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“I calcoli sbagliati (per difetto) su chi perde pensione e stipendio”, di Enrico Marro

Un pasticcio. Difficile trovare un’altra definizione per la vicenda degli «esodati», brutta parola che sta a indicare quelle persone che, dopo la riforma della previdenza, rischiano di restare senza stipendio e senza pensione. È un fenomeno che si verifica ogni volta che una riforma innalza i requisiti pensionistici. Succede che i lavoratori che nel periodo immediatamente precedente hanno lasciato il lavoro, spesso con incentivi aziendali in attesa della pensione che sarebbe arrivata da lì a poco, si ritrovano improvvisamente con le regole del gioco cambiate e con il traguardo previdenziale spostato in avanti di alcuni anni. Per questo, di solito, la legge prevede delle clausole di salvaguardia che consentono, a precise condizioni, a questi lavoratori di andare in pensione con le vecchie regole. Anche questa volta è stato così, solo che a differenza del passato, la riforma Fornero prevede un aumento dei requisiti per la pensione senza precedenti e quindi la salvaguardia inizialmente tarata su 65 mila persone si è rivelata insufficiente.
La norma stabilisce, tra l’altro, che potranno andare in pensione i lavoratori in esubero secondo accordi di ristrutturazione firmati da aziende e sindacati entro il 4 dicembre scorso e quelli che in seguito a dimissioni volontarie (gli esodati, appunto) hanno lasciato il lavoro entro il 31 dicembre 2011 e matureranno il primo assegno di pensione entro il dicembre 2013. Secondo i calcoli che furono fatti al momento della riforma, a dicembre, i lavoratori da salvaguardare sarebbero stati 65 mila. E su questa platea furono stanziate le risorse per coprire l’erogazione delle pensioni secondo le vecchie regole. Ma sono bastate poche settimane per rendersi conto che in realtà gli interessati sarebbero stati molti di più. Solo considerando i lavoratori in mobilità e mobilità lunga secondo gli accordi chiusi entro il 4 dicembre e quelli a carico dei fondi di solidarietà di settore, tipo i bancari, il numero dei 65 mila è già esaurito. Ma il punto è che gli accordi, anche se stipulati lo scorso dicembre, prevedono spesso la messa in mobilità pure negli anni successivi e anche questi lavoratori vanno tutelati. Senza considerare che la norma tutela genericamente anche i lavoratori ammessi alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre scorso, che sono un numero sterminato se non interverranno interpretazioni limitative. Sono quindi cominciate a circolare le stime più diverse da 100 mila a più di 300 mila.
Fatto sta che il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha chiesto all’Inps di svolgere un monitoraggio per stabilire quanti sono gli esodati, in vista del decreto annunciato per giugno che, a questo punto, dovrà prevedere anche nuove risorse, se non altro per fornire almeno un mini sussidio (è questa una delle ipotesi che circola) ai lavoratori che dovessero rimanere fuori dalla possibilità di andare in pensione con le vecchie regole e che altrimenti resterebbero per qualche anno senza stipendio e senza pensione. «Trovo scandaloso che Inps e governo non siano in grado di quantificare il problema», ha detto ieri la leader della Cgil, Susanna Camusso. Sempre ieri il Pd ha lanciato un’offensiva parlamentare denunciando che gli esodati sarebbero 357 mila, come ha detto l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, e presentando ben 18 interrogazioni al governo su altrettanti casi di lavoratori esodati oppure vittima della norma sulle ricongiunzioni onerose, altra questione che riguarda decine di migliaia di persone.
Le ricongiunzioni onerose si verificano a carico di coloro che, avendo lavorato sia nel pubblico sia nel privato, chiedono all’Inps di unire presso questo stesso istituto i contributi prima versati all’Inpdap ai fini di avere una sola pensione. La cosa si può fare, ma solo se il lavoratore paga all’Inps gli oneri di ricongiunzione che possono arrivare, nei casi più clamorosi, a centinaia di migliaia di euro.
Almeno due le richieste del Pd, delle opposizioni e dei sindacati, che scenderanno in piazza a Roma il 13 aprile. Uno: spostare il termine degli accordi salvaguardati dal 4 al 31 dicembre. Due: considerare nella deroga anche gli esodati che matureranno i nuovi requisiti pensionistici nei prossimi due anni (al netto quindi della finestra di un anno). Quanto alle ricongiunzioni, dice Damiano, «noi siamo anche disposti al fatto che la pensione si calcoli pro quota in base ai contributi versati nelle diverse gestioni, ma non è possibile che si chieda, come ora, di ripagare i contributi già versati».

Il Corriere della Sera 30.03.12

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