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"Nostra Signora Televisione", di Ilvo Diamanti

Nostra Signora Televisione. Guardata con sospetto e con distacco. Un old medium . In altri termini: vecchio. Se non superato, in declino. Vuoi mettere internet? I social media? Twitter e Facebook? Vuoi mettere Beppe Grillo e il suo blog? Capace, con la regia di Casaleggio, di sbancare, alle elezioni del 2013? E di continuare la corsa anche in seguito? Fino a lasciar pensare a una replica, almeno, alle Europee del prossimo 25 maggio? La televisione. Una signora. Ma irrimediabilmente vecchia. Soprattutto i canali generalisti di Rai e Mediaset, con La7 a traino. Il duopolio imperfetto degli ultimi trent’anni. A reti unificate. Eppure… Tutti scalpitano, impazienti, per irrompere nei programmi tivù di RaiSet — e della 7. Tutti i leader politici che contano. E, a maggior ragione, quelli che contano di meno. Perché per contare occorre ricorrere a Nostra Signora Televisione.
Per questo motivo Berlusconi, nell’ultima settimana, ha fatto irruzione in tutte le reti. E in molti programmi di informazione di prima serata. Dal Tg4 a Studio Aperto, al Tg2. E ancora: da “Porta a Porta” a “Piazza Pulita”, da “Virus” a “In ½ ora”… Una presenza tanto costante e intensa da sollevare l’attenzione dell’Agcom (come ha documentato, ieri, un ampio servizio su Repubblica ). D’altronde, la ripresa (per quanto relativa) di Berlusconi, alle elezioni di un anno fa, era trainata dalla partecipazione a uno spazio ostile: “Servizio Pubblico”. Il talk guidato da Santoro insieme a Travaglio. Icone, più che portabandiera, dell’anti-berlusconismo. L’irruzione di Berlusconi, il Nemico Pubblico, aveva fatto salire gli ascolti fino a livelli mai raggiunti — né prima né dopo. Dal programma e dalla rete. Ma aveva anche permesso al Cavaliere di contrastare la sconfitta annunciata. Di esibire la propria determinazione a “resistere, resistere, resistere”… Per echeggiare una frase famosa, usata dal magistrato Francesco Saverio Borrelli, nel gennaio 2002, con un fine opposto. Cioè, contro Berlusconi. All’epoca, Presidente del Consiglio.
In questi giorni, però, anche Beppe Grillo ha ripreso a frequentare la tivù. Ieri sera ha concesso una lunga intervista a SkyTg24. Ma, soprattutto, sembra stia negoziando la partecipazione al programma che, più di ogni altro, simboleggia il legame fra informazione televisiva e sistema politico. “Porta a porta”. Il talk presentato — e diretto — da Bruno Vespa. Trent’anni dopo, visto il precedente del 1983. In occasione, non a caso, della serata dedicata da Rai Uno alle elezioni (politiche, in quell’occasione). Grillo, che tratta televisioni, giornali e giornalisti come “nemici”. Come i partiti. In quanto “mediatori” della comunicazione e della democrazia. Che egli concepisce in forma “diretta” e “im-mediata”. Oltre ogni rappresentanza. Grillo che, sul proprio blog, esibisce alla pubblica riprovazione i giornalisti infedeli — al loro compito. E, dunque, a suo avviso, pre-venuti: contro il M5s. Proprio lui, Beppe Grillo: da Vespa. Dopo aver polemizzato contro lo spazio riservato a Renzi e agli uomini del Pd e del governo. Nelle reti televisive nazionali. Mentre altri soggetti politici, meno accreditati, dal punto di vista elettorale, protestano contro la propria marginalità (esclusione?) mediatica. In particolare, la sinistra dell’Altra Europa.
Dunque: la televisione, nonostante tutto. Impossibile farne a meno, se si ha l’ambizione di “vincere”, o almeno di “esistere”, alle elezioni. Perché le scelte degli elettori si definiscono proprio lì. E perché, soprattutto lì, si risolve l’incertezza. Maturano le decisioni degli indecisi. Che sono ancora molti. Oltre un terzo, secondo i sondaggi. D’altronde, alle Europee la partecipazione elettorale è, strutturalmente, più bassa. Nel 2009, in Italia, votò il 66% degli aventi diritto. Peraltro, livello fra i più alti in Europa. Ma è facile immaginare che, in questa occasione, l’affluenza alle urne scenda ulteriormente. Così diventa essenziale andare in tivù. D’altra parte, se facciamo riferimento alle elezioni politiche del 2013, quando l’attenzione appariva molto maggiore di oggi, possiamo osservare come quasi un quarto degli elettori abbia deciso se e per chi votare nel corso dell’ultima settimana (come mostrano le indagini di LaPolis, presentate nel volume Un salto nel voto , pubblicato da Laterza). La maggioranza, il 13% dei votanti, nei giorni
delle elezioni. Il 90% degli elettori, peraltro, afferma di aver seguito la campagna elettorale (guarda caso…) proprio in televisione. Meno della metà, il 40%, attraverso internet. Secondo Ipsos, circa il 55% utilizza la tivù per informarsi sulle elezioni anche in questa fase. Il che significa la maggioranza di tutti gli elettori e di tutti gli elettorati. Compreso il M5s. Il soggetto politico, peraltro, che, alle elezioni del 2013, ha allargato maggiormente la propria base elettorale proprio nell’ultima settimana. Nel corso della quale ha conquistato circa il 30% dei suoi elettori.
Per questo la televisione resta il vero “campo” della campagna elettorale. Il più conteso e il più combattuto. Perché il più influente. D’altronde, secondo l’Osservatorio di Demos-Coop del dicembre 2013, l’80% degli italiani si informa ogni giorno attraverso la tivù. Circa il 47% su internet. Il “mezzo” di informazione che ha registrato il maggior grado di crescita, negli ultimi anni. Dal 2007, infatti, è quasi raddoppiato. Tuttavia, resta ancora un medium molto delimitato, dal punto di vista degli utenti. Ne restano, infatti, largamente escluse le persone più anziane e meno istruite. Cioè, le più incerte. Le più difficili da contattare e, quindi da convincere. Anche perché, nel corso degli anni, hanno perduto fiducia nella politica, nei politici e nelle istituzioni. (E uno spettacolo osceno, come quello messo in scena prima della finale di Coppa Italia, a Roma, in diretta tivù, non può che aver moltiplicato questo sentimento.) Ebbene, per raggiungere e spingere gli elettori indecisi a votare — magari contro, per rabbia e delusione — ci vorrebbero contatti diretti. Personali. Con amici, conoscenti, familiari. Per sfidare la sfiducia ci vorrebbero persone di cui ci si fida. Ci vorrebbe la politica sul territorio. Come un tempo. Quando i partiti erano dentro la società, confusi nella vita quotidiana. Quando la campagna elettorale veniva condotta porta a porta . Mentre ora, per parlare con gli indecisi e gli incazzati, non resta che andare in tivù. A “Porta a porta”.

La Repubblica 05.05.14