cultura

"Un dominus tv che salvi il salvabile", di Giovanni Valentini

Per quanto rilevante ed essenziale sia la questione della Rai, in questo momento non si può considerare tanto decisiva da compromettere il delicato equilibrio su cui si regge il governo Monti. E quindi tanto decisiva da compromettere l´impegno dell´esecutivo per il risanamento. L´economia nazionale viene prima anche della televisione pubblica. Viale Mazzini – rovesciando il motto attribuito a Enrico di Borbone, per giustificare la conversione dalla religione protestante a quella cattolica – non vale insomma una messa.
È evidente tuttavia che, in vista ormai dell´imminente scadenza del Consiglio di amministrazione, una soluzione bisogna pur trovarla senza proroghe o rinvii, per rinnovare il vertice e soprattutto l´assetto dell´azienda. Cioè per affrancarla dalla subalternità politica e restituirla alla funzione istituzionale di servizio pubblico, come continua a sollecitare anche l´Usigrai, il sindacato dei giornalisti, con il suo segretario Carlo Verna. E verosimilmente non c´è governo più autorevole e forte di questo per avviare almeno una bonifica di tale portata.
L´ipotesi del commissariamento di fatto, messa sul tavolo dal professor Monti nel recente vertice dei tre segretari di partito che fanno parte dell´attuale maggioranza, condivisa dal Pd di Bersani e dal Terzo polo prima con Fini e ieri anche con Casini, può corrispondere dunque a una logica di necessità e urgenza, come si dice per i decreti-legge: vale a dire un intervento d´emergenza o di pronto soccorso. Non un commissariamento in senso stretto, per il quale non ricorrono i presupposti giuridici dal momento che ancora quest´anno il bilancio Rai chiude formalmente in pareggio. Ma comunque, in attesa di una riforma organica della “governance”, un rafforzamento delle responsabilità e quindi dei poteri del direttore generale attraverso un ampliamento delle sue deleghe operative.
Nelle mani del presidente del Consiglio, questo può anche essere un deterrente o magari uno spauracchio per indurre il Pdl a più miti consigli. E in ogni caso, al contrario di quanto va blaterando l´ex ministro Gasparri, si tratta di una prospettiva del tutto legittima e costituzionale. È proprio in forza della scellerata legge che reca ancora le sue impronte digitali, infatti, che l´esecutivo è pienamente autorizzato a procedere di conseguenza, nominando ora il nuovo rappresentante del Tesoro all´interno del Cda e modificando in pratica i vecchi equilibri tra l´ex maggioranza e l´ex opposizione.
Fin dai tempi di Ettore Bernabei, del resto, il direttore generale è il “dominus” dell´azienda. Ma è stata la partitocrazia a limitarne sempre più i poteri per legargli le mani e tenere la Rai sotto controllo. Al momento, dunque, il numero uno di viale Mazzini è un manager a sovranità limitata: può fare proposte al Cda, ma deve sottomettersi alle sue decisioni e soprattutto ha un limite di spesa (un paio di milioni di euro) che nel mercato televisivo – dove si trattano produzioni, appalti, compensi e diritti per cifre molto più elevate – rappresenta oggettivamente un “minus” o un impedimento alla sua libertà di azione.
Finora, il direttore generale della Rai ha incarnato – per così dire – la maggioranza di governo e ancor più i voleri dell´esecutivo. Nella fase terminale dell´era berlusconiana, da Mauro Masi a Lorenza Lei, si può dire anzi che sia stato praticamente un funzionario di palazzo Chigi, eseguendo più o meno alla lettera le direttive ricevute dall´alto, disponendo a cascata l´organigramma e smantellando pezzi dell´azienda, fino all´espulsione di tanti collaudati professionisti dalla Rai e alla riprovevole nomina di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1. Tutti danni d´immagine e ancor più materiali, in termini di audience e quindi di raccolta pubblicitaria.
Ben venga, allora, un super-direttore generale dotato di pieni e ampi poteri. Meglio ancora se si trattasse di una figura manageriale con un´esperienza specifica in campo televisivo, magari già conoscitore dell´azienda e dei suoi meccanismi interni. Un commissario straordinario, insomma, in grado di rispondere più ai cittadini, al popolo dei telespettatori e degli abbonati, piuttosto che alla nomenclatura politica.

