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"Il governo alla prova di leadership", di Bill Emmott

A luglio l’Italia si troverà davanti a un’opportunità e al contempo a una responsabilità. Un’opportunità per dimostrare la sua capacità di leadership dinanzi all’Europa, un’opportunità per avviare qualcosa che potrà essere ricordata come una fase importante e popolare del progetto europeo. Ed è un’opportunità, inoltre, per lanciare, o meglio rilanciare, qualcosa che aiuterebbe molto l’imprenditoria e le famiglie italiane, oltre ad essere la risposta più seria e pratica che il Vecchio continente può dare ai piani di Vladimir Putin in Ucraina.

Questo «qualcosa» è quello che può essere chiamato «Unione energetica» europea. E l’opportunità in questione è la presidenza di turno del Consiglio dei ministri europeo, che durerà per sei mesi a partire dall’1 luglio.

Questa presidenza di turno di sei mesi di solito viene inaugurata con annunci e dichiarazioni relative ad ambiziose intenzioni, specialmente davanti ai mezzi di informazione nazionali, che sottolineano l’importanza del ruolo assunto. Proclami che vengono puntualmente dimenticati a causa del pantano di summit noiosi, comunicati sciatti e progressi compiuti a passo di lumaca. Per ora, la presidenza di turno italiana sembra aderire a questo percorso già visto.

In realtà non lo deve essere necessariamente. I sei mesi di presidenza, durante i quali l’Italia avrà un ruolo primario nel dettare l’agenda di lavori per l’Europa, inizierà sulla scia dei risultati delle elezioni europee che si terranno tra il 22 e il 25 maggio. L’esito delle urne, se i sondaggi si dimostreranno attendibili, porterà a un risultato positivo per Matteo Renzi, ma sembrano destinati ad essere piuttosto negativi per l’Unione europea nel suo complesso. Questo a causa del rafforzamento dei partiti euroscettici, come il Fronte nazionale in Francia, l’Independence Party in Gran Bretagna, e il Freedom Party in Olanda, determinati ad occupare una gran parte di seggi nel Parlamento europeo. Se le previsioni dovessero essere confermate, questo peserebbe sullo spirito europeo, con pesanti ricadute sulla stessa agenda di lavori.

Questi voti anti-europeisti riflettono la lunga recessione e gli alti tassi di disoccupazione. Ma soprattutto sono il riflesso di quel clima di disillusione nei confronti dell’Unione europea che è cresciuta in un decennio ed oltre. Molte persone oggi sembrano convinte che l’Ue sia senza una direzione ed incapace di realizzare qualsiasi passo in avanti volto a migliorare il livello di vita del popolo, o ancor peggio, che possa essere addirittura funzionale agli interessi di una élite di politici, banchieri e grandi imprese a danno della gente comune.

Prima che le vicende ucraine precipitassero, con l’invio delle truppe al confine e le forze speciali di Mosca in azione all’interno del Paese, si sentiva spesso dire, con un retrogusto di amarezza, che era tragicamente ironico che molti europei perdevano affezione nei confronti dell’Ue proprio in un momento in cui tanti cittadini ucraini, nelle proteste contro Kiev, manifestavano il loro amore per le idee e i valori che l’Ue rappresentava.

Da allora, con l’annessione della Crimea alla Russia e la ribellione nell’Ucraina orientale, l’Ue si è dimostrata sempre più impotente. I suoi moniti e avvertimenti non hanno sortito nessun effetto. Le sue imprese non vogliono perdere commesse e affari con la Russia. E nel complesso siamo troppo dipendenti dalla Russia per le forniture di energia da poter rischiare una seria rottura delle relazioni con Mosca.

In un quadro di questo tipo cosa può fare l’Italia in occasione dei summit europei che si terranno durante la presidenza di turno? Certo non può fare miracoli, ma può avviare un processo in grado di migliorare la sua immagine in Europa e, nel medio termine, rafforzare l’economia nazionale.

L’energia è sempre stata un ottimo fattore potenziale di cooperazione e integrazione europea. Condividiamo la necessità di approvvigionamenti sicuri al prezzo più conveniente possibile. Condividiamo la necessità di ridurre le emissioni nocive per tutelare l’ambiente, e produrre più energia attraverso fonti pulite e rinnovabili. Condividiamo la necessità di rendere le nostre reti di distribuzione il più efficienti possibile, e al contempo di assicurare la fornitura di energia anche quando c’è poco vento o il sole non splende quanto dovrebbe.

Un mercato unico dell’energia, la competizione del settore, i vantaggi delle economie di scala assicurate da una rete europea, il potere legale di impedire la concessione di sussidi nazionali che alterano la concorrenza: questi sono stati gli strumenti tradizionali della cooperazione europea, usati nella Comunità per il carbone e l’acciaio degli Anni Cinquanta, così come la campagna contro i sussidi degli Anni Ottanta, il mercato unico degli Anni Novanta, o la politica dei «cieli aperti» sempre negli Anni Novanta. Come la Commissione europea ha ribadito a più riprese, l’energia sarebbe dovuta essere uno dei grandi progressi dell’Ue nello scorso decennio.

Ma non lo è stato. Ci sono di fatto tre ragioni che hanno contribuito a questo fallimento. La prima è che gli investimenti energetici sono costosi. Ma una ragione ancor più forte è che le imprese energetiche nazionali sono assai potenti e fortemente legate alla politica, tanto da poter bloccare ogni progresso. Una terza ragione è che la strada verso le energie rinnovabili ha dovuto convivere spesso con la concessione di sussidi nazionali che frammentano il mercato piuttosto che unificarlo, proprio come un tempo facevano per le auto o l’acciaio. E questo ha reso le imprese energetiche ancora più bramose di bloccare il progetto di un mercato comune europeo dell’energia.

Ora comunque, l’Italia ha un’opportunità e una responsabilità. L’opportunità di utilizzare la crisi ucraina per costruire quel consenso politico necessario a togliere di mezzo gli ostacoli. I giganti energetici italiani, come Eni ed Enel, sono stati d’impedimento così come i giganti tedeschi e di altri Paesi. Così se l’Italia vuole rilanciare il progetto di un’unione energetica, le sarebbe di aiuto rimediare alla crescente impressione di non voler scontentare Eni o la Russia per vili ragioni commerciali.

E’ una responsabilità perché l’Europa ha un estremo bisogno di compiere progressi sul fronte energetico. La dipendenza dalla Russia per un terzo delle nostre forniture di gas naturale è una seria debolezza. E nonostante il fatto di essere circondati da fornitori di carbone, gas e petrolio, i nostri prezzi dell’energia elettrica sono due o tre volte superiori a quelli americani. In Italia i prezzi dell’elettricità, sono i più elevati del club dei 34 Paesi industrializzati dell’Ocse.

Ed è una responsabilità ancor maggiore, perché l’Europa ha bisogno di leadership, anche per dimostrare ai propri cittadini che l’Ue è in grado di portar loro vantaggi politici, economici e sociali. La fornitura di energia sicura e a basso costo, attraverso un mercato unico e competitivo, interconnesso da una rete di distribuzione super-efficiente grazie alla quale l’elettricità può essere fornita dalla società in tutta Europa, è l’esempio eccellente e più potente di quello che l’Ue può fare.

Qualcuno tuttavia deve far sentire la sua voce, deve gridare per far comprendere questa necessità e per rilanciarla, al fine di creare pressioni sulla Germania e altre nazioni affinché mostrino un atteggiamento serio sull’Unione energetica. A luglio l’Italia avrà l’opportunità di fare esattamente questo.

La Stampa 04.05.14