memoria

«Sette treni di libertà», di Francesco Sangermano e Valentina Buti

Un sogno. E una legge che rendeva possibile trasformarlo in realtà. Ugo Caffaz, nel 2001 era direttore generale del dipartimento cultura e istruzione della Regione Toscana. Furono lui, l’allora presidente Claudio Martini e l’assessore Paolo Benesperi a dire che, sì, ci potevano, ci dovevano provare. Così nacque il Treno della Memoria. Dall’Italia alla Polonia a bordo di un convoglio per compiere quello che non è solo un viaggio fisico. E nemmeno solo un appuntamento simbolico. Era il 2002 quando per la prima volta il treno lasciò la stazione di Firenze in direzione di Oswiecim (Auschwitz in polacco) e Birkenau. Quasi 1300 chilometri di binari attraverso la neve dell’Austria e della Repubblica Ceca. Quasi due lustri dopo, sono sette i treni partiti dallo Stivale. Firenze, Torino, Milano, Brescia, Bolzano, Fossoli-Carpi, perfino Foggia. A bordo migliaia di ragazzi (studenti e universitari) e i loro professori. Che hanno ripercorso le orme di altre migliaia di giovani che in questo lasso di tempo hanno potuto toccare conmanol’orrore della Shoah. Il Treno li ha portati a camminare nel silenzio assoluto dei campi, ad ascoltare le parole di chi ha vissuto l’inferno e neè miracolosamente uscito vivo, a vedere per davvero quello che una foto sui libri di storia non può neppure lontanamente raccontare. «Dobbiamo ricordare affinché certi orrori non si ripetano. Portare i nostri ragazzi nei luoghi dove si è consumata una delle più grandi tragedie del Novecento serve a questo» ha detto il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, salendo per la prima volta a bordo del Treno. Il sogno e una legge, si diceva. È grazie alla 211/2000, nata per iniziativa di Furio Colombo e approvata all’unanimità solo dopo un travagliato percorso osteggiato da anime delle destre, che venne istituito, il 27 gennaio, il Giorno della Memoria. La Toscana decise di onorarlo, nel 2001, organizzando un grande concerto. «Ma io avevo quel sogno di portare le scuole ad Auschwitz in treno e non in aereo» ricorda Caffaz. Lui, sotto la scritta “Arbeit macht frei” (“il lavoro rende liberi”) che introduce al campo, c’era passato per la prima volta nel 1982 in compagnia di Primo Levi. E voleva che quelle sensazioni potessero rivivere anche nell’animo dei giovani. Nel 2002 partirono in 500 «e andò tutto male» ricorda. Il riscaldamento sul treno che smise di funzionare, i controlli alla frontiera con la comitiva costretta a scendere di notte in mezzo alla neve, la commemorazione pronunciata conunmegafono perchénonc’erano microfoni ed Enrico Fink che fece risuonare il suo canto ebraico solo grazie alla sua voce. «Ma è stata l’edizione più bella.Efu così sconvolgente per chi partecipò che tutti ci chiesero di ripeterla». Ecosì, quell’esperienza, si è replicataa ogni dodici mesi fino al 2005 toccando anche Majdanek e il ghetto di Varsavia e facendo partire due convogli (con oltre 1300 persone a bordo) in occasione del 60° anniversario della Liberazione del campo di Auschwitz. Poi, dal 2006, il Treno viaggia ogni due anni intervallandosi conunforum dedicato al ricordo e allo studio della Shoah. Alla voce dell’unico testimone del primo viaggio (Mario Piccioli, deportato politico fiorentino morto lo scorso agosto a cui è dedicata questa edizione) se ne sono aggiunge altre come le sorelle ebree Andra e Tatiana Bucci (furono scambiate per gemelle e scamparono ai diabolici esperimenti di Mengele) ola staffetta partigiana Marcello Martini. A non cambiare negli anni, invece, è quello con cui i giovani tornano a casa. «Ricordare il milione e mezzo di bambini bruciati nei lager – conclude Caffaz – serve a pensare ai tanti che oggi muoiono di fame. Se non si ricordano i primi ci dimentichiamo anche dei secondi.Non esiste un antidoto per il razzismo ma esistono i vaccini. E il treno è un modo per essere sicuri di fare periodicamente un richiamo necessario».

da www.unita.it