiara ed evidente.
Ma nella situazione in cui siamo, con un governo tecnico o istituzionale che dir si voglia, un tale vulnus potrebbe anche risultare paradossalmente un pregio o un vantaggio. Perché di fatto consegna al presidente Monti e al ministro Passera la facoltà di porre l´imprimatur sul futuro vertice della Rai, al posto di quello attuale in scadenza a fine marzo. Proprio in forza della Gasparri, al governo in carica tocca ora nominare il suo nuovo rappresentante nel Cda; designare il presidente che poi dev´essere formalmente eletto dalla Commissione parlamentare di Vigilanza con una maggioranza qualificata dei due terzi; e, infine, indicare il direttore generale che dev´essere nominato dal consiglio di amministrazione.
È assai improbabile che, in base agli attuali rapporti di forza parlamentari, si possa davvero riformare la Rai con la collaborazione di chi l´ha assaltata, depredata, danneggiata, attraverso un´occupazione manu militari: e cioè, il centrodestra rappresentato oggi dal Pdl. Tanto più che si tratta del partito-azienda che continua a considerare la tv pubblica come il suo principale rivale, avversario, nemico: sia sul piano politico sia su quello pubblicitario e quindi economico. Sarebbe già tanto, perciò, se la mediazione di Monti riuscisse a ottenere una mini-riforma, per ridurre il numero dei consiglieri da 9 a 5, risparmiare i rispettivi emolumenti e soprattutto favorire la composizione di un vertice più omogeneo. In linea, peraltro, con quanto è stato già stabilito per l´Autorità sulle Comunicazioni.
La verità è che, ad aver paura di una nuova Rai, sono proprio il Pdl e Mediaset. Il partito-azienda, perché teme di perderne il controllo politico. L´azienda-partito, perché teme di ritrovarsi un concorrente più agguerrito e competitivo, sul piano della programmazione, dell´audience e quindi della raccolta pubblicitaria. Al momento, nonostante l´erosione dei canali digitali tematici e di quelli satellitari, i sei canali generalisti tradizionali (tre Rai e tre Mediaset) continuano ad attrarre la larga maggioranza dei telespettatori che, nel giorno medio, superano addirittura il 75% del totale (2010).
Nel saggio del professor Richeri per Laterza, c´è anche un capitolo intitolato “Perché un´impresa televisiva pubblica?”. E l´autore, dati alla mano, fornisce un´articolata ed esauriente risposta, rilevando innanzitutto che “il ruolo della pubblicità nel sistema televisivo italiano è centrale, dal momento che genera quasi la metà delle risorse complessive”: 4,324 miliardi di euro, su un totale di 8,976, pari al 48%. Né manca di sottolineare l´anomalia che, rispetto al resto d´Europa, nel nostro Paese tre imprese (Rai, Mediaset e Sky) “controllano quasi il 90% delle risorse totali, mentre il restante 10% è frammentato tra le altre imprese nazionali e locali”. La somma di una tale concentrazione, fra entrate pubblicitarie e abbonamenti, “raggiunge quasi 8 miliardi di euro su un totale di 9”.
Non si tratta, dunque, di intervenire soltanto sulla governance della Rai, per liberarla finalmente dalla morsa della partitocrazia che ne mortifica l´autonomia e l´indipendenza. Ma anche di provvedere alle fonti di finanziamento, per sottrarre l´azienda alla schiavitù dell´audience e restituirla al suo ruolo di servizio pubblico. Quanto al canone, inteso come “tassa di scopo”, è ancora Richeri a rilevare che “il mancato pagamento da parte delle famiglie rappresenta una perdita di circa 600 milioni di euro all´anno, a cui si aggiungono 140 milioni per il canone non pagato dagli enti: una cifra che corrisponde nell´insieme al 30% del bilancio Rai 2010”.
Al governo di Monti e Passera non sfuggirà certamente la dimensione economica – oltreché politica, sociale e culturale – della “questione televisiva”, anche per la sua influenza sullo sviluppo del Paese. La Rai è perciò la prima casella da cui bisogna necessariamente partire.

