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«Numeri in libertà sul federalismo», di Massimo Bordignon

Giorni di festa con i giornali pieni di stime degli effetti del federalismo sulle entrate dei comuni capoluogo di provincia italiani, con tanto di vincitori e vinti. Ma hanno senso questi numeri? Difficile rispondere. Il vero problema è l’ambiguità dello schema di decreto sul quale quelle stime si basano. Dice poco su quello che avverrà da qui al 2014 e nulla su quello che succederà dal 2014 in poi. Un nuovo esempio di federalismo annunciato, senza che i problemi siano veramente affrontati.

A Santo Stefano i giornali si sono riempiti delle stime, dovute a un senatore del Pd, Marco Stradiotto, sugli effetti del federalismo prossimo venturo sulle entrate dei comuni capoluogo di provincia italiani, con tanto di vincitori, generalmente al Nord, e di perdenti, generalmente al Sud. Ma hanno senso queste stime? Difficile rispondere. Al di là dei numeri, il vero problema è che lo schema di decreto a cui le stime fanno riferimento è ambiguo; dice poco su quello che succede da qui al 2014 e nulla su quello che succederà dal 2014 in poi. Ma andiamo con ordine.

LA TRANSIZIONE

Il decreto 292 sulla fiscalità municipale (finalmente approdato alla commissione bicamerale, dopo essere stato respinto dalle rappresentanze dei comuni) prevede due fasi: una di transizione, dal 2011 al 2013, e una a regime, dal 2014 in poi. Che cosa succede nella fase di transizione è relativamente chiaro. Lo Stato devolve (dal 2011) ai comuni una serie di tributi erariali sul trasferimento e il possesso degli immobili (tra cui, in opzione, la famosa cedolare secca in sostituzione dell’Irpef sugli affitti). Si tratta di quasi 16 miliardi di euro, cioè di un bel po’ di quattrini. Il capo della Lega, Umberto Bossi, ha parlato per questo di “obiettivo raggiunto” per il federalismo municipale, dando a intendere che questi sono nuovi soldi che affluiscono ai bilanci comunali. In realtà, non è così. Le risorse devolute vanno infatti a finanziare un nuovo “fondo di riequilibrio” che sostituisce gli attuali trasferimenti erariali ai comuni (le “spettanze” da parte del ministero degli Interni), che vengono contestualmente aboliti, per circa 13 miliardi di euro. Non solo, lo Stato incamera anche la differenza (circa 2 miliardi, più l’accisa comunale sull’energia elettrica che ritorna adesso allo Stato). Dunque, nel 2011 i comuni prenderanno esattamente gli stessi soldi che avrebbero preso con il sistema vigente, inclusi i tagli della manovra 2010-12 che sono già contabilizzati nei trasferimenti eliminati. L’unica differenza è che i trasferimenti ai comuni, invece di essere finanziati dalla fiscalità generale, lo sono da una serie di tributi dedicati.
Che succede nel 2012-3 è già meno chiaro, perché il decreto non lo dice, rimandando a successivi decreti ministeriali. Per esempio, non sappiamo quale sarà la dimensione del fondo di riequilibrio negli anni successivi. Rimarrà fisso a 13 miliardi? Varierà sulla base della crescita o della decrescita del gettito dei tributi erariali devoluti? La dimensione del fondo sarà in qualche modo collegata alle stime sui costi standard sulle funzioni fondamentali dei comuni che un altro decreto del Consiglio dei ministri, questo definitivamente approvato, ha affidato alla Sose? E come verranno ripartite le risorse del fondo tra i comuni nel biennio 2012-13? Mistero.

