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"Fecondazione assistita. In Italia la Legge 40 fa ancora paura", di Jolanda Bufalini

Ufficialmente ogni anno circa 4mila coppie scelgono di andare all’estero. Ma le stime indicano almeno il doppio. Spagna, Austria Repubblica Ceca, Svizzera e Ungheria le mete più ambite. 90 Sono i centri esteri contattati per l’indagine dell’Osservatorio «turismo procreativo». 39 sono invece quelli che hanno dato una risposta. Molto spesso gli istituti per questione di privacy e affari preferiscono non rispondere.
4000 il numero verificato delle coppie italiane che si sono recate con all’estero per la procreazione assistita.
8000 almeno il numero presunto, poiché più della metà dei centri non ha ritenuto di rispondere all’indagine.
1989 fra quelli censiti, il numero dei trattamenti eterologhi. 950 in Spagna, 630 in Svizzera, 204 in Repubblica Ceca, 110 in Belgio, 60 in Grecia, 12 in Austria, 11 in Gran Bretagna, 5 in Danimarca, 5 in Ungheria, 2 in Russia.
1956 il numero dei trattamenti omologhi che si potrebbero anche fare in Italia.

Le coppie che hanno problemi ad avere figli continuano a emigrare per ottenere trattamenti di fecondazione assistita, nonostante le sentenze della Corte Costituzionale che nel 2009 hanno molto alleggerito le durezze della Legge 40. Quasi la metà delle coppie censite (4mila) va in Spagna, Repubblica Ceca, Svizzera, Austria o Ungheria per sottoporsi a trattamenti di fecondazione omologa (spermatozoi e ovociti della coppia) che potrebbe fare in Italia.
Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio, spiega che spesso la causa di queste trasferte è da ricercarsi «nell’ignoranza che ancora circonda le norme sulla procreazione assistita in Italia». Molte coppie, per esempio, vanno all’estero per la diagnosi prenatale. Non è vietata in Italia ma era di fatto inutile quando non c’era la possibilità di congelare gli embrioni.
La Consulta ha posto rimedio a questa situazione stabilendo che sulle metodologie i medici «agiscono in scienza e coscienza», nei centri certificati c’è dunque la possibilità del congelamento degli embrioni ma per molte coppie la scelta si basa sul passaparola o sulla pubblicità in italiano dei siti, d’altra parte, gli stessi ginecologi sono poco informati, con conseguenze che possono presentare dei rischi perché spesso la meta è scelta in base alla vicinanza (Austria, Svizzera), alla possibilità di trovare personale che parli italiano, piuttosto che agli effettivi riconoscimenti scientifici ottenuti dall’istituto. C’è poi una difficoltà oggettiva nel valutare i risultati dei singoli centri. Alcuni, ad esempio, vantano un’alta percentuale di successi ma poi si scopre che respingono i casi più difficili e questo falsa le statistiche.
Per Carlo Flamigni c’è innanzi tutto un problema di «proteggere queste persone nei loro diritti» e usa un neologismo per spiegarsi: «All’estero c’è più tronfismo che in Italia», cioè i «medici sono tronfi e non rispondono alle domande e ai dubbi di chi si rivolge loro, limitando la libertà di scelta», in un settore molto delicato. Nella fecondazione eterologa, ad esempio, dice Flamigni, «in Spagna arrivano, per motivi economici, donne dall’Argentina e dalla Russia ed è più difficile conoscere la storia medica di queste persone e la possibilità di malattie ereditarie come il diabete». In Francia, nel caso degli embrioni congelati, «si prevede la verifica dell’Aids ma in molti altri paesi non si fa questo accertamento».
Da rilevare c’è anche che la gran parte dei centri interpellati, soprattutto fra quelli che hanno molti clienti italiani, ha deciso di non rispondere alle domande dell’Osservatorio. Cosa che, oltre a mettere in luce la concorrenza nel settore, fa supporre che le coppie che vanno all’estero siano almeno il doppio, 16mila persone.
Il turismo procreativo ha un altro settore di grande delicatezza, quello dell’utero in affitto, vietato dalla legislazione italiana. Spiega Andrea Borini, che ha lavorato a lungo in California: «Negli Stati Uniti sono i medici a prescriverlo quando una donna non è in condizioni fisiche di portare avanti la gravidanza. E lì i protocolli sono molto chiari e precisi». Vi sono paesi la cui legislazione permette la gravidanza per interposta persona che ammettono anche coppie o single che vengono da paesi dove la legge non lo consente, altri paesi che non li ammettono ma il divieto è facilmente aggirabile.
L’Osservatorio per la prima volta ha tentato quest’anno un’indagine quantitativa sull’utero in affitto. Il flusso degli italiani che partono per questa ragione è stato più volte stimato in un centinaio l’anno. La ricerca presentata ieri si basa su 33 centri o agenzie contattati i 7 paesi, Stati Uniti, Ucraina, Armenia, Georgia, Grecia, Russia, India. Non tutti hanno risposto, oppure lo hanno fatto senza dare cifre, come un centro Usa: «Abbiamo notato un aumento del 100% di coppie e single provenienti dall’Italia». Sulla base delle risposte pervenute almeno 32 coppie hanno fatto richiesta della maternità surrogata, 18 in Russia, 9 in Ucraina, 5 in Georgia e Armenia. La delicatezza del tema sta anche nel fatto che ci sono paesi come l’India dove la diffusione dell’utero in affitto è legato a condizioni di estrema povertà. Carlo Flamigni: «Ci sono modi migliori di regolare queste situazioni, invece dell’affitto c’è la donazione che è un atto d’amore di una sorella o di una parente stretta».

L’Unità 29.03.12