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"Resta aperto il problema vero: creare più lavoro", di Michele Dau

Resta aperto il problema vero: creare più lavoro. Se c’è la siccità la priorità politica non può essere quella di affidare ad un gruppo di professori di idraulica la razionalizzazione delle tubature, dei depositi idrici, delle valvole e dei rubinetti. Urge avere più acqua a disposizione. Fuor di metafora se manca il lavoro, se l’occupazione si riduce, concentrarsi solo sulle regole e i meccanismi è molto tecnico ma assai poco politico. Il governo tecnico si appresta alla fase conclusiva dopo un lungo confronto che, impostato in modo accademico, è atterrato su proposte regolatorie fuori da un progetto complessivo per il paese. Dopo l’impatto timido delle liberalizzazioni questa è un’altra risposta debole.
Si può fotografare così la situazione che si è creata, rispetto alla quale occorre una lucida valutazione politica. La disoccupazione ha superato il 9 per cento. Quella dei giovani e delle donne è uno su tre e una su due. Il mercato del lavoro è stato indebolito e precarizzato. Lo stesso lavoro è stato posto in secondo piano. Le nostre piccole imprese, i nostri distretti produttivi sono stati lasciati soli, senza politiche di vero supporto all’integrazione, all’innovazione, all’esportazione. Le misure a sostegno della domanda interna sono state saltuarie, perché vi era un odio ideologico verso un approccio che aveva caratterizzato i governi centrosinistra. I rapporti con le forze sociali e la società civile organizzata sono stati disarticolati e, in molti casi, anche mercenarizzati.
Il risultato è che oggi non solo non c’è crescita ma c’è recessione. Abbiamo di fronte il periodo più duro da attraversare.
La situazione odierna non è figlia di un destino ingrato o del caso, ma è stata pesantemente causata e aggravata da circa un decennio di inadeguati governi del centrodestra. All’inizio degli anni duemila la crescita è stata debolissima. Dal 2008 al 2011 il quadro ha assunto tinte fosche con la crisi a lungo negata e una propaganda ossessiva sul fatto che il paese, comunque, teneva.
Grazie alla cassa integrazione (oltre 20 miliardi spesi), al lavoro nero reclamizzato. Grazie ad una ardita contabilizzazione dei patrimoni e dei risparmi privati che, divisi per il totale delle famiglie, determina una media importante. Ma che dimentica che la gran parte della ricchezza reale è concentrata nel 20 per cento delle famiglie. Dunque narcosi assistenziale e propaganda mediatica senza scrupoli. La spesa pubblica corrente è cresciuta senza controlli e qualità. Gli investimenti pubblici reali sono crollati.
La nostra politica europea è stata accantonata privilegiando relazioni bilaterali amicali con la Bielorussia, con la stessa Federazione Russa, con la Libia. La ex maggioranza si è preoccupata, con una certa ansia, anche dei familiari di Mubarak. Quando il governo Berlusconi alla fine ha mollato il parlamento era in una condizione di stallo, perché non vi era una maggioranza politica alternativa. Una larga palude, fatta di nominati senza qualità, di chi cerca comunque la ricandidatura o solo il vitalizio, impediva ogni dinamica politica parlamentare che per decenni ha assicurato una forte governabilità.
Un paese seduto guarda la conclusione di questo confronto sul mercato del lavoro che non porta lavoro e neanche speranze concrete, ma aiuta a far crescere il numero dei disoccupati e dice ai giovani che ci potranno essere condizioni contrattuali migliori per loro se e quando ci sarà lo sviluppo. Certo, non tutte le misure proposte sono sbagliate. Molte sono razionali e chirurgicamente pragmatiche. Il confronto parlamentare potrà migliorarle. Rimane però interamente aperto il problema vero: creare più lavoro, specie per i ragazzi. Inserirli rapidamente nella società, anche con salari più contenuti se necessario, ma inserirli stabilmente. Devono dare le loro energie per lo sviluppo e la competitività, e devono anche avere cittadinanza in un sistema sociale e previdenziale chiaro. Questo vale anche per l’occupazione femminile. Così come vale per chi ha più di cinquant’anni e si troverà fuori dall’azienda. Il mercato da solo non può risolvere questi problemi, e neanche l’assistenzialismo.
Paesi socialmente più avanzati e organizzati di noi li affrontano con un mix di politiche attive mirate e oculate, con il partenariato pubblico-privato, con un coinvolgimento più forte delle organizzazioni sociali e del terzo settore, con la valorizzazione dello spirito comunitario e di responsabilità sociale. Poi occorre accelerare le iniziative in mano alle pubbliche amministrazioni centrali e locali, per spendere le risorse già stanziate, per rendere più efficiente e produttiva la spesa. Così come occorre stimolare le categorie produttive ad assumere loro stesse una maggiore responsabilità nella lotta senza quartiere da condurre all’evasione fiscale.
Il governo si presenterà senza lavoro, con le sue proposte e i suoi verbali notarili al parlamento. Si sta per aprire una fase di importante campagna elettorale locale. Bisognerà ricordarsi di spiegare ai cittadini perché siamo finiti così e di chi sono le vere responsabilità. Ma bisognerà anche adoperarsi perché la politica prenda il sopravvento, senza tifare ingenuamente per le razionali attività dei professori di idraulica. Il presidente Napoletano ha richiamato l’austerità. Ci siamo dentro fino al collo. Ma spetta ai partiti e alla politica dare un senso e una prospettiva a questa difficile fase.

da Europa Quotidiano 22.03.12