La Repubblica 19.03.12

******

“L´azienda a un dg interno stop alla greppia dei partiti”, di Antonio Caporale

Napolitano e Monti hanno il potere di chiedere ai politici di non nominare dei meri rappresentanti nel cda. La Rai è stata la grande risorsa del potere maschile: designare, insediare, insidiare corpi di donne. «Se la tua nave sta affondando tenta di attraccarla in porto, ricava dalla sua prua un vascello. Porterai con te meno gente, ma potrai riprendere il largo».
Enrico Mentana non crede però a un Mosè che conduca la Rai fuori dall´Egitto.
«Un commissario esterno farebbe la fine dei professori: parentesi tecnocratica in un corpo allenato al rigetto. Ci vuole un uomo nato a viale Mazzini che faccia il direttore generale e renda normale un´azienda abnorme nelle dimensioni, irriconoscibile nelle capacità di governo, pletorica nella struttura di comando».
Renderla normale significa per caso normalizzarla?
«L´età del berlusconismo ha impedito di fare scelte sagge: normalizzarla allora voleva dire unicamente renderla serva di Mediaset. Ma oggi quel verbo, che non dobbiamo avere timore a promuoverlo nella sua identità letterale, induce solo a riflettere sull´esigenza prima: tenere i conti in pareggio, non affondare nei debiti, non morire».
Lo dice lei ai politici che dovranno presto buttarsi a mare?
«E´ questa è la difficoltà che precede ogni altra. Quel che resta dei partiti possiede quel che resta della Rai. Ogni loro potere è perduto tranne quella piccola fiammella accesa. La Rai finora è stata la greppia per piazzare persone, il posto eletto per i fiduciari politici, anche il luogo di autofinanziamento attraverso la quotazione delle fiction. E infine la grande risorsa del potere maschile: designare, insediare, insidiare corpi di donne. Come fanno oggi a soffiare sopra questo ben di Dio?».
Spegnere questa Rai è spegnere la propria vita.
«Vero. E questi partiti senza più idee e senza futuro se perdono anche la visibilità televisiva finiranno esuli in terra patria. Per alcune sigle politiche la tv è l´unico mezzo per farsi riconoscere. E almeno illudersi che la Rai gli porti vita, non morte».
Stima che gli italiani facciano fatica persino a connettere volto con partito?
«Dico esattamente questo. Con Berlusconi al comando dell´Italia gli spalti erano gremiti da tifosi e si poteva convocare uno Stracquadanio e un De Magistris a ogni ora del giorno o della notte e fare il pieno di ascolti. Un giornalismo pigro vedeva servita a tavola il pasto lauto senza muovere un passo. Adesso tutto cambia».
Il commissario appunto, dicono Casini e Fini. E sembra che Bersani…
«Mah, confermo i miei dubbi. Napolitano e Monti hanno il potere, e forse lo eserciteranno, di chiedere ai partiti di non nominare dei rappresentanti di lista nei consiglio di amministrazione. Forse avremo un direttore generale che comanderà sul serio, come è normale. Questa è la soluzione che mi sembra possibile, praticabile, auspicabile».
Se i partiti hanno le loro colpe, noi giornalisti abbiamo spesso indossato l´abito di chi apparecchia a tavola silente e felice.
«E quale dubbio c´è? Tante carriere si sono costruite senza talento ma nell´attesa, che mai è stata vana, di qualcuno che sorreggesse il tuo corpo e lo conducesse ai piani alti».
Il corpo avvista il naufragio e si ribellerà.
«Ma se per esempio vuoi fare un telegiornale di racconto, come immagina Angelo Guglielmi, non ti serve una redazione infinita. Alla Rai ti diranno che la Rai è servizio pubblico e pertanto l´informazione ha bisogno di essere completa, quindi pesante, larga».
Servizio pubblico: la truffa delle parole.
«Quando cadde l´impero sovietico i cremlinologi si trovarono a parlare una lingua morta. D´un tratto successe. Dobbiamo sopravvivere alle nostre abitudini, alle nostre stesse regole. E´ questo, in definitiva, il piacere ultimo del giornalismo: inventare nuove forme di narrazione».
Anche i talk show perdono ascolti, e anche la sua rete deve provvedere a usare il cervello più che il corpo dei tifosi.
«E´ la conferma che con la pigrizia mentale non si va lontani».

La Repubblica 19.03.12