LA FASE A REGIME

Ma la situazione diventa ancora più incerta dopo la fase di transizione. Nel 2014, infatti, i tributi erariali devoluti nel 2011 (eccetto la cedolare secca) dovrebbero in buona parte scomparire ed essere sostituiti dalla nuova imposta municipale unica, l’Imu. Più esattamente, i tributi erariali relativi al possesso dell’abitazione (per circa 2 miliardi) dovrebbero scomparire e confluire nell’Ici sulle seconde case (che scomparirebbe a sua volta, assumendo il nome di Imu sul possesso degli immobili), la cui aliquota dovrebbe dunque crescere in modo da compensare la perdita di gettito, mentre quelli relativi al trasferimento degli immobili dovrebbero mutare nome e aliquote e diventare essi stessi parte della nuova Imu (per circa altri sei miliardi di euro).
A questo punto che succede al fondo di riequilibrio e alla perequazione tra i comuni? Di nuovo, non lo sappiamo perché il decreto non lo dice. Quanta parte dell’Imu affluirà davvero nella casse dei comuni e quanta parte rimarrà allo Stato per compensarlo della perdita dei tributi erariali? Non si sa. Nell’incertezza, il senatore Stradiotto assume che i soldi dei tributi devoluti e poi confluiti nell’Imu finiscano interamente nelle casse comunali e non più in parte al fondo o allo Stato. Ciò naturalmente produce vincenti e perdenti. Vincenti sono i comuni in cui il gettito dei tributi devoluti supera i trasferimenti aboliti; perdenti sono gli altri. E dunque, vincenti sono i comuni che percepivano pochi trasferimenti e avevano tanta ricchezza immobiliare (nelle seconde case); perdenti tutti gli altri. E poiché i comuni più poveri e che più percepivano trasferimenti stanno al Sud, mentre i ricchi stanno al Nord, è ovvio che il nuovo sistema avvantaggia il Nord e penalizza il Sud.

I NUMERI DI NATALE

Stradiotto usa queste stime per argomentare che l’Imu non va bene, perché induce troppa sperequazione tra i comuni ex ante, che dovrà essere compensata ex post con il sistema perequativo. Ma sbaglia bersaglio. Primo, perché data la distribuzione delle basi imponibili tra i territori, si otterrebbe più o meno la stessa sperequazione utilizzando qualunque altro tributo comunale. Secondo, perché la sua ipotesi di partenza è insostenibile. È evidente, ed è già implicito nel decreto, che una parte dei soldi incassati dai comuni vincenti con l’introduzione dell’Imu verrà comunque trasferita ai perdenti, tramite il fondo di riequilibrio. Altrimenti, lo Stato stesso dovrebbe farsi carico della perequazione, contravvenendo al principio fondamentale della legge delega, che la sua attuazione debba avvenire “senza oneri aggiuntivi per lo Stato”.
Piuttosto, altri sono gli elementi di critica. Primo, è evidente che nel nuovo modello previsto dal decreto la perequazione tra comuni diventerà di tipo orizzontale e non più verticale: sono i comuni più ricchi che finanziano direttamente quelli più poveri e non lo Stato. Nulla di male in questo; peccato però che la Costituzione e la legge delega esplicitamente escludano che la perequazione possa essere di tipo orizzontale. Secondo, l’Imu dovrebbe essere un tributo proprio dei comuni, con tanto di autonomia di determinazione dell’aliquota, già prevista nel decreto. Come si fa a calcolare esattamente quanta parte del gettito Imu di un comune deve ritornare al fondo perequativo? E chi lo decide? Lo Stato, i comuni stessi, l’Anci? Il decreto non lo dice. Terzo, circa un terzo delle entrate della nuova imposta comunale, quelle relative ai trasferimenti degli immobili, dipendono fortemente dall’evoluzione del mercato immobiliare e dunque dal ciclo economico. Si tratta perciò di entrate molto aleatorie, soprattutto nei piccoli comuni, inadatte a finanziare una spesa che è tendenzialmente a-ciclica o contro-ciclica.

PROBLEMI IRRISOLTI

Il decreto 292 è un esempio di come il governo procede nell’attuazione del federalismo fiscale. Si dice cosa succederà nel 2011, cioè nulla; si è vaghissimi rispetto a quello che succederà in futuro, rimandando a ulteriori decreti. Domina evidentemente la preoccupazione di portare a casa un risultato spendibile sul piano elettorale e non quella di costruire un sistema stabile di relazioni finanziarie tra governi. L’effetto annuncio (l’Imu, la devoluzione dei tributi erariali sugli immobili) è considerato prioritario e sufficiente rispetto alla necessità di affrontare e risolvere i problemi, che vengono semplicemente rimandati al futuro. Intanto, però i problemi restano.

da www.lavoce.info