La Repubblica 17.03.12

******

“Rai, ora spunta l´ipotesi commissario”, di Goffredo De Marchis

Monti vuole un dg con poteri speciali. Ok di Bersani. Il Pdl insorge: anticostituzionale. Ma Passera è convinto che sia meglio rinnovare il cda con i criteri della Gasparri. A notte fonda, poco prima della fine del vertice, Mario Monti riapre i giochi sulla Rai. Lascia capire che tutte le ipotesi sono ancora in campo. Perché il rinnovo dei vertici con la legge attuale, la Gasparri, non lo convinceva ieri e non lo convince oggi. «Viale Mazzini non funziona come deve funzionare un´azienda». Non è solo il suo pensiero: il presidente della tv pubblica Paolo Garimberti condivide e ne è convinto anche Giorgio Napolitano. Palazzo Chigi non esclude perciò il ricorso a un commissario. O meglio, a un direttore generale con poteri ampliati e deleghe piene che sarebbe un “commissario risanatore” in grado di rimettere in sesto l´azienda e i suoi conti. Il termine risanatore richiama subito il nome di Enrico Bondi, ex amministratore straordinario della Parmalat. Oggi è senza incarichi e ha fatto sapere di essere disponibile a prendersi la grana Rai. Per avere il totale controllo della Rai potrebbe diventare presidente-direttore generale, come avviene in altre imprese.
La mossa di Monti ha anche motivazioni tattiche. La Rai non è una priorità, ma anche per la tv vale la regola che il premier si è dato fin dall´inizio. Ricerca della condivisione e l´invito ai partiti a «non polemizzare, ad astenersi da forzature». Come quella di Bersani che ha annunciato il rifiuto del Pd a partecipare alla spartizione. Lo spauracchio di un intervento diretto del governo nelle cose di Viale Mazzini da sempre appaltate alle forze politiche può aiutare a superare i veti incrociati. Pesa tantissimo anche il ruolo di Silvio Berlusconi con il suo immane conflitto d´interessi. Il Pdl punta a mantenere l´attuale assetto, cioè alla conferma di Lorenza Lei al vertice. Pier Ferdinando Casini però indica le tappe che forse il governo si appresta a seguire: fine del mandato dell´attuale Cda, pausa di riflessione per superare la data delle amministrative (metà maggio) e dopo un nuovo giro di tavolo con i partiti. Sarebbe una proroga di fatto per il cda, anche se di breve durata.
Adesso tocca alle forze della maggioranza mandare dei segnali al governo. Ossia trovare una mediazione che offra a Monti una via d´uscita. Ma un problema il premier ce l´ha anche in casa. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico e delle Comunicazioni, è contrario a riaprire il “tavolo”. Dopo aver tentato di commissariare la Rai attraverso il contratto di servizio pubblico che fissa le regole della concessione statale, Passera si è convinto che non ci sia altra strada che la legge Gasparri. Trovare nomi nuovi, azzerare l´attuale vertice ma sceglierne uno nuovo con i criteri in vigore.
Il totonomine gira sempre intorno ad alcuni nomi. Per la presidenza: Piero Angela (che si sfila: «Tutti mi chiedono la disponibilità ma io rendo un servizio migliore alla Rai continuando a fare il mio lavoro») o Giulio Anselmi. Berlusconi ha fatto un sondaggio per Antonio Verro, quasi un atto dovuto dopo che il consigliere aveva rinunciato al seggio della Camera per rimanere nel fortino di Viale Mazzini. In realtà il candidato del Cavaliere è Mario Resca, ex manager McDonald. Per la direzione generale sono in corsa Claudio Cappon, vicino a Passera, il vicedirettore generale Giancarlo Leone, Rocco Sabelli, ex ad di Alitalia. La Lei cerca un difficile bis. Perché la mossa di Monti è soprattutto un messaggio ad Alfano: i vertici vanno cambiati, rimuovete i vostri veti.
L´ipotesi di un super-direttore generale viene accolta con un sorriso da Bersani: «Monti non si è sbilanciato, ma ha ascoltato con attenzione e ha condiviso le preoccupazioni del Pd». La reazione del Pdl invece è un muro. «L´idea di un commissario è incostituzionale. Lo dicono tutte le sentenze. È bene che il governo abbandoni l´avventurismo», attacca Maurizio Gasparri. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto avverte: «Sulla Rai non sono accettabili forzature di alcun tipo».I veti dunque rimangono. E Casini si dice sicuro che «dopo le amministrative ci sarà più serenità». L´idea del commissario serve ora a imporre un passo indietro ai duellanti. Ma che la legge Gasparri non sia gradita a Palazzo Chigi l´altra notte è stato chiarissimo. Per questo un´iniziativa radicale di Monti può andare oltre la tattica.

La Repubblica 17.03.12