attualità, politica italiana

"I guai del ministro", di Concetto Vecchio

Il crollo della Schola Armaturum di Pompei, sbriciolatasi lo scorso 6 novembre, è stato l’inizio del calvario per Sandro Bondi, ministro ai Beni culturali di un Paese che ha il maggior numero al mondo di siti Unesco (44), ma che destina alla cultura appena lo 0,18 per cento del bilancio dello Stato.

Da quel giorno non ha più avuto pace: le immagini delle rovine hanno fatto il giro del globo; Napolitano ha parlato di “vergogna nazionale”; l’opposizione Pd-Idv ha presentato una mozione di sfiducia, che – è stato deciso oggi – sarà discussa a fine gennaio. Poi si sono fatte più alte le grida di dolore per i tagli del ministero: 2miliardi 851 milioni nel quinquennio 2008 – 2013, ha calcolato la segreteria nazionale Uil dei Beni Culturali. Scontenti tutti: attori; direttori di enti lirici, fondazioni culturali e biblioteche nazionali; sovrintendenti; fino alla protesta del maestro Daniel Barenboim, che prima di iniziare a dirigere la Valchiria alla prima della Scala (e Bondi, che forse sapeva dell’uscita, s’è dato assente), ha letto l’articolo 9 della Costituzione per contestare pubblicamente la sforbiciata. Siccome piove sempre sul bagnato il coordinatore Pdl s’è visto anche accusare di nepotismo per il figlio della sua compagna Manuela Repetti temporaneamente assunto al ministero, e per il premio conferito a un film semiclandestino, Goodbye Mama, girato dall’amica del premier Berlusconi, Michelle Bonev, insignito al festival di Venezia, e che la Rai ha comprato per un milione di euro. Una grandinata di guai.

I numeri, del resto, sono impietosi. La legge di stabilità ha ridotto gli interventi per i restauri dei beni a 102 milioni, erano 148 l’anno scorso, 155 milioni nel 2009. Il Fus – il fondo unico dello spettacolo – ha falciato le risorse dai 402 milioni del 2010 ai 258 del 2011: erano 550 milioni nel 2007. E lo spettacolo, in Italia, dà lavoro a 250mila persone. I 125 milioni destinati alle 14 fondazioni liriche, sono ormai quasi la metà dei 229 milioni del 2009: la stessa somma che la Francia dedica all’Opèra di Parigi, ha sottolineato Alberto Mattioli sulla Stampa. Pressappoco dimezzati i fondi agli istituti culturali. Rischiano lo strangolamento il Museo storico della Liberazione di via Tasso, la Fondazione Rosselli, l’Istituto storico per il Medioevo. Le biblioteche nazionali sono allo stremo, private di altri 21 milioni. La nazionale di Firenze rischia di ridurre l’orario di apertura. Già adesso può contare solo su 196 dipendenti, un quarto dei quali part-time, quando la sua omologa di Parigi ne ha 2500, quella di Londra 1260, perfino quella croata ne ha di più (500), come ha osservato Donatella Massai, direttrice della Robert F.Kennedy Foundation. Dove andremo a finire se già adesso – come scrive Giovanni Solimine in L’Italia che legge (Laterza) – nei 27 Paesi della Ue il 35 per cento degli abitanti entra in biblioteca almeno una volta all’anno, mentre in Italia le frequenta solo l’11 per cento?

”Non ho colpe per Pompei”, si è sempre difeso il diretto interessato. Falso, replica l’opposizione. Il sito venne commissariato nel luglio 2008 con l’ordinanza del presidente del consiglio 3682 per fronteggiare la grave situazione di pericolo; emergenza dichiarata chiusa con un’altra ordinanza, la 3884, nel giugno 2010. Sei mesi dopo la Schola crollava come una pasta di mandorla rinsecchita. Nel decreto Milleproroghe inizialmente si prevedeva il ritorno all’autonomia gestionale per Pompei, ma alla fine è rimasta sotto l’egida della sovrintendenza di Napoli: tutto come prima. “La verità è che nonostante le polemiche Bondi non ha portato a casa un euro”, denuncia Manuela Ghizzoni, prima firmataria della mozione di sfiducia. Il ministro, il 16 dicembre sul Foglio, ha scritto un’accorata lettera aperta al Pd, chiedendo di ritirare la mozione. Non ha sortito l’effetto sperato. In compenso ha fatto arrabbiare la compagna, Manuela: “Io non l’avrei scritta”.

Salverà la poltrona il ministro Bondi? I 226 deputati del Pd e i 22 dell’Idv non sono sufficienti per fare passare la mozione. La partita è nelle mani del Terzo Polo (Udc, Futuro e Libertà, Api e Mpa: 78 membri), che inizialmente sosteneva la sfiducia, un proposito che si è raffreddato nelle ultime settimane, soprattutto per i dubbi di Casini.

www.repubblica.it

******

Bondi, esame mozione sfiducia
nell’ultima settimana di gennaio

Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. La richiesta di Pd e Idv è stata contestata dal ministro della Cultura, che ha denunciato “un clima pregiudizialmente ostile” nei propri confronti. La mozione di sfiducia al ministro della Cultura Sandro Bondi, presentata a dicembre da Pd e Idv dopo il crollo della Casa dei gladiatori a Pompei 1, sarà esaminata e votata dall’Aula della Camera nell’ultima settimana di gennaio. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo.

La mozione di sfiducia è stata presentata dai partiti d’opposizione nonostante Bondi avesse chiesto al Pd di non farlo 2, sostenendo che i crolli di Pompei non costituivano una ragione sufficiente e che invece si trattasse di un’acrimonia personale nei suoi confronti, un “clima pregiudizialmente ostile alla mia persona”, aveva scritto il ministro a metà dicembre.

Ma la mozione non è mai stata ritirata, tanto più che al gravissimo crollo della Casa dei gladiatori, definito dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “una vergogna per l’Italia”, è seguito pochi giorni più tardi quello della Casa del Moralista 3,in questo caso però senza alcun danno per gli affreschi interni. Per i crolli di Pompei è in corso un’indagine della magistratura, che ha già emesso nove avvisi di garanzia 4.

www.repubblica.it