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Quel sogno di Giorgio “Una donna sul Colle”, di Filippo Ceccarelli

Dopo di me una donna. Il diluvio può attendere, e con l´auspicio semiconfidenziale dell´odierno presidente della Repubblica il sogno in rosa di una donna al Quirinale fa un altro passettino nella sua lunga, ma al dunque assai povera storia politica e di civiltà. Perché frugando nel passato remoto si scopre che agli albori della Repubblica, per la precisione il 28 giugno del 1946, quando cioè Enrico De Nicola venne eletto alla suprema magistratura dello Stato, 32 parlamentari dell´Uomo Qualunque avevano in realtà votato per una donna: con il che, all´annuncio dei risultati il profetico fondatore di quel pittoresco movimento, Guglielmo Giannini, si chinò platealmente a baciare la mano della senatrice Ottavia Penna, figlia di una baronessa e moglie di un medico, neosenatrice di Caltagirone.
Per dire le reazioni, racconta Vittorio Gorresio ne I moribondi di Montecitorio (Longanesi, 1946) che il giorno dopo un quotidiano commentò: “Lo scherzo dei qualunquisti non è sembrato spiritoso a nessuno”. Ma Giannini a sua volta replicò che non era uno scherzo, e anzi quel voto andava inteso come “un´affermazione di principio” – e anche piuttosto lungimirante, considerato il mezzo secolo e più che dovette trascorrere perché l´ipotesi di una donna a Capo dello Stato rientrasse nel dibattito politico.
Nel frattempo ci furono, è vero, delle signore generalmente ritenute all´altezza di quella funzione. Una fu la democristiana veneta Tina Anselmi, per tanti versi considerata l´erede naturale di Pertini; e un´altra Nilde Jotti, comunista emiliana e compagna di Togliatti, per due legislature ottima presidente dell´assemblea di Montecitorio, nonché candidata di bandiera del Pds al Quirinale nel 1992.
Non che si possano trascurare le lotte per l´emancipazione e il movimento delle donne nell´esito di questi cinquant´anni. Ma occorre pur sempre riconoscere che la questione ritornò se non all´ordine del giorno del potere, almeno all´attenzione del sistema mediatico, per merito di un uomo. E ciò accadde nel settembre del 1998 allorché Giuliano Amato, sia pure con la sintomatica premessa che non si trattava di una “provocazione”, comunicò alla platea quasi tutta maschile di Cernobbio che a suo giudizio era arrivato il momento di eleggere una donna al Quirinale.
Alcuni mesi dopo di nuovo Amato – come ricorda Giovanna Casadio nella sua intervista con Emma Bonino dal titolo I doveri della libertà (Laterza, 2011) – trovò un modo polemicamente colorito per ritornare su quell´argomento così liquidando le inconfessabili reazioni raccolte: “Neanche avessi proposto un coleottero al Quirinale” (altra e più offensiva lectio: uno “scarafaggio”).
Ma a quel punto si era già ampiamente compreso che non era un´idea assurda né provocatoria, o meglio non lo era più, in questo mostrandosi la società più avanti della sua classe politica. Sta di fatto che alla fine del secolo i rilevamenti demoscopici indicavano una notevole quota di favorevoli, oltre il 40 per cento, mentre il 39 per cento del campione dichiarava di essere del tutto indifferente all´eventualità che successore di Scalfaro fosse di sesso maschile o femminile.
L´attenzione si concentrò quindi su due figure. La popolare Rosa Russo Jervolino, allora ministro dell´Interno, e la radicale Emma Bonino, impegnata nella Commissione europea. Se la prima appariva interna ai giochi del circuito politico e in particolare all´alleanza tra D´Alema e il Ppi, attorno a “Emma for president” si dispiegò un´efficace campagna trasversale (da Tremonti a Pasquino a Montanelli) e di marketing (con tanto di sponsor), che la faceva soggetto di un presidenzialismo anche maggioritario nei sondaggi, ma del tutto virtuale.
Inutile ricordare che al dunque venne eletto Ciampi. E che la storia procede di solito con infinita lentezza, salvo improvvisi balzi che però in genere si capiscono solo dopo che sono stati compiuti.

La Repubblica 25.03.12