attualità, politica italiana

"Altro che ultimatum la Lega è implosa", di Francesco Lo Sardo

La leadership calante di Bossi, la gestione della crisi, il federalismo monco: il Carroccio non è più una macchina da guerra.
Fare la voce grossa e fumo sul federalismo conviene. Non soltanto per andare all’incasso del decreto sulla fiscalità comunale entro fine mese, ma anche per tener meglio occultate dietro un’impenetrabile cortina di ferro le tensioni che squassano in una sorta di clima da dopo-Bossi, nelle roccaforti della Lombardia e del Veneto, l’ultimo partito stalinista d’Occidente: la Lega.
Tre giorni fa Bossi aveva tirato un siluro micidiale contro il suo ministro Maroni denunciando implicitamente, insieme alle “cimici” ritrovate in casa, un grave difetto (o un eccesso?) di “attenzioni” nei suoi confronti. Ieri è stato di nuovo lui, Bossi, con una frase apparentemente buttata lì a caso, a segnalare la punta di un altro iceberg: il caos che regna nella Lega nella regione più leghista d’Italia, il Veneto del Carroccio al 35,2 per cento.
«Si va al congresso e chi vince sarà designato, basta che non sia un rompipalle, uno che non si faccia intrappolare dai miraggi romaneschi. Roma usa sempre il divide et impera»: dietro la preoccupazione di Bossi – le correnti leghiste sono ormai troppo forti per poter parlare di un altolà del Senatùr – sul prossimo segretario “nazionale” veneto (così i leghisti chiamano i segretari regionali) si legge l’irritazione e l’impotenza per l’ascesa del veronese sindaco scaligero Flavio Tosi.
Doveva essere Tosi e non Zaia il candidato governatore veneto, grazie a un patto con l’ex avversario Giampaolo Gobbo, sindaco di Treviso e ora segretario regionale uscente della Lega. Fu Bossi a tagliargli le gambe, perché Tosi è uno che si muove troppo e che a Verona, facendogli uno sgarbo, ha commissariato valanghe di sezioni non allineate per epurare il dissenso interno che fa capo a Federico Bricolo (capo dei senatori leghisti, uno del nocciolo duro, degli ultimi veri pretoriani di Bossi con Rosi Mauro e il capogruppo alla camera Marco Reguzzoni).
Ma delle lotte interne al Veneto il catalogo è lunghissimo. C’è Gobbo che ha ripreso a sparare su Tosi per dare una mano a Zaia, c’è il senatore Stiffoni che detesta e chiede l’espulsione dalla Lega del prosindaco di Treviso, l’ex sceriffo Gentilini, storico capopolo leghista. Ma soprattutto, ultima delle grane, c’è il Carroccio del bellunese che all’unanimità martedì prossimo l’11 gennaio, voterà insieme a tutti gli altri partiti della provincia a favore di un referendum popolare per staccarsi dal Veneto e agganciarsi al Trentino Alto Adige.
I leghisti veneti che vogliono staccarsi dal veneto leghista, un brutto colpo per l’immagine della Lega che governa regione e provincia: col referendum si abdica alla riforma federalista o si lascia pensare che non lo si realizzerà mai ed è meglio far da sé. In più il Veneto perderà il 20 per cento di un pezzo pregiato del suo territorio: 3600 chilometri quadrati, dalle Prealpi alle Dolomiti, con gioielli come Cortina.
In Lombardia le cose nella Lega non vanno meglio. C’è Maroni che scalpita e cerca di farsi largo (spalleggiato Giorgetti e dai leghisti piemontesi di Cota) duramente contrastato localmente dal pretoriano bossiano Reguzzoni che ha il mandato di arginarlo. Gli si oppone, per contenerlo, anche il suo avversario storico, il bergamasco Calderoli, sebbene indebolito sul territorio e imprigionato nel cubo di Rubik del federalismo. Una situazione pesante, che avrebbe persino fatto riaffiorare in Bossi la tentazione di candidarsi a sindaco di Milano al posto della Moratti.
La Lega vincente, la Lega compatta attorno al capo supremo sembra ormai solo un luogo comune. Il trend ascendente leghista nei sondaggi nell’ultimo mese s’è arrestato e ha invertito la tendenza: segnando un arretramento dell’1,4 per cento. Il primo campanello d’allarme era suonato in ottobre proprio in Veneto, con un calo di un punto rispetto alle regionali di sei mesi prima. Le elezioni anticipate, certo, ricompatterebbero la Lega: ma è Berlusconi, adesso, che non vuole fargli questo regalo.

da Europa Quotidiano 06.01.11